martedì 31 marzo 2009

Le fredde notti di Laura Antonelli

«Cosa bella e mortal passa e non dura». In un verso del sonetto 190 del Canzoniere di Petrarca è racchiusa l’essenza del caso Antonelli. Di quella meravigliosa creatura drammaticamente ingrassata, sciupata, invecchiata. Forse perché alla fine la bellezza di un corpo che il cinema degli anni ’70 consegnava senza troppi tabù all’immaginario erotico di milioni di italiani è meno duratura del bronzo. In quegli anni Laura Antonelli è stata baciata dalla fortuna. Era bella, affascinante, e non solo. Seduceva e intrigava con un’innata “malizia” (titolo del celebre film di Samperi del ’73). Lo sapeva fare con naturalezza e disinvoltura, ce l'aveva nel dna. E proprio per questo si ritrovò ad avere molto successo.
Oggi Laura Antonelli è una donna diversa, sofferente, profondamente segnata da una lunga vicenda giudiziaria in cui è stata coinvolta. E in alcune nuove foto pubblicate da un settimanale riappare come forse non la si era mai vista. In soprappeso, l’incedere goffo e lento, le movenze elefantine, lo sguardo spento e perso nel vuoto.

A far precipitare l’attrice nel baratro della disperazione sono stati l'arresto del 1991 e il malriuscito intervento estetico durante la lavorazione del film Malizia 2000, poi rivelatosi un insuccesso commerciale. Le iniezioni di collagene per cancellare i segni dell'età scatenarono una reazione allergica che gonfiò e deformò il viso dell’attrice, già segnata dall'accusa di spaccio, dalla quale è stata prosciolta nel 2000. Allontanata dall'ambiente artistico, devastata nella psiche (con frequenti ricoveri al centro di igiene mentale di Civitavecchia), Laura Antonelli ha chiesto allo Stato italiano un risarcimento per i danni materiali e morali subiti. Di fronte ai diecimila euro accordati i suoi legali hanno fatto ricorso alla Corte Suprema dei Diritti dell'uomo di Strasburgo, fino a ottenere un risarcimento definitivo di 108 mila euro più interessi, confermato nel 2007 dalla Corte di Cassazione italiana.
Sembra la legge del contrappasso dantesca: tanto desiderata prima ,quanto sola e fragile dopo. Perché un dopo c’è sempre. Certo, che fosse così cupo non se l’aspettava nessuno.
Ad ogni modo, la triste vicenda solleva un pesante interrogativo: ci si può fidare troppo della bellezza esteriore? Si può puntare tutto sull’aspetto fisico? O piuttosto conviene investire in qualcos’altro che sia più duraturo del bronzo, come per esempio gli affetti veri e autentici, il proprio equilibrio personale, la gioia delle piccole cose?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it).
La foto è stata pubblicata dal settimanale Vero

domenica 29 marzo 2009

“Scrivo a Silvio. Così gli metto la pulce nell’orecchio…”

E’ la festa di Silvio. Nell’ultimo dei tre giorni del congresso fondativo del Pdl alla Nuova Fiera di Roma, quello che sancisce il foedus indissolubile con Fini, malgrado qualche querelle di ordinanza, è Silvio il dominus incontrastato, il Cavaliere senza paura che ufficializza la nascita di un grande contenitore di moderati, ma anche di riformisti, borghese e insieme popolare e perfino interclassista. Tutto un altro sapore rispetto all’annuncio del ’94, quando l’imprenditore di successo graziato da Bettino Craxi (ricordato più volte il secondo giorno dalla figlia Stefania nel corso del suo intervento) prometteva agli italiani di impegnarsi in prima persona per cambiare davvero volto all’Italia. Stavolta, un sapore meno acerbo e decisamente maggioritario (si punta al 51 per cento) per un partito che – dice Berlusconi – non si accontenta mai e sopravviverà a chi l’ha fondato.
Ora si guarda al presidenzialismo. Si guarda all’Europa, con la mira di diventare il primo gruppo all’interno del Ppe. E si guarda al futuro, con un’attenzione rinnovata nei confronti dei giovani. L’aveva detto Daniele Capezzone il giorno prima: il Popolo della libertà sarà anche un partito facebook, un partito in cui i giovani potranno esprimersi con i loro abituali mezzi di comunicazione (internet su tutti). Poi, a sorpresa, l'annuncio della sua personale candidatura alle Europee.

