sabato 27 settembre 2008

Flop delle tabelle antialcol. Eravamo tanto brilli, e lo siamo ancora

La fiammella del cocktal “torcia” supera indenne la maliziosa insidia della tabella killer, quella che da qualche giorno bar e pub hanno l’obbligo di esporre per calcolare il tasso alcolemico nel sangue. E così, lo shortino di rum con sopra un’algida fettina di limone e zucchero di canna bagnato in alcol puro resta sempre il drink preferito. Delle tabelle antialcol – quelle che per volere del ministero del Welfare permettono di calcolare quanto alcol c’è nel sangue e, di conseguenza, decretano se ci si può mettere al volante, a Catania non ci si preoccupa più di tanto.

“In una serata – racconta Marianna G., mentre fa la spola tra il bancone del bar e i tavolini davanti al locale – di drink shortini si può arrivare a consumarne fino a dieci bicchieri, anche se di solito la media oscilla dai 6 ai 7”.

Secondo il nuovo regolamento, la parità tra sessi è esclusa a priori. Infatti, dalla tabella emerge che il sesso forte può concedersi (per una questione di capacità di assorbimento dell’alcol diversa tra uomo e donna) qualche bicchiere in più.

Un altro fondamentale fattore tirato in ballo è poi il peso corporeo. Cioè, tanto per fare un esempio, se una birra normale bevuta da una donna di 45 chili a stomaco vuoto può far superare già il limite legale del tasso alcolemico per la guida, un uomo di 70 chili lo raggiunge se beve, sempre senza avere mangiato nulla, una birra sì, ma doppio malto.

Il provvedimento, con l’obiettivo di ridurre il numero di incidenti stradali per lo più mortali causati proprio dall’abuso di alcol, al momento però non ha suscitato grossi sconvolgimenti sia da parte dei gestori, che si sono dovuti affrettare ad appendere alle pareti le tanto temute tabelle, né tantomeno da parte dei consumatori, di cui un abbondante 70 per cento è ancora all’oscuro di tutto.

“Non so di che cosa sta parlando, ma credo che sia un provvedimento totalmente inutile. La gente non è stata adeguatamente sensibilizzata e non è per niente educata a rispettare queste norme. Mi creda, secondo me, a queste misure non si atterrà quasi nessuno”, commenta Dario Grasso, impegnato a shakerare un violet, la sua specialità. “Tra le donne e gli uomini, nessuna differenza di consumo. Il gentil sesso beve tanto quanto i signori maschietti”, aggiunge con un leggero sorriso e un filo di sarcasmo. E alla domanda: “Mi scusi, ma dove ha messo la tabella?”, risponde: “La tengo qui, ancora nel cassetto. In attesa che mi portino quella plastificata, da poter appendere.

Ma non tutti la pensano così. Tra i gestori c’è qualcuno che plaude all’iniziativa del governo, come Flavia Ballato, che nella sua panineria ha già affisso la tabella all’entrata: “Tra i clienti vedo molta curiosità. Certo, è ancora presto per stabilire se rispetteranno queste limitazioni. Comunque noi tra gli alcolici vendiamo soltanto la birra”, spiega, mentre batte i prezzi alla cassa, avvolta in un serioso tailleur nero.

E qualche approvazione arriva anche dai consumatori, come per esempio Daniela Cannata, 22 anni, studentessa di Lingue: “Secondo me, hanno fatto bene. Ognuno così può riconoscere i propri limiti. Non credo che la gente sia tanto masochista da mettere a rischio la propria vita per una serata”, dice, circondata da tre birrette italiane da 33 cl, comodamente seduta al tavolo insieme ad un paio di amici.

Di parere diametralmente opposto è invece Luca Celi, 27 anni, in attesa di una occupazione: “Secondo me, farebbero bene a mettere l’etilometro nei locali. Altro che tabella”. Alex Cianci, 25 anni, libero professionista, dell’etilometro ha invece un pessimo ricordo: “Una volta mi hanno fermato. Incredibile, mi hanno rilevato un tasso, seppur minimo, di alcol nel sangue. Chissà come hanno fatto, visto che sono astemio e al massimo bevo qualche energy drink”.

A Vincenzo Spampinato invece si può dire tutto, ma dargli dell’astemio sarebbe un’ offesa per uno che “usa l’acqua solo per lavarsi” e tracanna un cuba libre dopo l’altro senza alcun rimorso: “Certo, dipende sempre da quanti soldi ho in tasca. Se poi, offrono gli amici… Quando devo guidare io però ho paura e allora bevo di meno. Anche perché se faccio un solo graffio alla macchina di mio padre, sono guai seri”.

Intanto, tabella a parte, all’ingresso di un locale campeggia un cartello con una scritta a caratteri cubitali: “Birra Party: ogni due medie, una in omaggio”. E stavolta, sembrerebbe, senza particolari limitazioni di peso.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 27/09/2008

venerdì 26 settembre 2008

Librino si mette le ali

Un soffio di vento spinge un sogno un po’ più in là. Lo solleva dal grigio cemento delle ampie strade e degli anonimi palazzi alti di Librino e lo porta in alto, oltre le nuvole. Perché a volte i sogni pesano sulle spalle di chi ha solo otto anni. Ma loro, i bambini dell’Istituto Comprensivo Statale “Campanella-Sturzo” di Librino a metà mattina ci sono riusciti, a sollevare da terra i propri sogni, lanciandoli in un volo d’aquila che, tra realtà e fantasia, ha scelto senza la minima esitazione la fantasia. Forse perché troppo spesso la realtà delude, imprigiona, reprime.

E allora molto meglio volare e far volare ad alta quota idee, progetti di vita, aspirazioni e passioni. Ecco perché i piccoli sognatori di Librino non ci hanno pensato due volte e sono subito passati all’azione. Proprio lì, nell’ampio cortile della loro scuola, un istituto nuovo, di dimensioni ciclopiche, nel cui perimetro c’è perfino una piscina piena d’acqua.

Così, in fila per due (o quasi), accompagnati dalle maestre che di tanto in tanto sussurravano di fare meno chiasso, hanno assaporato l’ebbrezza di lanciare in volo gli aquiloni del trio Claudio Capelli, Anna Rubin e Robert Trepanier, aquilonisti per professione e “angeli custodi” dell’impresa. Tutto si è svolto nello spazio compreso tra le due colline della scuola.

“Questo è solo l’inizio”, annuncia il dirigente scolastico Lino Secchi: “La prossima primavera, ci sarà il festival degli aquiloni. Un’iniziativa che permetterà ai nostri ragazzi di imparare a costruire gli aquiloni da soli, nei nostri laboratori tecnici”. La Campanella-Sturzova a nozze con l’arte, dunque. Anzi, con “Fiumara d’Arte”, l’associazione presieduta da Antonio Presti, che con questo progetto s’impegna a legare la periferia, “isolata per la mancanza di una crescita parallela col resto della città”, dice Presti, al centro metropolitano, attraverso la riconquista degli spazi da parte di chi in periferia è nato e ci vive quotidianamente.

