venerdì 26 novembre 2010

Pierluigi Bersani: fisionomia di un leader mancato da trenta e lode


Ci fa ma non lo è. Un leader in prestito, anzi, in supplenza temporanea, magari al posto di chi proprio non se la sente o non esiste nemmeno. Un leader di un partito invisibile, in stile casual, con tono pacato e lo sguardo imbronciato. Serioso fino in fondo, anzi fino alla noia. Tant’è che alla stregua di un monaco buddista va predicando ogni giorno lavoro, lavoro, più lavoro per tutti. E quando il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini gli dà dello «studente ripetente», criticando la sua scelta di salire sui tetti della Sapienza, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani proprio non la digerisce. E stavolta replica come un vero leader d'avanguardia, al passo coi tempi, sulla bacheca di Facebook, con un link a Flickr, il portale per condividere foto in rete, pubblicando una copia del suo libretto universitario. Una sfilza di 30 o 30 e lode e un solo 28. Voti conseguiti all'Università di Bologna.


«Come promesso, ecco i miei voti del corso di Filosofia, Storia del cristianesimo in cui mi sono laureato con 110 e lode», scrive online il segretario dei democratici. Invitando Mariastella Gelmini a fare la stessa cosa. Tutti 30, in alcuni casi con lode, in materie come Letteratura italiana, Storia romana, Medievale, moderna, del Risorgimento, Storia della Chiesa, Storia del cristianesimo, Antropologia culturale, Storia delle dottrine politiche, Psicologia, Storia della filosofia, della filosofia antica e medievale, Filosofia della storia. Solo un 28, il voto più basso, in Letteratura latina.
Ma se ci fosse stato un voto in capacità carismatiche, la media si sarebbe abbassata senz’altro. Come dire: un vero leader io? Non proprio…

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

sabato 20 novembre 2010

I voli barbarici e pindarici di Maria Luisa Busi



Una corsa a ostacoli, l’intervista di Daria Bignardi a Maria Luisa Busi. La giornalista Rai, ospite delle “Invasioni barbariche”, dopo il divorzio da Augusto Minzolini, che in un battito di ciglia l’ha fatta sparire dal video, e il flop di “Articolo 9” su Raitre, ha dovuto raccontare al pubblico perché tanti anni fa ha scelto la Rai anziché Mediaset e tanto altro ancora. Nel suo libro “Brutte notizie” (Rizzoli, 270 pagg., € 18,00) ne parla ampiamente. In copertina algida e professionale, occhi di ghiaccio e chioma fluente, dalla Bignardi è apparsa assai sulle spine, stretta in un vortice di polemiche che ha elettrizzato i suoi lunghi capelli biondi e scavato due occhiaie impossibili da mascherare anche col più coprente dei fondotinta. Mani tremanti e gesti a scatti, gli occhi piccoli e inquieti si agitano come spille incandescenti. La Busi siede di fronte alla conduttrice e racconta che il Cavaliere in persona, tanti anni fa, con un gesto di galanteria, durante un incontro le mette in mano un po’ d’va e poi le chiese, presente Gianni Letta, di entrare a far parte della grande famiglia Mediaset, visto che cominciava da poco l’avventura del Tg5. Proposta indecente per la giornalista, convinta sostenitrice del servizio pubblico, che invece sceglie mamma Rai e, guarda caso, rivela che da lì a poco sarebbe passata dalla conduzione dell’edizione mattiniera del Tg1 a quella delle 13,30. Al gran rifiuto segue un complimento finale del premier che prima di salutarla le dice: “Peccato, lei è un bel bocconcino, sa?”. Complimento che stravolge la Busi, che ne resta quasi sconvolta.