L’emozione non tradisce il premier in nessun passaggio del suo lungo discorso, nessun tremolio nelle mani che ogni tanto girano i fogli. Quasi due ore ininterrotte sul palco, senza il minimo segno di cedimento. Spalle forti, sorriso di plastica, Silvio Berlusconi parla di federalismo, rinnova le piaghe alla sinistra (dov’è il loro leader?), ricorda quando i comunisti attentarono a quella che avrebbe dovuto essere la grande stagione delle riforme, sbriciolando il difficile processo di ammodernamento che ora invece si intende compiere (e stavolta Massimo D’Alema sembra essere davvero d’accordo).
Nel giorno della consacrazione del re, scettro e corona arrivano anche dal pronto entusiasmo di migliaia di braccia di militanti che sventolano le bandiere del Pdl. Berlusconi inneggia più volte alla libertà, è sicuro di sé, emoziona e commuove, sa a ogni pausa come colpire al cuore dei suoi elettori e simpatizzanti. Al di là di ogni regola, l’unica regola è una sfrontata e disinibita ostentazione di sicurezza, mostrare il pugno duro, saper tenere in mano il timone del comando. E cavalcare l’onda del momento, ovvero di un’epoca senza arte né parte, in cui si respira il vuoto e la più totale omologazione.
Meglio un nuovo Napoleone, il self-made man di successo agli specchietti per le allodole, meglio Silvio o, al limite, una pantera di lunga militanza come Gianfranco Fini, ai Veltroni e ai Franceschini di turno, che - scandisce il premier - altro non fanno che salvare il salvabile di una sinistra ormai allo sbando.

Berlusconi ammirato, osannato, oppure delegittimato, invidiato. Berlusconi sempre e comunque ruba la scena a tutti. E, in un modo o nell’altro, riesce sempre a far parlare di sé. A essere nel cuore o a stare sullo stomaco. Forse perché proprio non resiste e, a un tratto, invita le dame della sua corte (l'angelica Prestigiacomo, la dura Meloni e la gentildonna Carfagna) a mettersi in prima fila accanto a lui sul palco per cantare alla fine l'inno di Mameli e promette: "Vi porteremo fuori da questa crisi per il bene di tutti").
Tanto, l’importante è che se ne parli. E alla fine se ne parla ovunque se, proprio nel giorno della consacrazione, a pochi chilometri dalla Fiera di Roma, c’è chi pranza al tavolo di una trattoria dei Castelli romani e, tra un abbacchio e un sorso di grappa, nomina con amici e parenti Silvio e la sua festa.
-“Che peccato, Silvio è unico, è simpatico, ma alla gente dà molto meno di quello che può offrire. Ora gli do 7, ma potrebbe raggiungere un voto più alto. Se solo evitasse di fregare sempre tutti, sarebbe molto meglio. E’ un vero peccato. Io l’ho votato perché è l’unico che ha le palle ed è per questo che mi arrabbio. Eppure io qualcosa per lui la devo fare. Devo assolutamente mettergli la pulce nell’orecchio. Gli devo scrivere una lettera che voglio fargli recapitare. Voglio che legga il mio consiglio. Voglio che pensi: porca miseria, questo qui ha ragione!”.
Mi volto per un istante, gli sorrido e gli confesso che arrivo proprio dal congresso e che faccio la giornalista praticante.
Poi, gli chiedo: “Allora, questa lettera la vuole mandare davvero?”. E lui: “Certo, signorina, mica scherzo? A proposito, lei che è giornalista, mi dice a chi la devo mandare?”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 27 marzo 2009

Il sopralluogo di Silvio: se non vedo, non ci credo.


Un vero decisionista a vocazione maggioritaria. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è un titano a tutto tondo. E l’allitterazione del verso calza a pennello, per rendere il giusto onore al merito. Il Cavaliere è un uomo d’azione e stamattina il sopralluogo al padiglione 8 della Fiera di Roma lo ha fatto davvero.