Colori e forme giocano d’anticipo sul suono stridulo della campanella, puntuale a segnare il trascorrere delle ore scolastiche, e finiscono per esplodere in forma di eteree amebe, caleidoscopi cromatici, volti severi di guerrieri d’Oriente. Tra gli aquiloni, vere e proprie opere d’arte che si alzano in volo, c’è perfino la spirale di un angelo che fa pendant con le nuvole. Tutte forme trascendentali, com’è trascendentale la bellezza, già celebrata attraverso le formelle che rivestiranno l’asse attrezzato di Librino e che gli studenti, col contributo del prof. Rosario Genovese, direttore artistico del progetto e docente di Decorazione all’accademia di Belle Arti, stanno già cuocendo negli appositi forni della scuola.

Chissà se, nella costruzione degli aquiloni, si tornerà alla colla di farina, ingrediente casereccio molto gettonato da chi ha qualche anno in più. “Il mio aquilone sarà a forma di cuore”, rivela Noemi. “Io invece lo costruirò a forma di pipistrello”, suggerisce Gabriele. “Io ne ho già costruito uno insieme a mio padre. Aveva i colori dell’arcobaleno, ma ho srotolato talmente tanto il filo che alla fine è andato troppo in alto e l’ho perso”, racconta Lusiana mentre addenta in fretta l’ultimo quarto di merendina al cioccolato, poco prima di prepararsi alla prova.

Tutti pronti, per la fantasia è arrivato il momento del decollo. Dettaglio anch’esso non trascurabile e parte integrante di un destino: quello dell’aquilone etico dei bambini di Librino. Anche questo vuol dire volare alto.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 24/09/2008

giovedì 25 settembre 2008

Vanity, amore e fantasia

Che te magni?”- “Pane” – “E che ci metti dentro?” – “Fantasia, Marescià”. Mica fessa la bersagliera dal volto languido e dal vitino di vespa, al secolo Gina Lollobrigida, dinanzi alle ripetute e insistenti avances galliste di un brillante Vittorio De Sica. La Lollo coi suoi riccioli raccolti e quegli abitini appena sopra al ginocchio scatenava le fantasie erotiche di un impertinente maresciallo appena arrivato in un paesino dell’Abruzzo. Era il 1953, il film “Pane, amore e fantasia”, per la regia di Luigi Comencini spopolava, stimolando l’immaginazione di un’intera generazione sopravvissuta alla guerra.

Vanity Fair
festeggia il suo quinto anniversario con una mega-produzione, ovvero un omaggio al nostro cinema reinterpretato dai divi di oggi. Da “La ciociara” a “Ieri, oggi e domani”, da “Il Gattopardo” a “Mamma Roma”, da "La dolce vita" a "Il conformista", da "Malizia" a "Il giardino dei Finzi Contini", senza tralasciare “Ladri di biciclette” e “La strada”. Tutti intramontabili capolavori del grande schermo di casa nostra.

Sui vari set, allestiti tra il Portogallo, Roma e le risaie del vercellese: Giovanna Mezzogiorno, Stefano Accorsi, Alessio Boni e Carolina Crescentini, Francesca Neri, Margherita Buy, Nicolas Vaporidis, Cristiana Capotondi, Isabella Ferrari, Beppe Fiorello, Maria Grazia Cucinotta, Andrea Di Stefano, Alessio Boni, Francesca Inaudi, Pierfrancesco Favino, Matteo Sciabordi, Federico Costantini e Laura Morante, Ambra Angiolini, Laura Chiatti e Roberto Farnesi.

Per l’occasione, a dare il volto alla bersagliera ci ha pensato la splendida Monica Bellucci, a cui è dedicata la copertina e che, all’interno, veste i panni che furono della Lollo.

A ricordare invece il celebre giro di valzer de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, pellicola del 1963, tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Eccola lì, la Sicilia che tenta di piegarsi ai tempi nuovi, quella del “che tutto cambi, affinché nulla cambi”(chissà come si arrabbierebbe il presidente degli industriali siciliani, Ivan Lo Bello). Eccoli lì, Angelica e Tancredi. Valeria Solarino e Raul Bova in versione romantica. Il fasto barocco incorniciato nelle pareti dell’ampia sala dove si danzò tra le note di Giuseppe Verdi, fanno subito balzare alla mente i volti incantati e rapiti dalle note e dalla danza di una giovane e sognante Claudia Cardinale e dell’affascinante Alain Delon, col suo sguardo magnetico.

Grazie Vanity! Per qualche istante, ci hai fatto sognare…

lunedì 22 settembre 2008

Il sesso è l’ossessione dei giornalisti. Qualcuno escluso

Per fortuna ci pensa Federica Pellegrini a ridimensionare l’ego smisurato dei giornalisti, sempre più narcisi per passione ed egocentrici per pretesto, opportuni rare volte, opportunisti almeno tre volte al giorno. Certo, per carità, con le dovute distinzioni. C’è sempre l’eccezione che non conferma la regola.

L’accanita nuotatrice, record del mondo dei 400 m e 200 m stile libero, ha notato un particolare non trascurabile sulla categoria in questione: “Il sesso è l’ossessione dei giornalisti”.

E c’è di più. La Pellegrini dimostra quasi quasi di essersi addentrata nel mestiere, passandone al setaccio qualcuno dei suoi ingranaggi. Tant’è che aggiunge: “Sui giornali ho capito una cosa: i titoli non sono fatti dagli autori degli articoli. Ma a volte mi arrabbio lo stesso”.

Beh, in tutta franchezza, su entrambe le cose la nuotatrice più paparazzata degli ultimi mesi potrebbe averci azzeccato. Non è escluso.

Ma forse la Pellegrini non sa che oggi il giornalista è uno che non ha più tempo nemmeno per il sesso. Al massimo, lo trova per “grattarsi la capa”. Il giornalista infatti è uno, per intenderci, costretto a schivare con uno slalom raccapricciante gli inviti a cena delle sue collezioni stagionali di femmine per correre a destra e a sinistra (ahimé, anche nel senso politico) a trovarsi la raccomandazione, meglio se bipartisan, per farsi invitare alle trasmissioni televisive per fare qualche comparsata, ricordare al mondo (che se ne frega altamente) che esiste e dire la sua (cosa a dir poco fondamentale, senza la quale non riuscire a sopravvivere) sull’amore, sulla famiglia, sui fannulloni e sui vari mali che affliggono il nostro Paese.
In poche parole, uno che – se gli è andata bene e qualcuno gli ha concesso un salvagente per restare a galla, senza affondare – gira da un salotto all’altro, da un ritrovo all’altro, da un bar all’altro per innaffiare le sue conoscenze e rinverdire i suoi rapporti socialmente utili.

