giovedì 30 aprile 2009

Una velina al giorno toglie il medico di torno…

Adriano al di là del bene e del male. In questi giorni in Brasile è apparso il calciatore più felice del mondo. O quantomeno dell’America latina. Negli ultimi tre giorni infatti pare sia stato visto con tre donne diverse. Ormai sempre più a briglie sciolte. Nel calcio come nella vita privata. E se il Flamengo lo attende a braccia aperte, Joana Machado la porta gliel’ha già chiusa da un pezzo. Ora, dopo la fine di un fidanzamento durato due anni, a raccogliere i cocci (si fa per dire) ci hanno pensato prima donna Fragolina, alias Ellen Cardoso, durata il tempo di una settimana, poi donna Caviale, al secolo Eliza Pereira, che ha dichiarato di aver passato una notte di fuoco con l'Imperatore in un albergo di lusso a Barra da Tijuca, quartiere bene di Rio de Janeiro. Infine, sabato scorso, l'attaccante è stato pizzicato all'ingresso del Kabanna Catonho, discoteca di Rio, in compagnia della “Panicat” Dani Bolina, 23enne nativa di Porto Alegre. Le Panicats, molto famose in Brasile, sono un gruppo di quattro bellezze equivalenti delle veline in Italia, con un'accezione un po' più hot: oltre a cantare e ballare, infatti, si cimentano anche con la lap dance. La scintilla tra la Panicat e l'Imperatore è scattata durante l'intervista fatta dalla prorompente brasiliana all'attaccante. Già al termine del servizio sono scattati i primi baci. Poi i due si sono scatenati nella notte di Rio, per poi dedicarsi allo shopping il giorno successivo.
Viene da dire: evviva le veline. È il loro momento. A fianco a vip e calciatori, come in politica, in lista alle Europee. E sempre in lizza per un posto al sole.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 27 aprile 2009

Quel bavaglio sbavato di miele…

Il troppo stroppia. E alla lunga perfino il miele, quando ce n’è troppo, può diventare indigesto. Adulare è un po’ come strisciare, fare millantato credito, lasciare per strada una fetta della propria dignità. E spesso il gioco non regge nemmeno la candela. E per qualche “slurpatina” vile e opportunistica, si finisce per restare con la bava alla bocca.
Dov’è finito quel sano criticismo che permetteva l’autonomia di giudizio e la sana disapprovazione antiomologante? L’esser sempre “fuori dai…”, per poter conservare un minimo di libertà e indipendenza di metodo e di pensiero?
E poi, diciamocelo pure: alla fine a che serve incensare qualcuno, sdoganando immeritate lodi a profusione solo per raggiungere i propri scopi?

Eppure Willis Goth Regier, già autore di Book of the Sphinx e curatore di Masterpieces of American Indian Literature, non sembra essere dello stesso parere, se addirittura nel suo ultimo libro, “Elogio dell’adulazione, fra l’erudito e il faceto”, edito in Italia da De Agostini, non solo ne tesse un imprevisto elogio, ma addirittura pesca nelle alte sfere, scuotendo gli animi assopiti degli adulatori con citazioni da brivido, messe in bocca a fior di personalità del passato. E così, se per Cicerone si trattava dell’ancella dei vizi e Tacito la bollava come veleno, non mancano poi favole divertenti come quella del corvo sul ramo con il formaggio nel becco e la volpe paziente che lo invita a cantare lodandolo, oppure antichi detti come "quando la fortuna ti sorride, ti sta tendendo una trappola" fino a giungere al fatidico "tuttavia". Tuttavia, secondo il filosofo Hobbes si tratta di "un meritevole obbligo", mentre lo scrittore inglese Meredith la definisce la più raffinata delle arti, tanto che Alessandro Magno ne faceva largo uso in politica. Cesare e Cleopatra erano campioni di lusinghe e Napoleone ne era quasi ghiotto.