«Gli abbiamo sottoposto una decina di soluzioni diverse - spiega l'architetto Mario Catalano, già autore delle scenografie di tutti gli eventi più significativi della storia di Forza Italia - come facciamo tutte le volte. Poi è il presidente che sceglie le soluzioni più adatte, dall'indicazione sui colori all'attuazione del programma». Il congresso che da oggi fino a domenica vedrà nascere, o meglio ufficializzare la nascita del Popolo della libertà avrà a disposizione tre padiglioni (l’8, il 7 e il 6), 250 hostess per accogliere circa 6.000 delegati e 1.000 giornalisti.
E poi, un enorme palco di 600 metri quadrati che richiama l'immagine di un ponte, sovrastato da un videowall di 500 metri quadrati: uno schermo centrale da 100 metri quadri su cui andranno le immagini dell'oratore di turno, e due schermi laterali da 200 metri quadri l'uno su cui scorreranno immagini evocative.

C’è ancora il ponte del congresso di An, fresco d’impalcatura, ben piantato per terra e pronto a traghettare gli animi dei moderati, ma anche dei riformisti e degli innovatori, verso il futuro. Perché stavolta la linea scelta è quella di «un giovane partito nel quale trovino casa i giovani iscritti».
Nella platea del padiglione 8, 7.200 sedie per accogliere gli oltre 6mila delegati e gli ospiti che potranno registrarsi in 42 banchi di accredito. Dietro il palco, gli uffici per le autorità (tra cui quelli per il premier Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini). Il padiglione 6 è lo spazio dedicato al catering. Ci sono poi sei studi televisivi e altre sale per le riunioni che si terranno in corso d'opera, e a disposizione dei circa 1.000 giornalisti delle 217 testate accreditate, i 91 fotografi e gli operatori tv, ci sarà l'intero padiglione 6.

Il sipario si alzerà alle 17 con il saluto dei rappresentanti del Ppe. A seguire il saluto della più giovane deputata del partito, Anna Grazia Calabria e poi di altri 5 giovani. Nelle prime file ci saranno soltanto giovani e donne per i quali è prevista la possibilità di iscrizione al partito. Solo dopo le 18 prenderà la parola Silvio Berlusconi, e prima Ignazio La Russa promette "una sorpresa" assolutamente top secret. Sabato l'intervento più atteso sarà quello di Gianfranco Fini, previsto per le 12,30, mentre il presidente del Senato Renato Schifani interverrà alle 17,30. Sempre sabato prenderanno la parola i capigruppo parlamentari e i ministri. Domenica la conclusione, affidata al premier, e la sua elezione alla presidenza del partito. Noblesse oblige.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 20 marzo 2009

Il ponte c’è. Il partito degli italiani, anche.

Non chiamatelo scioglimento. In realtà si va a fare semplicemente (si fa per dire) il grande partito del centrodestra. Il ministro delle Politiche Ue, Andrea Ronchi, alla vigilia dell’ultimo congresso del suo partito Alleanza nazionale prima dell’apparentamento stretto col Pdl, assicura: « An da partito a corrente? Ma non se ne parla nemmeno. L'unica cosa che non sarà è una corrente di qualche cosa. Noi abbiamo una grande sfida, quella di realizzare questo grande partito, nessuna corrente, noi saremo cofondatori. Fini e Berlusconi sono i due assi di questo grande partito, sono a pari titolo i due leader». E a chi aveva pensato che An stia facendo un passo indietro in nome del patto d’acciaio col premier, Ronchi ribatte così: «Noi di Alleanza nazionale ci sciogliamo domani per fare due passi avanti, porteremo in questo grande partito di centrodestra tutte le identità, tutti i valori, tutta la storia, tutta la spiritualità della Destra italiana».

E la scenografia, con un palco a forma di ponte, sarà il lieto auspicio del passaggio a un nuovo soggetto politico. Anche se non ci sarà Silvio Berlusconi a benedire. «Non potevamo imporgli tre discorsi congressuali in una settimana», ha detto La Russa. «Ma lo ringraziamo comunque per il fatto che per esserci era perfino disposto ad annullare i suoi impegni».
Ci sarà il simbolo del Pdl, ma senza la scritta "Berlusconi presidente". E soprattutto non verrà suonato il tormentone "Meno male che Silvio c'è”. An si affida ancora e sempre al tanto amato inno di Mameli.