Pubbliche relazioni a gogo, dunque. Le briciole si raccolgono anche così. Ma ogni tanto ti va bene e, anziché raccattare briciole, ti porti a casa una pagnotta. Ed è pure legittimo, uno che fa il giornalista da quand’è nato, mica si può reinventare da un giorno all'altro netturbino, operaio in fabbrica, impiegato all'anagrafe? Per carità, non diciamo bestemmie.

L’importante semmai sarebbe non farla sbriciolare troppo, la pagnotta. Conservare, durante lo struscio, il lecchinaggio (si spera) garbato e una discreta (che però sfocia sempre più spesso nella sfrontata) adulazione, se si riesce, un minimo di dignità che si ottiene quanto meno evitando gli eccessi. E infine assicurarsi, una volta afferrata la pagnotta, che non sia solo un effetto ottico momentaneo, ma che sotto la crosta croccante ci sia anche uno strato di mollica bianco e soffice. Perché al di là della forma si finisce sempre a dover fare i conti con la sostanza.

Per carità, ognuno ha le sue ossessioni. C'è chi colleziona scarpe, chi farfalle, chi pensa al sesso 36 ore su 24. Mica è da condannare, semmai è una condanna, un dispendio energetico non indifferente, alla cui onda d’urto può resistere solo chi è ben corazzato e ha fatto un’ottima cura ricostituente o praticato uno sport, se non proprio a livello agonistico, quasi.

Tornando alle ossessioni, c’è perfino chi colleziona aperitivi, sperando che prima o poi non gli venga una gastrite cronica. E in fatto di aperitivi, anche qui i giornalisti sono maestri.
C’è poco da fare: al giornalista l’aperitivo piace. Perché aggrega, assopisce, consola e favorisce l’inciucio e poi lo struscio. Certo, se è un prosecco d’annata, è ancora meglio. E tutto fila liscio come l'olio.

Sì, certo, la “nuova ossessione corrode ogni momento”, per dirla con i Subsonica. Ma è inevitabile, sul fondo della bottiglia resta un dubbio: appena finito di inciuciare, i giornalisti, come sano relax, preferiscono lo slow sex oppure si dedicano alla sveltina?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Nella foto, la locandina della magnifica "Ossessione" di Luchino Visconti (film del 1943, tratto dal romanzo "Il postino suona sempre due volte" di James Mallahan Cain).

sabato 20 settembre 2008

Rosina fa goal con la solidarietà

Aggiungi un posto a tavola, si potrebbe dire, che c'è un amico in più. Perché da oggi la campagna umanitaria di raccolta fondi "Dona un rene per la vita" promossa dall'Asmev, associazione onlus di medici volontari tutti calabresi nata nel 1996 con sede a Messina, che già dal ‘93 operava in Eritrea, ha un nuovo testimonial: Alessandro Rosina. L'obiettivo è partecipare al mantenimento del primo centro di emodialisi per pazienti con insufficienza renale acuta, nato ad Asmara, la capitale dell'Eritrea, presso l'ospedale Orotta, diventato realtà il 21 gennaio 2008, proprio grazie all'Asmev.

"Tutto nasce poco più di tre anni fa, a maggio del 2005 - racconta il dott. Roberto Pititto, medico chirurgo specializzato in nefrologia, socio Asmev e responsabile del progetto - quando in Calabria è approdato il ministro della Salute eritreo Saley Meky e ha firmato con l'allora assessore regionale al Lavoro e alle Politiche sociali della giunta Loiero, Egidio Masella, un protocollo d'intesa piuttosto generico in cui la Calabria s'impegnava a favorire lo sviluppo di attività nefrologiche in Eritrea. In realtà, noi sapevamo benissimo che cosa fare. Ci era stato richiesto di mettere in piedi un centro di emodialisi proprio nella capitale, ad Asmara".

Poi, qualche inciampo lungo il percorso, come al solito per colpa del mancato appoggio delle istituzioni. E il progetto si arena.
"Fino a quando nel marzo 2006 la commissione regionale per le Pari oppurtunità, grazie soprattutto all'impegno della collega nefrologa Emira Ciodaro, decide di stanziare 3000 euro per avviare una campagna di raccolta fondi a livello regionale. Io, Gabriele Germanò, presidente Asmev e il vicepresidente Francesco Romeo, veniamno convocati a Reggio. E nell' estate 2007 finalmente parte la raccolta fondi".

Finora quanto siete riusciti a raccogliere?
"Abbiamo raccolto circa 20-30.000 euro".In concreto, che risultati avete raggiunto?"Siamo riusciti a mandare in Eritrea quattro reni artificiali, pagandone solo due. Ci sono stati donati dalla fondazione Bonino Pulejo della Gazzetta del Sud e dal titolare dell'azienda che li ha forniti, la Kosmos di Gioia Tauro, il dott. Giuseppe Galeso, in memoria della sorella Maria, recentemente scomparsa". Quanti soldi vi servono ancora? "Attualmente abbiamo 10-11.000 euro di debiti con le aziende che hanno fornito il materiale. In un paio d'anni con 50-60.000 euro ce la dovremmo fare".

Ora anche Alessandro Rosina è dei vostri. L'incontro e il coinvolgimento del capitano del Toro nel progetto com'è avvenuto?
"Tutto è stato molto naturale. Ho preferito aspettare il momento giusto per parlargliene con calma e sicuramente questo momento non era l'anno scorso, considerato il modo in cui si è concluso il campionato per il Torino. Quindi ho aspettato che arrivasse l'estate e che venisse a trascorrere qualche giorno qui in Calabria". Conosce da tempo Alessandro? "Sì, conosco lui, i suoi fratelli e la sua famiglia da anni. E tra noi c'è una bella amicizia. Pensi che io ho vissuto per 18 anni proprio dov'è nato Alessandro, a Cittadella del Capo, una frazione di 1000 abitanti, in provincia di Cosenza. Facevo il medico nella squadretta di calcio, per l'esattezza nella categoria dilettanti. Ma c'è di più. Da ragazzo giocavo a pallone con Alfonso, il papà di Alessandro, che tecnicamente non era un fenomeno, ma agonisticamente era tosto. Piccolo di statura, buttava per terra me che ero alto il doppio. Ecco, proprio da questa amicizia mi è venuta l'idea di coinvolgerlo. Quando gliene ho parlato, lui è stato subito contento di fare il testimonial. Alessandro è un ragazzo molto sensibile, si potrebbe dire "all'antica" e ha capito subito che c'era in ballo la vita delle persone. Convincerlo è stato facilissimo".

Torniamo all'Eritrea, Paese storicamente legato all'Italia. Lì come vi hanno accolto? Quali sono state le prime reazioni, di diffidenza oppure di apertura?
"Senza ombra di dubbio, posso affermare che l'atteggiamento è stato ed è tuttora di piena apertura. In Eritrea hanno una grande fiducia nell'Italia e nei medici italiani, direi quasi una venerazione assoluta e su di noi hanno grandi aspettative. Questo ci carica di un enorme senso di responsabilità".