L’autore, che dirige da tempo la casa editrice University of Illinois Press, guida il lettore nella storia, nelle tattiche e nei principi che regolano l'adulazione. Lev Tolstoj scrisse che " nei rapporti migliori, anche i più amichevoli, l'adulazione e la lode sono altrettanto necessarie del grasso alle ruote perché girino". Erasmo da Rotterdam meditò in maniera ancora più profonda: "Pensate a quegli uomini selvaggi spuntati dalle caverne e dalle foreste: quale forza ha fatto sì che si unissero in una società civilizzata se non l'adulazione?". Sì, certo. Però, con tutti i rischi del caso (innegabile, l’autore ha avuto una buona dose di coraggio), bisogna ammettere che senza false lusinghe si camperebbe molto meglio. Citazioni a parte.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 21 aprile 2009

Se potessi avere mille euro al mese…

Davvero basta così poco per essere felici? Una mogliettina giovane e carina, un modesto impiego, una casettina in periferia? Eppure, in tempi di magra come i nostri, c'è perfino chi a trent’anni suonati, si accontenterebbe (si fa per dire) quantomeno di un lavoro dignitoso per campare. Nell’attesa straziante di poter realizzare finalmente il sogno di una vita.

Massimo Venier, già autore di Aldo, Giovanni e Giacomo, con “Generazione 1000 euro”, il suo settimo film in uscita nelle sale cinematografiche il 24 aprile, rinnova le piaghe ai bamboccioni di Padoa Schioppa e racconta di Matteo (Alessandro Tiberi), un ragazzo come tanti, lavoratore precario a progetto in una spietata multinazionale milanese. Talento della matematica, Matteo divide il suo appartamento con Francesco, genio della Playstation e grande appassionato di cinema. La sua vita potrebbe cambiare in modo drastico dopo l'arrivo, nell'azienda in piena fase di ristrutturazione, del nuovo vicedirettore marketing Angelica (Carolina Crescentini) che gli offre una grande opportunità di promozione personale, e per coinvolgerlo nei suoi progetti non esita a "usarlo", anche fisicamente. Nel frattempo a casa di Matteo arriva una nuova coinquilina, Beatrice (Valentina Lodovini), che diventa in breve l'altra donna arrivata a sconvolgere la vita del ragazzo. Messo alle strette, nella scelta tra lavoro e sentimenti, Matteo prenderà una decisione. E sarà imprevedibile. Saprà cogliere l’occasione di fare davvero carriera e di stravolgere la propria vita?

Diversamente da “In questo mondo libero” di Ken Loach, in cui regnava sovrana la rivincita del precariato ed Angie, la protagonista, dopo un licenziamento, decideva di mettersi in proprio per creare un'agenzia finalizzata allo sfruttamento del lavoro degli immigrati, “Generazione 1000 euro” fa il paio a “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì ed esce quasi in contemporanea con “Fuga dal call center” di Federico Rizzo.
“Questo film tenta di raccontare il modo in cui sono cambiate le prospettive per chi si era appena laureato negli anni '80 e chi oggi si confronta per la prima volta con il mondo del lavoro", spiega Venier. “Prima c'era ancora la possibilità di avere il posto fisso e magari ci si chiedeva se quello fosse davvero il lavoro della vita. Ora il vero dramma del precariato è rovinare l'età in cui dobbiamo confrontarci con i nostri sogni".
L'importante è continuare a volare alto e, in attesa di tempi migliori, non strisciare troppo per terra.

Elena Orlando
(elyorl@tiscali.it)