Un’unione tutta rose e fiori? Non proprio. Visto che in sordina ci sarebbe la cosiddetta “guerra dei club”, come è già stata ribattezzata a via dell'Umiltà, sede di Forza Italia. Il primo passo l'ha compiuto Silvio Berlusconi. A fine febbraio Mario Valducci ha registrato l'associazione "Club della libertà", sul modello di quelli che costituirono la prima ossatura di Forza Italia nel 1994. Una struttura molto agile, corsara, dipendente soltanto dal Capo. Club ai quali aderire anche senza iscriversi al Pdl. «Le sezioni di partito sono le sezioni di partito», aveva detto Valducci, «i club sono un'altra cosa. Si deve dare la possibilità di partecipare alla politica anche a chi non vuole iscriversi formalmente».
Annusata l'aria in molti dentro Forza Italia - da Mariarosaria Rossi a Ciccio Colucci, da Stracquadanio allo stesso Valducci - si sono offerti per dar corpo a questa struttura parallela, che dovrebbe vivere molto anche sulla Rete. Ma Berlusconi li ha ringraziati e ha preferito affidarsi a Marcello Dell'Utri e Michela Brambilla, che da vecchi nemici adesso dovranno lavorare insieme. Con il compito di preparare in breve un progetto operativo.

Ma, arrivata la notizia, in An è scoppiata la rivolta. I colonnelli, in coro, hanno minacciato contromisure: «Se Berlusconi farà i suoi club, anche noi entriamo nel Pdl con i nostri circoli. Non possono esserci - avverte La Russa - partiti dentro il partito. Un conto sono le fondazioni e le associazioni culturali, che sono una ricchezza e resteranno. Ma non esiste che possano esserci strutture parallele al Pdl». Anche perché non si capisce, dal punto di vista di An, in quale rapporto gerarchico dovrebbero stare questi club rispetto alle strutture territoriali del Pdl.

Una questione ancora aperta è poi quella che riguarda le associazioni giovanili. Azione Giovani, la struttura che fa capo a Giorgia Meloni, non ha ancora deciso di sciogliersi e mischiarsi ai giovani di Forza Italia. A resistere non è tanto la Meloni, che anzi cerca di mediare, quanto l'ala più identitaria e di destra. Abituati a una forte autonomia, i giovani di An temono di finire annullati in un indistinto berlusconiano.
I giovani forzisti, guidati da Francesco Pasquali, sono invece completamente proiettati in una logica da partito unico e stanno studiando anche un'organizzazione più light, basata su adesioni temporanee, sui gruppi di Facebook. Al momento le due organizzazioni giovani continueranno a esistere in parallelo. Intanto, in attesa dei prossimi sviluppi, non resta che concentrare tutta l’attenzione su domenica, quando Gianfranco Fini salirà sul palco non da leader, ma da semplice militante, e versando qualche lacrima cercherà di spiegare ai suoi le ragioni del suo «atto d’amore» lungimirante. Un discorso che molti annunciano «conciliante» verso il Cavaliere, di chi è consapevole del ruolo di co-fondatore di una forza che al momento è certamente legata a una leadership indiscussa.

Certo, considerando che è «rara la vita in due, fatta di lievi gesti e affetti di giornata consistenti o no». E che… «…bisogna muoversi come ospiti pieni di premure con delicata attenzione per non disturbare», la sfida non è da poco.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 19 marzo 2009

Il Pdl si tinge di verde-Lega?

Che il Partito democratico sia un edificio pieno di crepe, più che una paura è ormai una certezza. Ma per la verità qualche turbolenza investe anche il “jet set” del Popolo della libertà. E dopo le ultime rassicurazioni di Silvio Berlusconi, che certifica l’ottimo stato di salute dei suoi rapporti politici con Gianfranco Fini, qualche altra polemica ci scappa. Stavolta, tra Fini e Bossi. Audace e funesta intermediaria del contendere: Alessandra Mussolini, sempre più in sintonia col leader di An.

Oggetto della contesa: il ddl sicurezza. Arma del delitto: la lettera indirizzata al governo, con oltre 100 firme di deputati della maggioranza all’assalto della norma che obbliga i medici a denunciare gli immigrati clandestini. E l’iniziativa, oltre a dividere subito il centrodestra, fa arricciare parecchio il naso al premier. La solita rivolta anti-Lega? Macché, si affretta a smentire Fini, che non ci sta a essere etichettato dal vertice come il manovratore clandestino di un’ostilità culturale nei confronti del Carroccio, o il solito guastafeste, proprio alla vigilia della complicata unificazione del suo partito con Forza Italia.