Il primo viaggio in Eritrea se lo ricorda ancora?
"E come non potrei. E' stato nel 2005. Appena arrivato, mi sono trovato davanti un Paese povero, sì, ma allo stesso tempo ricco di potenzialità. L'Eritrea è uno dei Paesi più poveri del mondo, come dicono le statistiche della Fao. Ricordo benissimo che c'era un ospedale nuovo, moderno, costruito con i soldi della cooperazione internazionale. E c'era già una certa predisposizione per mettere in piedi un centro di dialisi. Solo che, come è facile immaginare, mancavano i macchinari e mancava il personale. Oggi, se pensiamo che il centro è attivo, sono stati fatti passi da gigante, anche se c'è ancora moltoda fare. Ma siamo consapevoli che si tratta di un inizio e adesso resta da affrontare e risolvere il problema relativo alla formazione del personale, in modo particolare, dei medici che dirigeranno il Centro in futuro. Certamente la sua apertura ha suscitato grande emozione e speranza, anche presso gli studenti di Medicina della piccola Scuola Medica di Asmara (poche decine) a cui insegno nefrologia e che dal prossimo anno saranno i primi professionisti formati in quel Paese da molti decenni. Lo scambio c'è stato subito. Quando a gennaio 2007 sono tornato in Eritrea insieme a due tecnici, Giancarlo Carravetta e Francesco Zappone, anch'essi calabresi, due infermiere erano venute ad addestrarsi in Italia".

Il primo paziente curato?
"A gennaio, un bambino di 11 anni di Keren affetto da un blocco renale".

Da un punto di vista professionale, questa esperienza che cosa le ha regalato?
"Dal punto di vista professionale è una bella sfida. Ti trovi a lavorare da solo sapendo che devi pensare tu a tutto, perché non stai lavorando in un ospedale o in un ambulatorio. Qualsiasi guaio che ti capita è tuo, lo devi gestire da solo. Insomma, diventi consapevole di dover contare solo sulle tue capacità".

E invece dal punto di vista umano?
"Dal punto di vista umano ti dà la possibilità di sentirti davvero utile. Il tuo lavoro lo vedi dare frutti concreti. E vedi che alcune persone grazie a te non moriranno".

Il prossimo viaggio in Eritrea?
"A fine mese".

Dott. Pititto, il suo sogno nel cassetto?
"Il primo in parte si è già realizzato. Far parlare della Calabria non soltanto per i morti ammazzati di ‘ndrangheta, ma anche per belle iniziative come questa. E poi, sarò contento il giorno che andrò in Eritrea e mi diranno "non abbiamo più bisogno di te, goditi le vacanze". Allora vorrà dire che avranno imparato a camminare con le proprie gambe. Il mio obiettivo è proprio questo: che col tempo l'Eritrea, sotto il profilo sanitario, possa diventare sempre più autonoma. Non dimentichiamo mai una cosa: è importante non tanto regalare un pesce a chi ha fame, quanto insegnargli a pescare".

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su http://www.alessandrorosina.it/ .
Nella foto: il marchio Rosinaldo (con un gesto di dedica del capitano del Toro ai tifosi in occasione di un goal durante una partita col Catania)

mercoledì 17 settembre 2008

Magie del web. Io vorrei...non vorrei...ma se vuoi...ti ritrovo

S’incontrano in chat o attraverso una linea telefonica. Non fanno parte di nessuna redazione fisica, ma la loro è virtuale. Eppure vivono e respirano. E sono fatti di carne e ossa. Si emozionano, piangono, ridono, si arrabbiano, eccome. Arrivano da tutta Italia e li accomuna un’unica passione: quella per il Toro. Ne scrivono sera e mane, raccontando la buona e la cattiva sorte di una squadra che amano, che seguono fino in fondo, sempre e comunque. Soprattutto nei momenti di affanno. Si danno appuntamento lì, su http://www.alessandrorosina.it/. Ma quando capita. Senza orari fissi, né capiservizio pronti ad alzare la voce ad ogni respiro di troppo.

I collaboratori del sito internet di Alessandro Rosina si alternano in una staffetta continua, il cui passaggio del testimone ha un tocco vellutato. In cui niente è forzato, ma tutto è voluto, desiderato, pensato. L’home page è un vivace puzzle in cui le tessere le compone lui, il capitano, che involontariamente, con un passaggio di palla deciso e invisibile, orienta e suggerisce pensieri e parole. Nessun problema di spazi e quindi di battute, né di titoli, visto che ognuno, da solo e in piena autonomia, dà un titolo a ciò che ha scritto. Tutto è molto più fluido di un quotidiano.

Ma partiamo dall’inizio. Era l’11 settembre del 2006 quando il sito di Alessandro Rosina fece il suo timido ingresso, quasi in punta di piedi, nell’affollato regno del web, muovendosi sin da subito con agilità tra gli orizzonti sconfinati della rete. Un luogo-non luogo, in cui potersi immedesimare istante dopo istante nei progetti più intimi del capitano e della sua squadra, intuendone le possibili mosse. In realtà, alla fine è come se in fondo una stanza ci fosse. Ed è lì, sotto un cielo di lucide stelle, tra quattro pareti color granata, che si consumano le mosse e le contromosse di un giovane ragazzo calabrese cresciuto in fretta, che ha negli occhi la voglia di vincere e di portare il Toro davvero molto in alto.

Al momento sono nove i rubrichisti (a breve, se ne aggiungeranno altri) che, a turno, occupano l’home page coi loro pezzi. Sembrano tutti usciti da uno dei racconti di Kafka, in cui si finisce per incontrarsi, pur non incontrandosi.

Il veterano è lui, Flavio Bacile, il primo a scrivere per il sito di Rosina con le sue riflessioni in granata. Per lui, quello col Toro è stato un autentico colpo di fulmine, in cui galeotta fu la partita giocata a Ginevra. Ci andò col padre e, con quella sciarpa in mano, fu subito amore.

La più giovane si chiama Alessandra Caputo, 18 anni, calabrese, all’ultimo anno di Liceo classico. Sulle spalle si porta il peso (piacevole, assicura) di dover coordinare la linea editoriale e gli articoli da pubblicare. “Tutto questo mi educa alla puntualità e stimola la mia curiosità”, dice.

Silvia Locatelli, attualmente in vacanza a Chicago, sorride al mondo e augura ai tifosi “sogni d’oro in granata”. Per lei il Toro è un brivido. C’è poi Marina Beccuti, amante della formula 1 e grande tifosa di Ayrton Senna, che ora avrebbe rimpiazzato con Lewis Hamilton. Una passione sfrenata, la sua, oltre che per il Toro anche per i giocatori d’inventiva e di fantasia. Il suo idolo assoluto? Manuel Rui Costa.