domenica 19 aprile 2009

Irresistibili sogni di gloria

Col sorriso negli occhi, riprendeva fiato a ogni nota. Quasi la sua energia vocale non avesse mai fine. Il suo obiettivo era lasciare un segno indelebile nella storia della musica pop. E aveva deciso di farlo scomparendo proprio nel momento di maggior successo. Quella sera, l’ultima prima del suo definitivo ritiro dalla scena, aveva deciso di trascorrerla in mezzo al suo pubblico, tra quelli che l’avevano adorato e amato profondamente, tra chi aveva a casa la collezione completa dei suoi dischi e chi faceva salti mortali ogni volta che doveva arrivare a un suo concerto fregandosene dei chilometri da fare, tra chi si accalcava come un forsennato sotto il palco solo per un autografo, mezzo sorriso e un’occhiata lanciata di fretta e chi lo seguiva ossessivamente fin dagli esordi, illudendosi di poterne controllare ogni singolo cambiamento artistico e personale, tra chi collezionava riviste di gossip per conoscere i suoi nuovi presunti amori e chi avrebbe fatto carte false pur di avere un rapporto confidenziale con lui. Quella sera Michael voleva fissare per l’ultima volta negli occhi lo sguardo adorante di migliaia di ragazzine in lacrime per lui, solo per lui, che gli avevano aperto il cuore semza nemmeno conoscerlo, dandogli un’importanza che forse neppure meritava.
Voleva farlo un po' per gratitudine, un po' per narcisismo. Ormai era alla resa dei conti. Ma gli addii hanno sempre un sapore amaro. E quella sera Micheal si sentiva come se avesse il fiele in bocca. Il suo animo era come attraversato da un fuoco incandescente, adrenalina e angoscia si rincorrevano nelle vene. La voce rauca come non mai faceva vibrare senza alcuna pietà le corde vocali.
Aveva indossato quella t-shirt nera con la scritta argento “I love you” che Mirella, una fan abruzzese, gli aveva lanciato all’ultimo concerto a Pescara. Sulla pelle il brivido della brezza marina, ma anche di un congedo che l’avrebbe consacrato per sempre come un mito intramontabile. Forse. Un piacere indescrivibile al solo pensiero, per uno come lu,i di scorza ruvida, senza mezze misure, cresciuto a birra e Rolling Stones con pochi soldi in tasca e molti sogni nel cassetto, qualche graffio di troppo sull’anima e una testa affollata di idee sparse a casaccio.
Qualche istante prima di salire sul palco, il fiato corto di chi sta per giocarsi l’ultima partita. “Voglio emozionarli come non sono mai riuscito a fare prima d’ora”. Dall’altra parte lo attendevano con ansia. Le urla gli rimbombavano nella testa. Era il momento di riapparire sul palco, dopo un brevissimo intervallo. Appena il tempo di qualche prova e un pauio di sorsi d'acqua calati giù a forza dietro le quinte. L’inseparabile chitarra elettrica non aspettava altro che le sue mani vaganti che si muovevano a ritmo accelerato, come quello del cuore che gli batteva nel petto. Dentro di sè, lo sapeva bene. L'emozione che avrebbe provato lassù avrebbe cancellato ogni angoscia. Chissà se quella sera sarebbe stata davvero l’ultima.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 17 aprile 2009

Ma dove vai se il portafoglio non ce l’hai

La velina chiama? Il calciatore risponde. Il binomio funziona, eccome. E resiste con una certa caparbia insistenza all’onda d’urto del tempo che passa e affievolisce l’afflato carnale. Parliamo di gossip di casa nostra? Macchè. Siamo volati in Inghilterra, planando morbidi tra le curve al vento delle WAG (Wife and Girlfriends), semidee splendenti di luce riflessa. Dalla scheletrica Victoria Beckham all’arrembante Abigal Clancy. Una recente ricerca ha dimostrato che i luoghi comuni sono tutti veri: le donne guardano molto status sociale e conto in banca per scegliere il proprio partner. E cosa c’è di meglio di un calciatore belloccio, fisicamente ben messo e con tanti milioni di euro a disposizione?