La Lega ed alcuni berlusconiani parlano di «manovre interne» per complicare i rapporti fra alleati di governo.
E notano maliziosamente che le firme sono per due terzi di An, e solo per un terzo di FI. Al punto che Fini è costretto a precisare di essersi dichiarato contrario solo alla denuncia alla quale sarebbero tenuti i medici che curano i clandestini: un modo per smentire la regìa di un documento che legittima le critiche del Pd. Ma è evidente che l’obiettivo principale è di dissociarsi da una legislazione di marca leghista; di abbozzare un profilo più garantista sull’ immigrazione.

Peccato però che la Mussolini si ostini a rimarcare la piena sintonia politica sull’iniziativa con Gianfranco Fini: « C'é un'asse istituzionale tra me, come presidente della commissione Infanzia, Fini e il Quirinale. Con Napolitano ho parlato nei giorni scorsi e lui ha dimostrato di essere sensibile alla necessità di non penalizzare donne e bambini. Fini condivide la mia posizione. È la mia malattia. Alla fine sempre lì vado a finire». Sono oltre cento i firmatari della lettera, tra cui: Santo Versace, Gabriella Carlucci, Antonio Martino, Mario e Antonio Pepe, Enrico Costa, Manlio Contento, Valentina Aprea, l'ex cognata di Berlusconi Mariella Bocciardo, Fiamma Nirenstein, Mario Landolfi, Gennaro Malgieri e Lucio Stanca.

E se Fini sulla polemica in seno alla norma “medici-spia” si schermisce, il Carroccio va su tutte le furie. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni si è detto «sorpreso» della lettera: « La norma che toglie per i medici il divieto di denunciare un clandestino è stata introdotta non dal governo ma dal Senato con l'unanimità del Pdl e della Lega. Non abbiamo mai avuto intenzione di porre la fiducia sul disegno di legge. Vogliamo che sia discusso dal Parlamento. È un'iniziativa strana, non è mai stata intenzione del Governo porre la fiducia». E Umberto Bossi sbotta: « Le chiacchiere stanno a zero, visto che il testo resta così com'é. Non mi risulta che ci saranno cambiamenti». Per gli amanti delle forze centrifuge, ci sarà ancora tanto da scommettere.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.it

martedì 17 marzo 2009

Il nuovo “Risorgimento” della Destra italiana?

Per Alleanza Nazionale è giunta l’ora. Di trasmutar sembiante, direbbe Dante, ma non l’essenza. E se è vero che la forma non c’entra molto con la sostanza, i nostalgici mussoliniani, quelli rimasti disperatamente ancorati all’Msi, che si scaldano ancora con la fiamma tricolore, fieri di aver ibernato spirito e mente in un’ideologia ormai “vissuta”, non dovrebbero avere troppo da temere.

Ieri sera l’hanno spiegato bene a Porta a porta Altero Matteoli, Andrea Ronchi, Maurizio Gasparri, Gianni Alemanno, Italo Bocchino e Giorgia Meloni. Tutti schierati in fila, uno accanto all’altro, in ordine di anzianità, dal più navigato alla meno stagionata. Tutti uniti nel sacro nome di Giorgio Almirante.
"Noi formiamo il Pdl con tutta la nostra storia, i nostri valori, la nostra esperienza. Chi dice che la destra chiude, che la destra finisce, sbaglia: sono chiacchiere". Andrea Ronchi taglia subito corto. Per evitare equivoci, fraintendimenti. An sta per entrare nel maestoso palazzo del Popolo della libertà. Così vuole Silvio Berlusconi e così si è ritrovato a volere anche Gianfranco Fini, che col premier non vanta sempre una perfetta corrispondenza d’amorosi sensi.

E ora la destra che fine fa? Segue il modello Sarkozy? Affronta decisa la scommessa di diventare davvero moderna e liberale? E, all'interno del Pdl, prevarrà il centro? Macché. Tutto risolto. Le quote sono pari. Almeno sulla carta. Lo dice anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "La destra entra a pieno titolo e con la sua storia nel Pdl perché si deve evitare una riedizione della Dc, il Pdl non può essere un partito di centro. I contenuti, i valori e le impostazioni della destra italiana - ha aggiunto - sono tutti presenti e ci saranno nel Pdl".