Alessia Zacchei ha il fascino indiscreto e irruento della cantastorie. Con la differenza che lei però le sue storie non le recita, ma le scrive, mettendo nero su bianco l’emozione del ricordo di un grande Torino. Chissà che il suo non sia un augurio all’intera squadra a tornare ai gloriosi tempi che furono…

Elena Orlando, la sottoscritta, è un po’ un pesce fuor d’acqua. Navigando nell’alto mare della letteratura e degli studi umanistici (una laurea in Lettere classiche), è approdata un po’ per caso, un po’ per scelta, nel mare magnum della comunicazione, e da un paio di mesi, anche in quello del calcio, dove si augura di riuscire a nuotare senza affogare.

Eleonora Di Prete ha il volto rassicurante di chi ha nell’ animo una dolcezza infinita. E diletta i visitatori coi suoi racconti di viaggi e di trasferte che ci regalano istantanee sulle microrealtà del nostro bel Paese che si chiama Italia.

Chi manca all’appello? Samuele Silva, ironia torinese e piccone dietro l’angolo.
Andrea Riccardi invece studia alla Bocconi. Segni particolari: fedelissimo al Toro e al sito, persino alla vigilia dei suoi esami universitari e Tommaso Brianda che, con le sue cronace, riferisce alla velocità della luce i dettagli del dopo-partita.

Un tributo d’onore si deve a Fabiola Luciani, collaboratrice di successo del sito di Alessandro Rosina, attualmente approdata nella redazione di una testata giornalistica on line.
In ultimo, ma non certo in ordine di importanza, Francesco Bancalà, webmaster per professione ma soprattutto per vocazione.
Un ruolo chiave è poi esercitato da un misterioso supervisore, un grande occhio ciclopico che fa e, all’occorrenza, disfa la tela, assicurandosi che alla fine i conti tornino.

Particolare non trascurabile: piena solidarietà ad Alessandro. Lui ci regala emozioni, noi cerchiamo di metterle nero su bianco. Certo, “a ciascuno il suo”, direbbe Leonardo Sciascia: lui si sfianca ad allenarsi bene e a dare sempre il meglio di sé, noi lo facciamo cercando di stare sulla notizia e provando a dribblare al meglio frasi e periodi.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su http://www.alessandrorosina.it/

lunedì 15 settembre 2008

L'esagerazione di un gesto

Spesso chi fa informazione ingigantisce, deforma, nel peggiore dei casi falsifica la realtà dei fatti. E finisce per dare in pasto ai lettori un’istantanea che travisa i fatti, e fotografa le persone per ciò che non sono e, cosa ancor più grave, per ciò che mai si sarebbero sognati di essere.

E allora non stupisce più di tanto se sui giornali di oggi si leggono titoli che strombazzano il gesto un po’ collerico del capitano del Toro che esce a 27 minuti dalla fine di una partita grigia, quella disputata con la Reggina. Tutta colpa dell’aria che tirava al Granillo, tutta colpa di un destino avverso che ha scalato le marce senza preavviso, facendo rallentare di botto il motore.

Una cosa è certa: se Rosina non avesse sbuffato, non sarebbe stato se stesso fino in fondo. Certo, buttare per terra la fascia e insieme la maglia bianca si poteva evitare. Soprattutto per la risonanza mediatica che i due gesti avrebbero avuto. Certe cose sono facilissime da prevedere. E i malpensanti e i malfidati non sono mai troppo pochi, perfino nel mondo del calcio.

Ma è colpa del capitano arrabbiarsi con se stesso per una cattiva performance, per non aver dato ciò che si aspettava di dare, per non aver giocato una buona partita, per non aver regalato ai suoi tanti tifosi le emozioni giuste? E soprattutto: è colpa del capitano se tutto questo proprio non gli è andato giù, se non ha digerito questo bocconcino amaro, se non è riuscito a dare il meglio di sé?
La risposta è no. Nessuna colpa se a volte il destino gioca brutti scherzi, se qualcosa va storto e non proprio secondo le aspettative. La reazione di Alessandro è stata forte, dura, istintiva, ma vera. Perché Rosina è fatto così, è autentico fino in fondo. E lo testimonia il comunicato di oggi, in cui si scusa con tutti, ripensando il suo gesto come un po’ troppo “sopra le righe”. Ebbene sì, anche questo vuol dire pagare il prezzo dell’autenticità.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato sul sito di Alessandro Rosina (http://www.alessandrorosina.it/)

venerdì 12 settembre 2008

Il volto di Catania è double face. Lato A: stanco e rugoso. Lato B: ribelle e creativo

Quando Catania "volta la faccia", mostra l'altro lato della sua personalità obliqua e asimmetrica. Gino Astorina, cabarettista catanese cresciuto nel quartiere popolare Angeli custodi, in uno spettacolo a piazza Vincenzo Bellini, insieme ai suoi compagni d' avventura del "Gatto blu" - gruppo di cabaret "Catania style"nato vent'anni fa nella sala Harpago, uno dei tanti ex magazzini del centro storico etneo - proprio davanti al Teatro Massimo ha fotografato la Catania di oggi, talmente contraddittoria da apparire claudicante, stanca, col respiro affannato e i movimenti lenti e incerti. Ma... allo stesso tempo vivace, vulcanica, energica, straordinariamente creativa e ribelle. Con l'amorevole intento di scuoterla una volta per tutte, fino in fondo. Riuscirà il nostro eroe?... Ai posteri l'ardua sentenza.

Come un abile giocoliere fa coi suoi birilli, Gino Astorina tiene per tre ore il pubblico incollato alle sedie in piazza Vincenzo Bellini per il terzo appuntamento del “Bellini d’estate”, all’insegna di un cabaret, quello del “Gatto blu”, di calda attualità. E passa in rassegna vizi e virtù dei catanesi con umorismo pirandelliano, espressione compiuta delle contraddizioni più profonde della nostra realtà locale. Per ridere e, un istante dopo, riflettere.

Si apre il sipario, appare al centro del palco una culla, la stessa che, con l’energica “annacata”, qualche tempo fa, nel corso di uno spettacolo, causò a Gino la frattura del polso. Con lui sul palco: Nuccio Morabito, Luciano Messina e Pippo Marziale. Una vivacissima Francesca Agate nel ruolo di madre esasperata dai continui capricci dei figli, legge e recita “La piccola fiammiferaia” di Andersen. Parte una riflessione di Astorina sull’incomprensibile senso del terrore suscitato dalle fiabe: “Un bambino può mai dormire col fiato al collo dell’orco che ha ingurgitato due bambine o del lupo che prima o poi verrà a prenderselo?”. Bei tempi, certo, quelli della festa dei morti, altro che Halloween. Anche se il solo pensiero che di notte i morti venissero a portare i doni, metteva paura. Ce n’è per tutti, Astorina non risparmia niente e nessuno.

Al tiro al bersaglio è l’attuale dissesto, ribattezzato disastro finanziario del comune. “ In otto anni com’è diventata bella la nostra città… Pensate che ora è possibile passeggiare per strada e ammirare la propria donna al chiaro di luna”.