Footballers’ Wives ci ha insegnato qualcosa. La con-turbante fiction sulle proto-Wags che poi si sono manifestate in tutto il loro splendore nei successivi Europei e Mondiali di Calcio sulle tribune, sempre maledettamente in posa. Victoria Beckham è la “fondatrice” del movimento, ma nella classifica del sito Gunaxin è all’ultimo posto, il 100esimo!
Passando in rassegna la classifica, si scopre che al posto numero 96 c’è Daniela Fontani, fidanzata con Alessandro Gamberini al terzo Federica Ridolfi (Giuliano Giannichedda). Cè poi chi sta uscendo da poco con un calciatore come la 73esima Elena Bonzanni (Behrami) e chi invece fa coppia ormai da tempo come Santarelli e Corradi (33esimo posto). Ci sono perfino le ex fidanzate celebri come Alessia Fabiani (Tacchinardi) e ovviamente Elisabetta Canalis che usciva con Vieri e con “svariati altri giocatori”, come dice il sito che la piazza al 15esimo posto. La rivale storica Melissa Satta è al 31esimo.

Ma anche mogliettine niente male come la 90esima Caroline Calico (Kakà), la 92esima Mertz (Bazzani), 71esima Alice Bregoli (Gilardino) e le neomamme come Aida Yespica (Ferrari) al 43esimo posto. Italiana ma con un ex celeberrimo è Letizia Filippi che è uscita per qualche tempo con Cristiano Ronaldo e che si piazza 63esima. Coppia estera che vive in Italia al 30esimo posto: Helen Svedin e Luís Figo, solidamente insieme così come la 20esima Martina Colombari e Alessandro Costacurta e la settima Ilary Blasi con Totti. Sempre alla Roma al 16esimo posto c’è Rosaria Cannavò che attualmente frequenta Christian Panucci.
Buffon è il numero uno dell’Italia, sua moglie Alena Šeredová è “solo” al sesto posto, ma chi vince questa classifica gustosissima? Abigail Clancy che sta con Peter Crouch… Niente è impossibile.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 16 aprile 2009

Il Che-Benicio non convince, neppure col sigaro in bocca



Di carisma ne ha da vendere. Eppure il volto ruvido di Benicio Del Toro nei panni del “Che-L’argentino” non ha bucato il grande schermo. Sarà il segno dei tempi, che – dopo un tiepido week end di Pasqua al cinema – relegano al sesto posto la pellicola di Steven Soderbergh a metà tra fiction e documentario, bruciata sul tempo dalla nuova creazione fantascientifica di Dreamworks, “Mostri contro alieni”, in testa alla classifica dei film più visti da due settimane. O forse è tutta colpa dell’interpretazione troppo sottile e un po’ sottotono del premio Oscar portoricano (“Traffic”, 2000).
O forse semplicemente perché ha assunto un tono sbiadito, quel 26 novembre 1956, quando Fidel Castro salpa per Cuba con 80 ribelli. E tra questi spicca Ernesto Guevara, un medico argentino che condivide il sogno di Castro di rovesciare la dittatura corrotta di Fulgencio Batista. Ben presto Ernesto impara l’arte della guerriglia e decide di fare il combattente, non più il medico. I suoi compagni lo ammirano e i cubani lo ribattezzano “Che”, un appellativo molto popolare in Argentina. E così la marcia per giungere all’Avana dura due anni, un lungo periodo viene speso tra le montagne della Sierra Maestra, dove avvengono combattimenti, arruolamento e addestramento di volontari. La colonna del Che conquista Santa Clara e si riunisce con le altre colonne di rivoluzionari per conquistare la capitale.
E dire che ci sono voluti sette anni per mettere in scena questo incasellamento di combattimenti, appiccicati gli uni agli altri indistintamente senza porre mai l’accento sullo scopo di ogni singola azione.
E alla fine il tentativo di far conoscere l’uomo e il percorso che lo ha portato a fare determinate scelte non è perfettamente riuscito.
In compenso, la fotografia è, in molte scene, calda e alimenta l’atmosfera passionale dei guerriglieri che combattono fino allo stremo delle forze pur di raggiungere il proprio obiettivo. Particolare di non poca rilevanza: il regista ha voluto usare solo la luce naturale. Hasta la vista, siempre!

martedì 7 aprile 2009

Il sole di Puglia brucia il big mac di MacDonald's. Ma cucina a fuoco lento la "focaccia blues" di Altamura