Quindi alla creatura nata a Fiuggi in quel gennaio del 1994 non resta che celebrare con solennità il suo ultimo congresso da single e sperare che la frangia più “estrema” del suo elettorato non scappi a gambe levate. Tant’è che Matteoli non può fare a meno di far presente che questo malcontento c’è (e la Mussolini, e Storace e la Santanchè poi che cosa direbbero?). "Questa storia dell'annessione mi fa un po' ridere. Chi ha il nostro percorso politico può farsi annettere?".

Ma Giorgia Meloni, la cocca del leader, corregge subito il tiro: “Non sono d'accordo sul fatto che la destra chiude. I partiti non sono le identità, le identità sono i valori. Stiamo facendo un partito di centrodestra e stiamo portando i nostri valori in un partito di centrodestra".
Quindi annessione, sì, ma con cautela. Per scongiurare a tutti i costi l’effetto camaleonte.
C’è poi anche chi è ultraottimista sull’operazione e si lancia senza paracadute. Come fa Italo Bocchino, che addirittura sostiene che "con il Pdl nasce la vera destra in Italia", aggiungendo che il nuovo soggetto "è lo sbocco naturale di quanto immaginato da Giuseppe Tatarella, che sosteneva la necessità di dialogare con tutte le culture politiche italiane”. Ottimo proposito. Certo, tutto può succedere. Premier permettendo…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.info

martedì 10 marzo 2009

Quando il lato "D" non basta e il fattore "C" è meglio

Oltre le gambe, oltre il sesso, oltre l'aspetto. Oltre c’è sempre qualcos’altro. Per esempio, la dignità, la sensibilità, l’intelligenza. Oggi le donne costituiscono il 70 per cento della forza lavoro in servizi come istruzione, sanità e assistenza sociale: tutti settori meno esposti agli sbalzi d’umore della finanza internazionale. Solo il 25 per cento è invece impiegato nell'industria e notoriamente è meno garantito. Per questo, in tempi di grave crisi economica, finiscono per rappresentare la sola garanzia di stipendio in famiglia.

“Acrobate - a 50 anni dalla pillola anticoncezionale, 40 dalla rivoluzione sessuale e 30 dalla legge 194 - 20 ritratti di donne, in bilico fra la voglia di volare e il frigo da riempire”.
Ci vuole un titolo alla Wertmuller come questo per immergersi a fondo nel variegato e complesso mondo femminile. Nonché un animo in rosa. E non è poi così banale. "La recessione sta invertendo i ruoli nella famiglia tradizionale - spiega la sessuologa Alessandra Graziottin, curatrice della prefazione e degli approfondimenti del libro. “Oggi purtroppo spesso il marito resta a casa in cassa integrazione mentre la donna insegnante, infermiera, impiegata alle poste, esce ogni mattina per andare al lavoro".

La donna deve infatti gestire comunque l'economia domestica, far quadrare i conti e il suo tempo libero si riduce parecchio: le italiane sono in assoluto le europee che dedicano più energie al lavoro familiare (5 ore e 20 minuti), mentre gli uomini del nostro Paese sono esattamente all'ultimo posto con 1 ora e 35. "Ma l'emergenza, paradossalmente, aumenta la spinta inconscia alla riproduzione", spiega la Graziottin. "Ecco perché è proprio in questi periodi che si assiste a un incremento delle gravidanze indesiderate, per una sorta di atavico istinto alla conservazione della specie".

Ecco, la donna fatica il doppio, scivola sui tacchi a spillo, s’inerpica su stivali vintage e affoga nel trucco. Ma il potere è ancora maschile e maschilista. E magari accavallare le gambe con sensibilità, tatto e con la giusta concentrazione intellettuale, ancora non basta.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 5 marzo 2009

In Parlamento i pianisti non “suoneranno” più neppure in sordina

Ma che musica, maestro?, verrebbe da chiedersi. Dato che il Parlamento è un’orchestra sui generis, che sempre più spesso se la canta e se la suona. Peccato che stavolta la melodia non è che sia stonata, è che proprio non c’è affatto. Perché, dal pomeriggio di martedì 10 marzo, ai pianisti verranno mozzate le dita, almeno virtualmente. È quanto impone il nuovo sistema di voto elettronico, quello sul «modello messicano», basato sulla rilevazione delle impronte digitali dei deputati. A dirigere l’orchestra ci ha pensato il presidente Gianfranco Fini. I suonatori? Una sessantina di cronisti parlamentari che si sono prestati con un certo entusiasmo. Il nuovo sistema di voto con le impronte digitali renderà praticamente impossibile ai parlamentari votare in Aula per altri colleghi. Niente trucchi, niente inganni. Trasparenza innanzitutto. D’ora in poi la tastiera di votazione si attiverà solo se nel frattempo il dito del deputato verrà riconosciuto da un sensore. Ormai votare per altri sarà praticamente impossibile.