L’allusione è ai buchi neri della città, che sono le strade rimaste al buio, ma è anche al bilancio in rosso dell’amministrazione comunale. “Al nuovo sindaco di Catania era stato suggerito di comprarsi anche la fascia, il suo predecessore si è portato via anche questa”, dice Astorina, che invita i cittadini catanesi a riprendersi i propri spazi: “Ripuliamo Catania, e cominciamo ad amarla”, scandisce tra una boutade e l’altra, in un equilibrio instabile tra il serio e il faceto.

Insomma, “Non ci possiamo lamentare” (così s’intitola lo spettacolo) se a Catania nessuno ha le idee chiare, neppure Giuseppe Castiglione, indeciso nei mesi scorsi se candidarsi al comune, alla provincia oppure ripiegare sul festival di Sanremo”. Non ci possiamo lamentare se ci sono i solarium: “Resteranno fino a gennaio, pensate. Ormai siamo in mutande, possiamo andarci”. Si scherza anche sul lavoro che non c’è. E sui tanto agognati contributi per la pensione. Due gli sketch sulle cattive abitudini tutte nostrane di piangersi addosso, arrivare sempre in ritardo, cadere dalle nuvole, ficcare il naso nei fatti privati degli altri, non avere mai voglia di entrare nel merito, ma aspettare- in un continuo gioco al rimpiattino - che gli altri decidano per noi.

Tutte cose che Astorina, nato nel popolare quartiere Los Angeles custodi (ovvero Angeli custodi), dove la strada è l’università della vita e “si giocava a fare i cowboy”, conosce bene. Tanto, si sa, i catanesi continueranno ancora a non agire e a lamentarsi. Però, al momento, una valanga di applausi e nessuna lamentela.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su La Sicilia del 12/09/2008

mercoledì 10 settembre 2008

Giuseppe Ayala-Enzo Bianco: la mafia si combatte col buon governo

E’stato un faro nella lunga notte, cupa e spettrale, di una Sicilia infettata dal “malo morbo” della mafia e del suo malaffare. E se oggi “Cosa nostra” ha cambiato pelle e strategia, ma continua ad infettare sempre e comunque, è pur vero che la stagione delle grandi stragi non è finita, come testimonia l’attentato incendiario alla residenza estiva del giudice Giacomo Montalbano.

L’opera di guarigione avviata da Giovanni Falcone grazie alla geniale intuizione di mettere insieme i processi e costituire un pool antimafia nei primi tempi guardato con sospetto (“un magistrato è come un artigiano, è abituato a lavorare individualmente”), resterà scolpita nella memoria collettiva, come quel 23 maggio del ’92, quando il tritolo polverizzò in una frazione di secondo Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i cinque agenti della scorta.

Si conclude così, nel ricordo di un capitolo nero della storia della Sicilia, “La fortezza del libro”, il terz’ultimo dei tre incontri al Castello Normanno di Aci Castello, che hanno riscosso un gran successo di pubblico e che il sindaco Silvia Raimondo, che anticipa già la replica dell’anno prossimo, ha definito “l’occasione per comunicare ai giovani un importante messaggio: un invito caloroso alla lettura, perché è dai libri che si scopre l’anima propria e quella degli altri”.

Un giro di valzer dedicato a “Chi ha paura, muore ogni giorno”, il libro scritto da Ayala per onorare l’amicizia con Falcone. Ad aprire le danze, Enzo Bianco nei panni inediti di intervistatore di Giuseppe Ayala, amico e compagno di molte avventure: “Ci siamo conosciuti quando nel 1992 fummo chiamati a capeggiare le liste del partito repubblicano a Palermo e a Catania per rinnovare e cambiare la politica in un momento di crisi. Fummo eletti e ci ritrovammo insieme in Parlamento”. A rinsaldare il legame tra i due, ci ha pensato l’amicizia in comune con Falcone, “un uomo di straordinaria ironia”, dice Bianco, che racconta un curioso aneddoto: “Sei giorni prima dell’omicidio di Giovanni, il giorno del suo compleanno, che era anche quello di Ayala, per festeggiare siamo andati a cena insieme al ristorante “La carbonara” di Campo dei fiori. Dopo cena, durante il tragitto verso casa, lui mi disse che la cosa più rivoluzionaria che la Sicilia possa esprimere è il buon governo. Se c’è questo, la mafia fa un passo indietro. Credo che sia tuttora un messaggio più che mai valido”.

“Ma quella stagione è frutto della casualità?”, chiede Bianco ad Ayala, che ribatte “Ho smesso di credere alla casualità in quinta elementare. Il nostro incontro fu casuale, ma tutto ebbe inizio dalla genialità di Giovanni”. Nessuna connotazione eroica nella figura di Falcone. “Lui era un antiprotagonista per eccellenza. Una cosa che proprio non amava era questa: essere mitizzato”. E già, i miti sono altri. Giovanni Falcone era solo un grande magistrato e un uomo straordinario.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 10/09/2008

martedì 9 settembre 2008

Con un po' di fresco è meglio

A qualcuno piace caldo. Ma, esaurito l'effetto Marylin, si batte la fiacca. Perché non è da tutti resistere a un caldo africano, torrido e asfissiante, retaggio climatico di un'estate che poi così calda in fondo in fondo non è stata. Anzi, calda sì, ma torrida come ce la ricordavamo un anno fa, proprio no. Eppure, ci risiamo.

Il caldo settembrino è di nuovo qui, subdolo e inaffidabile. S'insinua quando meno te l'aspetti, t'imbriglia e ti rovina le giornate, avvolgendoti in una morsa di afa asfissiante e persecutoria. Il caldo settembrino per noi siciliani è assai temuto, e molto di più di quello ferragostano. Il sole è giallo ocra, è quello che secca i fichi, ma anche gli esseri umani, acceca le pupille e disegna contorni sfumati intorno alle figure che irradia. E ancor più temuto è il riverbero del sole settembrino, che ti scrosta le viscere, ti cucina a fuoco lento, t'ammorba, trascinandoti in una sorta di sordo torpore.

Ma tutto passa e niente resta. E noi siciliani, affaticati sotto il solleone settembrino, in attesa di un po' di refrigerio per respirare una boccata di ossigeno, ora attendiamo di riprendere le onerose occupazioni autunnali con un clima più conciliante, e preghiamo tutti i santi in paradiso che la colonnina di mercurio, che continua a segnare un tasso di umidità davvero insopportabile, scenda vertiginosamente, e lo faccia al più presto. E facciamo i dovuti riti propiziatori perché i 40 gradi all'ombra cedano già dai prossimi giorni il testimone ai leggiadri 26, di gran lunga più sostenibili.

Ma siccome niente è come sembra, tra qualche mese noi siciliani, con la lamentela sempre sulla punta della lingua, rimpiangeremo a tal punto la calura estiva da piangere ininterrottamente per tutto l'inverno (oddio, la pioggia e le nuvole? Che maledizione!). Anche questo vuol dire in un certo senso essere siciliani.