A volte i conti non tornano. E così quella che doveva essere un’americanata con l’olio e il sale e tanto di pinzimonio è andata in fumo. Del resto, ad Altamura, patria di uno dei pani più famosi d’Italia, il McDonald’s non poteva di certo rimpiazzare il menu locale e genuino. E alla fine la focaccia ha fagocitato l’hamburger, mandando in fallimento la sede di 550 metri quadrati del gigante americano dei fast food che era stata aperta nel 2001. Un flop condito ad arte dal panettiere Luca Di Gesù, che all’epoca decise di aprire una piccola bottega proprio accanto al MacDonald’s, mettendolo in crisi e costringendolo a chiudere.
È dunque un fatto realmente accaduto a ispirare “Focaccia blues”, il film commedia diretto da Nico Cirasola (che ne ha curato anche la sceneggiatura), in uscita dal 17 nelle più grandi città italiane. Dieci copie in tutto. Un inno alla Puglia e alle sue tradizioni enogastronomiche, in cui Renzo Arbore e Lino Banfi, travestiti da cuochi con tanto di grembiuloni in pura plastica, s’interrogano se sia meglio il lampascione o il cardoncello.
La pellicola, presentata in anteprima nazionale al Festival del Cinema Europeo di Lecce come “Evento Speciale”, vede tra gli interpreti la presenza amichevole di Michele Placido e del governatore della Puglia Nichi Vendola.

Alla vicenda reale s'intreccia anche una favola d’amore tra due giovani, un fruttivendolo (Dante Marmone) ed una sua cliente abituale (Tiziana Schiavarelli), entrambi fan della focaccia. Con le continue incursioni di due personaggi televisivi impersonati da Lino Banfi e Renzo Arbore, protagonisti di un esilarante sketch di “Telecucina” in cui litigano per i più futili motivi, ma sempre con una incisiva dose di umorismo. Michele Placido è invece un nostalgico proiezionista cinematografico e Nichi Vendola è il combattivo esercente di una piccola ma valida monosala d’essai.
Alla presentazione della pellicola, Renzo Arbore ha sottolineato: «La globalizzazione non è un nemico. Ci sono delle cose che vanno globalizzate e delle cose che devono assolutamente rimanere. È un po’ quello che la musica ha fatto nel mondo. Il blues è una musica globalizzante. Tradizione e globalizzazione devono convivere».
Poi, a proposito dei McDonald's, ha confessato: «Io mangio saltuariamente al McDonald's, soprattutto quando vado all'estero, non lo disprezzo affatto». Magari, messo proprio alle strette, potrebbe cedere più facilmente alle lusinghe della semola di grano duro infarcita di olio, pomodoro e qualche oliva nera. E all’ultimo momento tradire senza troppi rimpianti un lipidico e capitalistico big mac di 560 calorie. Il tradimento è sempre in agguato...

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "Reporter Nuovo".

lunedì 6 aprile 2009

Giampaolo Giuliani: una voce che ha gridato nel deserto

La terra trema. Qualche volta, accade. E sentirsela tremare sotto i piedi non è proprio una bella sensazione. Così, ieri notte, alle tre e mezza, mi sento improvvisamente vacillare il letto, manco fosse un orologio a pendolo. Mi ritrovo su una zattera, in mare aperto. Le chiavi appese alla porta seguono il movimento del letto. Le pareti sembrano piegarsi da una parte e poi dall'altra. Pochi secondi per capire che a Roma era arrivata l'eco di una strage. La conferma l'indomani, quando su internet e dai tg si apprende la notizia. Terremoto a L'Aquila. Magnitudo 6,3. 50 gli sfollati, 92 le vittime (il numero sta crescendo di ora in ora). Crollano : una parte della Casa dello Studente, l'edificio della Prefettura, l'hotel "Duca degli Abruzzi", la cupola della Chiesa delle Anime Sante. Viene fatto evacuare l'ospedale. L'indomani mattina le strade appaiono invase dai calcinacci, tutti gli edifici pubblici dichiarati inagibili. Il premier Silvio Berlusconi ha attivato il fondo catastrofi dell' Ue.
Insomma ieri notte si è materializzato lo spettro di un mostro imprevedibile, infame e assassino, che quando arriva non fa sconti.
Come al solito, non manca una zona d'ombra parecchio inquietante. Un tizio di nome Giampaolo Giuliani, tecnico dell’INFN dei Laboratori del Gran Sasso, qualche giorno fa l'aveva annunciato. Peccato che nessuno si sia preoccupato di prendere in tempo le giuste misure per attutire la strage, e invece abbia lasciato il capoluogo dell'Abruzzo sfarinarsi come una pasta frolla maleficamente indigesta.
Ora allo choc e al dolore deve seguire subito un piano concreto di adeguata ricostruzione.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 3 aprile 2009