La prova generale è filata liscia come l’olio. O quasi. Per qualche rilevatore d’impronta o forse un paio di pulsanti che non hanno funzionato. Qualche minuto dopo mezzogiorno, Gianfranco Fini, paladino della battaglia contro i pianisti, suona la campanella e apre questa speciale seduta con gli "onorevoli colleghi giornalisti" incollati agli scranni dei deputati. Il presidente della Camera spiega passo passo come funziona il meccanismo, che è "estremamente semplice". E poi, il numero dei parlamentari che ancora non ha dato le proprie "minuzie" delle rispettive impronte è "talmente esiguo" che su questa vicenda "non si creerà alcun caso politico".
Le impronte le hanno già date in cinquecento su 630, Fini compreso, anche se il presidente per consuetudine non vota. Al netto di due deputati esentati "per cause fisiche", gli “obiettori” sono 19. Tra loro, il leghista Matteo Brigandì e il segretario del Pri Francesco Nucara sono i più agguerriti. "Ho parlato con i capigruppo - avverte Fini - e mi hanno assicurato che nessuno di loro intende dire 'no' al nuovo sistema. Sono convinto che martedì prossimo, quando ci saranno le prime votazioni con questo nuovo sistema, non saremo in presenza di un numero di parlamentari" dissidenti tale da "costituire un caso politico".

Per sperimentare la nuova tecnica, i cronisti parlamentari votano una finta proposta di legge costituzionale presentata dagli 'aulisti' dell'Ansa e dell'Apcom, per la riduzione a 300 del numero dei deputati. La “legge” passa a larghissima maggioranza. E Fini sorride: "la Camera vi è grata...". Si guadagnerà il tempo che di solito si perde a denunciare i 'pianisti' dello schieramento opposto.
I deputati hanno il dovere di votare solo per se stessi. Non esiste delega sul voto: è un fatto di «moralitè publiqué». E, in tempi di questione morale, non è poco.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.info

mercoledì 4 marzo 2009

Sul fronte pensioni, nessuna galanteria col gentil sesso


Si allunga come quello delle giraffe il collo di chi sperava di andare in pensione alle soglie dei sessanta e invece dovrà fare i conti con un “work in progress” a prova di bomba. Per fortuna c’è ancora un po’ di tempo per rassegnarsi psicologicamente all’allungamento. Perché il fatto riguarda il 2018, quando scatterà la fatidica ora in cui la parità tra uomini e donne si manifesterà anche dal punto di vista previdenziale. Quando cioè gli uomini e le donne che lavorano nel pubblico impiego potranno andare in pensione alla stessa età. Il tetto per le lavoratrici, infatti, così come chiesto dalla commissione europea, sarà innalzato a quota 65, anche se gradualmente e a partire dal 2010. La proposta, che è ancora una bozza, è stata inviata dal governo a Bruxelles per il via libera e solo in un secondo tempo arriverà in Parlamento sotto forma di emendamento che potrebbe diventare legge entro l'estate. Una misura che però per la Cgil non è altro che un "inaccettabile accanimento" contro le donne.