Nella foto, il paesaggio siciliano "asciugato" dal sole.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 7 settembre 2008

Il rapporto fra arte contemporanea e territorio: un fiore che deve ancora sbocciare

Una stretta di mano cordiale, quella tra la produzione d’arte contemporanea e lo sviluppo sociale ed economico del territorio. Che però sarebbe molto meglio si trasformasse al più presto in un tenero abbraccio. Se n’è discusso al Sangiorgi, con un dibattito moderato dal presidente della fondazione Fitzcarraldo, Ugo Bacchella, alla vigilia dell’ultimo appuntamento della V edizione del Festival di danza contemporanea “Uva grapes”.

Parola d’ordine: accorciare le distanze e insieme dare il via libera alla collaborazione tra istituzioni pubbliche e private. Obiettivo audace, sì, ma non del tutto utopistico, come ha raccontato Michèle Anne De Mey, direttrice artistica di Charleroi/Danses: “Quand’ero una semplice artista, avevo molte meno responsabilità. Ma ora che sono anche direttore insieme ad altri tre colleghi, abbiamo bisogno di elaborare progetti concreti. Gestire denaro pubblico è una cosa seria. Gestire denaro pubblico è una cosa seria. Purtroppo i soldi non bastano mai”.

Sarà che i privati latitano, come ha sottolineato Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia: “Ma credo che sia un ostacolo culturale. Purtroppo in Italia siamo abituati a un’idea museale e abbiamo un pessimo rapporto con l’arte contemporanea”. “Diciamo pure che abbiamo una scarsa considerazione dell’arte in generale”, ha aggiunto l’assessore comunale alla Cultura, Fabio Fatuzzo. Per Giuseppe Di Pasquale, direttore artistico del Teatro Stabile, “gli imprenditori non investono nella cultura perché pensano di perdere soldi e basta”.

Ma per fortuna la mela non è tutta marcia. “ A Reggio Emilia il teatro ha scelto di investire nella danza contemporanea”, ha spiegato Giovanni Ottolini, direttore generale della Fondazione nazionale della Danza/ Aterballetto. E il sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, Antonio Fiumefreddo, ha ribadito l’importanza di restituire al teatro una dimensione sociale.
In ultimo, due auspici per il futuro. Ilde Rizzo, docente di Economia all’Università di Catania: “Bisogna che le istituzioni culturali diventino più credibili agli occhi del pubblico”. E Roberto Zappalà, coreografo e direttore artistico della compagnia Zappalà Danza e di Scenario pubblico: “La residenzialità artistica è fondamentale. Ogni artista deve potersi sentire parte di un ambiente favorevole e ospitale”.

P.s.: nella foto, l'incantevole facciata ottocentesca del Teatro Massimo "Vincenzo Bellini" di Catania.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 7/09/2008

sabato 6 settembre 2008

Cavalcare l'onda mediatica? Meglio affogare nelle ricette di cucina

Stare sulla notizia stressa. C’è poco da fare. Trascorrere le giornate rincorrendo uno scoop, spulciando di continuo le agenzie alla disperata ricerca di una storia “da prima pagina”, leggere con estrema attenzione le notizie e farsi un’idea per scriverci sopra un editoriale che non sia trito e ritrito, ma partorisca davvero qualcosa di originale, inseguire i tanto amati divi del cinema, le pop star, in attesa di un gossip inedito, voler stupire a tutti i costi i lettori con metafore, immagini, espressioni accattivanti e quant’altro serva ad attirare la loro attenzione e, preoccupazione non indifferente, a far vendere i giornali che, ahimè, quasi nessuno compra più (al massimo, si leggono al bar, tra un caffè e un cappuccino), sono cose che ti succhiano il sangue, s’impadroniscono delle tue energie, ti sottraggono agli affetti, ti costringono a dimagrire anche quando non vorresti e, in qualche caso, ti rubano perfino l’anima.

E poi non ditemi che non stressano. Lo stress infatti è il minimo che possa produrre questa affannosa fatica di Sisifo. Una roba che alla fine, se va bene, è…molto rumore per nulla, tanto per dirla col titolo di una tragicommedia di Shakespeare.

Non a caso, qualcuno che deve avere davvero un’animo nobile ha pensato bene di rinfrancare lo spirito dei giornalisti più stressati (!!) con un corso di esercizi, rigorosamente spirituali, per gli operatori dell'informazione e per quelli dell'intrattenimento televisivo vessati dallo stress.

L' originale iniziativa è del “Club Santa Chiara”, che ha programmato per due weekend di inizio novembre, in un'abbazia benedettina ancora da scegliere fra la Certosa di Pavia o il convento di Norcia, dei sit-in per ritemprare spirito e corpo di giornalisti e personaggi della comunicazione radiotelevisiva e dello spettacolo.

Vedete quanta fatica per cavalcare l’onda mediatica? Altro che la classe operaia. Altro che il lavoro in fabbrica. Questo è altro, e basta. Io personalmente da oggi comincio a pensare all’arte culinaria. Molto meglio, credetemi. Del resto, tra leggere una notizia vera o presunta che sia e gustare una succulenta porzione di melanzane alla parmigiana (che ho preparato in questi giorni, con strepitoso successo), voi che cosa scegliereste? Provo solo a immaginare...

P.s.: nella vignetta, il volto inquietante dello stress. Buon weekend a tutti. E, mi raccomando, rilassatevi!

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 4 settembre 2008

L'ex granata David Di Michele, la partenza che solleva e l'ossimoro calcistico

Pensavate che al massimo l’ossimoro potesse essere soltanto una lucida follia? Un felice errore?
Beh, vi sbagliavate. Perché DDM, al secolo David Di Michele, ex granata a corrente alternata di gloria, appena prestato al West Ham, formazione della Premiere League, è quello che si potrebbe definire, fuor di metafora, un vero e proprio ossimoro calcistico. Insomma, un ossimoro calcistico in carne e ossa. O meglio l’incarnazione di un re senza scettro, né corona.

Tocco vellutato, agile e perfido all’attacco, freddo e spietato nell’azione e nella rincorsa, ma col freno a mano tirato quando si spengono i riflettori sul campo. In poche parole, scalpitante, e sempre pronto a sferrare calci, stavolta in senso letterale e in piena metafora. Un fulmine dentro e fuori dal gioco. Ma con un cielo che annuncia tempesta. Quella stessa tempesta che il destino, suo malgrado, gli ha assegnato fin dal primo cross nelle giovanili della Lodigiani, in serie C1 e che lo ha accompagnato per tutta la sua avventura granata. Fino alla partenza.