Palermo aspetta il Toro sontuosa e oscena

Malafemmena è Palermo. Di una bellezza sfatta e arcana, inquieta e assassina. Eroica, disperata, ribelle. Persa nelle stanze chiuse dei suoi salotti nobili, con tutto e il contrario di tutto e in cui tutto cambia per restare esattamente com'è. Con l’eco che diffonde l'omertoso silenzio per le strade, col chiasso spocchioso della Vuccirìa dove, tra via Roma, la Cala, il Cassaro i mafiusi e i galantuomini respirano l’anima vera del capoluogo siciliano. Il luogo in cui la vicinanza al porto cittadino stimolò l'insediamento di mercanti e commercianti genovesi, pisani, veneziani, sin dal XII secolo. Il luogo in cui la presenza di numerosi artigiani è ancora leggibile dai nomi di alcune strade (via Chiavettieri, via Materassai, via dei Tintori, ecc.).

Palermo è un fiore essiccato dalla mafia e dal sole infuocato di Sicilia. Un imbarazzante melting pot di culture sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Una bomba a orologeria pronta in qualsiasi momento a esplodere, come avvenne in via D’Amelio quando si fece fuori Paolo Borsellino. Un colorato puzzle di storie. Il luogo dove per secoli popoli e civiltà si sono incontrati all’ombra del Mediterraneo. È qui che i Fenici nel VII sec a. C. posero la prima pietra di Ziz, poi Panormus (dal greco, tutto porto).

Il periodo felice della città ha inizio sotto il dominio arabo (IX sec. d.C.), quando diviene uno dei principali centri islamici in occidente. La città si espande e nascono nuovi quartieri urbani al di là dei confini del centro storico detto il Cassaro (dall'arabo Al Quasr, il castello, antico nome anche della via principale, oggi corso Vittorio Emanuele). In particolare, nei pressi dello sbocco sul mare nasce la Kalsa (da al Halisah, l'eletta), quartiere fortificato e residenza dell'emiro. Nel 1072 la città cade in mano al normanno conte Ruggero, ma il passaggio non avviene in modo violento: ai mercanti, gli artigiani e più in generale alla popolazione musulmana (ma anche di altre razze e religioni) viene consentito di continuare a vivere e a esercitare la propria professione. E' proprio questo che permette il diffondersi dello stile poi detto arabo-normanno, bellissima miscela di motivi sia architettonici che decorativi. La città prospera e si arricchisce di apporti delle diverse culture.

Ruggero II, figlio del "conte", amante del lusso, fa nascere ovunque giardini di foggia orientale con lussuosi palazzi (la Zisa, la Cuba) e si circonda di letterati, matematici, astronomi e intellettuali provenienti da ogni luogo. Dopo un breve periodo di scompiglio e decadenza, Palermo e la Sicilia passano nelle mani di Federico II di Svevia (1212), sotto il quale la città riacquista centralità e vigore. Si susseguono gli angioini, cacciati alla fine della cosiddetta Guerra del Vespro, gli Spagnoli e, nel '700, i Borboni di Napoli che vestono la città di palazzi barocchi. L'Ottocento segna l'apertura della città ai commerci e alle relazioni con l'Europa. La borghesia imprenditoriale è la nuova forza economica e la nuova "committente". E la città allarga i suoi confini. Viene inaugurato il viale della Libertà, continuazione di via Maqueda, e il quartiere che vi sorge attorno si arricchisce di creazioni liberty. Ed è purtroppo l'ultimo guizzo, seguito da un periodo di stasi che vede susseguirsi i bombardamenti dell'ultima guerra, il terremoto del 1968 ed un lento, ma corrosivo degrado dei quartieri medievali.