Salta intanto l'ipotesi di un decreto ad hoc sui precari. Nessuna corsia preferenziale per le norme che bloccano la stabilizzazione di chi non ha ancora un posto fisso e lavora nella pubblica amministrazione: le misure restano nel ddl lavoro (lo stesso in cui finirebbe la riforma della previdenza). Ergo, salvi anche i precari per i quali sono in corso le procedure di assunzione e che invece il provvedimento d'urgenza lasciava senza protezione. Il progetto di accelerare accarezzato dal ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta (che annuncia da lunedì il via a un monitoraggio per censire i precari) non ha infatti convinto molti colleghi e lo stesso premier Silvio Berlusconi, secondo quanto riferisce chi ha avuto modo di parlargli, non avrebbe nascosto dubbi circa l'opportunità di procedere a tappe forzate su una materia tanto delicata.
Sindacati e opposizione apprezzano la marcia indietro, anche se Cesare Damiano (Pd) assicura che "la battaglia per stabilizzare i precari della P.A. continuerà, perché - aggiunge - non è tollerabile che lo Stato licenzi i propri dipendenti soprattutto di fronte ad una grave crisi occupazionale". In attesa del via ai lavori parlamentari, l'attenzione si concentra sul capitolo 'previdenza'. Nonostante la maggioranza mostri di condividere l'idea di una riforma complessiva delle pensioni, il governo al momento sembra escludere l'idea di un progetto di ampio respiro: niente innalzamento dell'età pensionabile nel privato, niente ritocchi allo scalone. Il quadro di insieme è troppo fragile, si ragiona in ambienti dell'Esecutivo, per permettersi di creare nuova incertezza fra la gente.

E questo nonostante secondo i conti dei tecnici bloccare ad esempio le due finestre nel 2009 consentirebbe risparmi per due miliardi di euro. E nonostante la richiesta di procedere a una revisione dell'impianto previdenziale arrivi anche da esponenti del centrosinistra. Enrico Letta ieri, Linda Lanzillotta oggi: "Penso ad un all'allungamento dell'età pensionabile per tutti - dice l'esponente del Pd - senza però ridurre le pensioni".
Le risorse, spiega il fronte del sì, potrebbero infatti servire a rimpinguare gli ammortizzatori sociali. Il neo segretario del Pd Dario Franceschini, che insiste intanto con l'assegno per i disoccupati, non prende però una posizione secca sulle pensioni perché, spiega: "Non ci sottrarremo quando verrà il momento, ma è un tema che non c'entra nulla con la nostra proposta". E comunque, sottolinea riferendosi all'innalzamento del tetto per la pensione per le lavoratrici : "ciò che viene tolto alle donne vada alle donne". La strada scelta dal governo rischia insomma di far pagare i costi della crisi alla parte più debole del mondo del lavoro. E di essere decisamente poco galante e cavalleresca col gentil sesso.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.info

martedì 3 marzo 2009

Caro Medvedev, ti scrivo… Così mi distraggo un po’.


Barack Obama fa il lifting agli States. E nell’opinione pubblica mette a segno un bel punto a suo favore. In politica estera, dove il terreno per il cambiamento è più fertile per dimostrare l’inversione di tendenza rispetto alla vecchia e rugosa politica repubblicana del suo predecessore.
Col nuovo presidente torna alla ribalta il tema dello scudo antimissile, vero e proprio boomerang nella politica estera degli Stati Uniti. Ma stavolta con un netto cambiamento di rotta. Perché l’anti-Bush senza sconti ad alimentare e rinverdire il consenso ci tiene. Tant'è che non perde tempo a dimostrare che ora soffia davvero un vento di cambiamento. E si dice pronto a bloccare il progetto dello scudo anti-missile europeo voluto a tutti i costi dal suo predecessore a condizione che la Russia sia disposta ad aiutare gli Stati Uniti a risolvere la questione del nucleare iraniano. Come dire, una mano lava l’altra.
La notizia arriva dal quotidiano russo "Kommersant", secondo il quale il capo della Casa Bianca ha illustrato la proposta in una lettera al presidente russo, Dmitri Medvedev. Se Mosca aiuterà gli Usa a bloccare la corsa di Teheran verso le armi atomiche - continua l’agenzia di stampa russa Ria Novosti - il progetto di installare un mega radar e batterie di missili intercettori in Polonia e Repubblica ceca non sarebbe più necessario.

Al piano si è sempre opposto il Cremlino che aveva anche minacciato (e poi sospeso) il dispiegamento di missili Iskander nella enclave russa di Kalingrad. Un funzionario dell’amministrazione Obama ha confermato alla "Fox News" che il presidente ha scritto una lettera a Medvedev, ma non ha voluto rivelarne il contenuto. «Valuteremo il futuro del piano – ha spiegato - sulla base di un numero di fattori, sul rapporto costi-efficacia, se funzionerà, se ridurrà la minaccia e se la minaccia potrà essere ridotta attraverso la diplomazia con la Russia e gli alleati Nato».

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)