Una partenza senza lacrime e nessuna moviola, dunque, soprattutto per chi resta. Perché, a detta di molti, DDM era davvero incontenibile come un fiume in piena, eppure incapace di far tremare le vene ai polsi fino in fondo a chi non gli aveva passato la palla al momento giusto. Incapace di farlo, perché incapace di avere al suo fianco stretti collaboratori pronti a proteggerlo all’occorrenza, della stregua di Pat Sala o Big Jim Ferri con gli Zaccarelli o i Dossena di turno.

Chi viene e chi va. E’ l’umana commedia, ma anche una delle regole base del calciomercato. E per un Di Michele che se ne va ed esce di scena con la coda tra le gambe, come una tigre ferita in attesa di rianimarsi, c'è qualche altro pronto a prendere il suo posto e a farlo precipitare nelle oscure stanze dell’oblio. Chi lo ricorderà? Chi sarà a celebrarlo? Tutti siamo utili, ma nessuno è indispensabile. E la vita continua. E quella del Toro, anche. E riguardo a Di Michele, resterà solo un lontano ricordo dai contorni sfumati, e dal retrogusto un po' amaro. Alle sue spalle, tanti sospiri di sollievo, poche lacrime e un’infinità di chiaroscuri, luci e ombre, ambiguità e misteri.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 3 settembre 2008

Aurelio De Laurentiis concede una seconda chance

A tutti quelli che pensavano che episodi apocalittici come l'uccisione dell'ispettore Filippo Raciti al "Massimino" di Catania fossero caduti in uneterno letargo, il polverone sollevato dagli ultrà del Napoli suggerisce che errare è umano, perseverare è sciocco, ma concedere un’altra chance è intelligente.

Perché chi l’ha detto che tutto finisce al primo round? Chi l’ha detto che dare un’altra opportunità è da perdenti? C’è chi proprio non ci sta a chiudere la partita al primo tempo. E preferisce tendere la mano una seconda volta. E non si butta tutto in un unico grande inceneritore.

Punire gli ultrà? D'accordo. Ma, subito dopo, salviamo il salvabile. Che c'è, anche se fa fatica a emergere e a farsi notare. Aurelio De Laurentiis, storico presidente del Napoli, è tra questi. Perché dice un categorico no al calcio malato. Ma non rinuncia a volgere lo sguardo a un saldo recupero del calcio buono, del tifo “perbene”, quello per intenderci dove di fanatismi e violenza non c'è traccia.

E già, perché il bubbone della violenza degli ultrà del Napoli, che rischiano di infettare l’intero mondo del calcio e di contaminare la sana passione che, per fortuna, continua ancora a resistere, viene affrontato di petto dal presidente della squadra partenopea, senza neppure troppa diplomazia. E contempla anche la possibilità di pronunciare un sonoro “arrivederci”. “Non mi faccio intimorire da pochi facinorosi che nulla hanno a che vedere col calcio”, ha detto a gran voce il patròn del Napoli.

Queste le coraggiose parole di De Laurentiis che, nel corso di una call conference presso il centro sportivo di Castelvolturno, ha precisato: “Se lo Stato non dovesse mettere in campo leggi adeguate, potrei anche salutare”.L’atteggiamento di De Laurentiis è tutt’altro che disfattista: “Tra i tifosi che creano violenze, che poi rappresentano al massimo lo 0,5 per cento del totale, ci sono gli infiltrati”, ha detto il presidente. Che, in ultimo, lancia un appello contro la chiusura del San Paolo: “Anche per questo è assurdo decidere di chiudere il San Paolo. Lo Stato deve difendere piuttosto le società e i tifosi sani. Se il calcio è questo, mi potrei anche stancare».

Che cosa non si fa per scongiurare il pericolo infame che alla fine, solo per colpa di qualche minoranza deviata, si debba deformare un’ intera immagine e siano tutti i tifosi a dover pagare?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

Fic & Pic, i latin lover della risata, tornano in Sicilia per girare il loro nuovo film

A briglie sciolte, Ficarra e Picone sono tornati sul set in Sicilia per girare il loro terzo film. Il primo ciak è stato ieri, al porticciolo di Ognina. La coppia di comici palermitani, dopo lo strepitoso successo al botteghino de “Il 7 e l'8”, ritornano sul set per la terza pellicola che li vedrà ancora una volta protagonisti sulla scena e dietro la macchina da presa.

Il nuovo lungometraggio sarà diretto, oltre che da Ficarra e Picone, anche da Giambattista Avellino, già collaudato partner. La sceneggiatura è firmata da Francesco Bruni e Fabrizio Testini, insieme con Ficarra, Picone e Avellino: si ripropone così la stessa squadra di autori del precedente film.

La pellicola, prodotta da Attilio De Razza e Medusa Film, si avvale della collaborazione della Film Commission di Catania che ospiterà il set per nove settimane di lavorazione. Nei prossimi giorni, le riprese dovrebbero continuare a Paternò.

Il film è una commedia degli equivoci che racconta le avventure di una coppia di amici, uno dei quali decide di fare uno scherzo all’altro: con la complicità del medico, s’inventa che l’amico sia malato e che gli resta poco da vivere. Mica sono nati poi così stanchi Fic & Pic, al secolo Salvatore Ficarra e Valentino Picone, arrivati al gran successo di pubblico grazie a Zelig, se il primo giorno la levataccia per raggiungere il set è stata all’alba.

Scenario turistico e caratteristico, quello di Ognina, per un ciak al sapore di sale. E i due protagonisti non mancano all’appello. Lì, chiusi in quella stradina un po’ nascosta che costeggia il porticciolo. Piazza Ognina è invasa dai camper. Via Marittima è chiusa al traffico. Qualche passante cerca invano di curiosare, sbirciando in tutte le direzioni. A tratti si grida “silenzio, qui si gira”. Una signora si trova a passare e resta a bocca asciutta.

“Arrivo da S. Agata Li Battiati e come sempre sono venuta qui a comprare il pesce. Ma vedo che stamattina c’è qualcosa di nuovo. E, soprattutto, non vedo il pesce!”, esclama non senza un filo di smarrimento. “Quale luogo più magico di questo per girare un film”, commenta padre Antonio Fallico, parroco della chiesa della Madonna di Ognina, anche lui incuriosito dalle riprese: “Non dimentichiamo che questo è stato il porto dove Ulisse si è fermato per ormeggiare la sua barca, prima di affrontare Polifemo”, ricorda, citando lo storico Plinio.

Magia della classicità greca, irresistibile fascino del presente. La suggestione continua e ora torna a investire il grande schermo. “Irresistibile la tentazione di partecipare”, confessa la presentatrice Sabina Rossi, fan accanita della comicità del duo palermitano divertente e mai volgare, che apparirà nel film avvolta in un vestitino azzurro, alle spalle di Tuccio Musumeci, uno degli attori del cast. Il set è una continua sorpresa, come fa notare Salvo T., dello staff: “La mattina non si comincia se prima non arrivano i cornetti caldi col caffè”. Mica fessi Fic & Pic. I due latin lover della risata si trattano bene.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 2/09/2008