A Palermo, il 5 aprile il Toro si giocherà un altro capitolo di storia di questo campionato. E non sarà facile battere una squadra che non si accontenta della Uefa. Diciamo pure che non si accontenta e basta. I rosanero di Ballardini guardano sempre oltre e puntano addirittura alla Champions. Bella sfida, dunque, per i granata. Perché quando il gioco si fa duro, c’è più gusto. Ora Alessandro Rosina e compagni dovranno solo non esagerare troppo con le sarde a beccafico e la cassata di ricotta. Ipercalorici come sono, potrebbero compromettere sul serio il buon esito della partita.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 1 aprile 2009

Il ruggito della Carfagna: voglio un Pdl con la gonna

In politica è meglio una bionda procace o una mora precoce? La domanda è d’obbligo se qualche giorno dopo il gran raduno del Popolo della libertà, Mara Carfagna se ne esce con una lettera ai tre coordinatori Ignazio La Russa, Sandro Bondi e Denis Verdini anticipando un bel nodo da sciogliere, motivo ricorrente di sdegno e indignazione ogni volta che ci si avvicina alla zona calda delle nomine. A breve verranno designati venti coordinatori regionali. Tutti maschi. Bella fregatura per il gentil sesso. E infatti alla Carfagna il boccone amaro proprio non cala giù. E dopo l’annuncio delle nozze, tira fuori gli artigli.

«Ti segnalo - scrive la ministra per le Pari opportunità nella missiva già spedita - l'esigenza di garantire un'adeguata rappresentanza femminile nel momento in cui procederete a valutare le nomine dei coordinatori territoriali e dei loro vicari». E gioca di sponda, citando Silvio Berlusconi come fonte di legittimazione delle donne al vertice: «Sento il dovere di sottoporre alla Tua attenzione questa necessità come ministro per le pari opportunità e come responsabile uscente del movimento femminile di Forza Italia, anche alla luce di quanto affermato dal Presidente Berlusconi in occasione della sua replica al congresso nazionale circa la necessità di superare il divario di genere esistente in politica». Una garanzia per tutte le femmine "in tiro" che sperano di sottrarsi al tiro al bersaglio maschile. Il premier non dovrebbe opporre resistenza. Non a caso alla Fiera di Roma aveva dichiarato: «Alle Europee candideremo il 50% di giovani e donne, Fini è d'accordo». E si era perfino vantato di aver messo in lista alle scorse elezioni «una quantità di donne mai vista».

La lettera si conclude con garbo: «Ritenendo che il primo partito italiano debba essere un modello per le pari opportunità, sono certa che valuterai con attenzione e con la sensibilità che hai sempre dimostrato le questioni che Ti ho posto. Cordialmente».
Ma ormai i conti sono fatti e i nomi già decisi. Tutti maschi. L'unica partita ancora aperta si gioca in Sicilia tra Angelino Alfano e Gianfranco Miccichè.

Quindi la Carfagna se la canta e se la suona. E lei in fondo lo sa bene. Ora non le resta che sperare nei vice. È lì che la ministra conta di portare a casa parecchie donne. I have a dream, scandisce con gli occhi sgranati e dal caschetto moro, ultimamente sempre più magra: che un giorno si nomini una coordinatrice nazionale donna. E magari che sia proprio lei, perché no. Ma è meglio non essere troppo precoci. Si sa, certi ruoli richiedono qualche grammo di esperienza politica in più. Al momento, meglio limitarsi alla missiva e a qualche sorriso per la stampa. Poi si vedrà. Tanto a femmena è femmena. Anche in politica. E il premier se n’è già reso conto da tempo.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)