Poi il racconto continua. La Bignardi legge brani del libro scritto con particolare enfasi e occhio cinematografico. E si arriva alla contestazione dell’Aquila quando, durante un servizio, la gente grida alla giornalistae alla sua troupe “Vergogna!”. La Bignardi chiede: “Secondo te quelle persone avevano ragione?”. Lei risponde senza esitare nemmeno un attimo con un secco “Sì”. La Bignardi approfondisce, affonda il dito nella piaga, vuole arrivare al bandolo della matassa, la famosa lettera “ponderata” di dimissioni che la Busi scrive poi a Minzolini: “Ma perché voi del Tg1 dovevate vergognarvi?”. E lei: “Beh, perché non si davano (e non si danno) più le notizie, non si racconta più il Paese vero, reale, quello dei cassaintegrati, degli operai Fiat che protestano sui tetti, delle donne costrette a togliersi il sangue (il riferimento è al caso dell’infermiera suicidatasi per disperazione)”. La Busi parla in fretta, affoga nello tzunami dell’emotività, mostra un lato di sé molto meno controllato e asettico, parla velocemente, dà chiari segni di nervosismo e agitazione. E precisa: “Io ho sempre rispettato le regole. Mai un abito firmato, macchine, ecc. Di chi lo fa non m’interessa. Io parlo per me”. E si conquista l’applauso.

Non nasconde la sua vena di sinistra anche se dice di non essersi mai esposta più di tanto. Ma ribadisce un concetto: ha scelto la Rai perché credeva profondamente nel ruolo del giornalismo da servizio pubblico.
Fin qui, il riscatto, l’apologia dell’etica professionale, della professionalità allo stato puro.
Che peccato. Alla fine la Busi inciampa e scivola inesorabile su una buccia di banana, parlando di come entra in Rai,
quando si veniva trattati in un certo modo, c’era rispetto per i “grandi maestri”, ogni gesto era permeato di un certo formalismo che lei rimpiange parecchio. “Ebbi un colloquio con Bruno Vespa. Mi chiese perché volevo fare questo mestiere e io senza pensarci troppo gli risposi “perché è l’unico modo per coniugare creatività e impegno civile”. Clamoroso. La risposta le costa l’assunzione immediata, con tanto di contratto a tempo indeterminato e lacrime di gioia.
Beh, francamente, cara Busi, quantomeno a questo non ci crede nessuno.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

domenica 14 novembre 2010

La contessa di Castiglione? Meglio delle escort



Due linee che a un certo punto sembrano quasi incontrarsi, incrociarsi, sovrapporsi e confondersi, ma che poi inesorabilmente divaricano, diventando due linee parallele che invece non s’incontrano mai. Quale potrebbe essere mai il punto d’incontro tra Nadia Macrì o Ruby Rubacuori e le altre e Virginia Oldoini, meglio nota come la contessa di Castiglione? Apparentemente l’uso del proprio corpo. Ma poi di fatto proprio un bel niente.
La riflessione nasce leggendo “Viva l’Italia!”, l’ultimo libro di Aldo Cazzullo edito da Mondadori, una sfilata con, in passerella, le imprese eroiche di un gruppo di partigiane impegnate a “fare l’Italia” . Storie tutte al femminile (da Cristina Trivulzio di Belgioioso, nobilissima lombarda che affascina Hayez e Stendhal ma combatte anche nelle Cinque giornate di Milano a Marianna De Crescenzo, che accoglie Garibaldi a Napoli alla guida di uno squadrone). Insomma storie di donne con gli attributi, come ormai non se ne trovano quasi più.

Ma torniamo a Virginia Oldoini, anzi alla contessa di Castiglione e alle famigerate escort dei nostri giorni. L’una fece tesoro della sua intraprendenza e del suo fascino, forse un po’ imbarazzanti perfino agli occhi del cugino Cavour che non esitò neppure un attimo a mandarla in “missione” da Napoleone III per questioni più nobili (perorare la causa dell’alleanza franco-piemontese). Le altre fanno tesoro della propria bellezza per un pacchetto di soldi, pillole di notorietà e fango mediatico.
Così dalla “statua di carne” (così era soprannominata la contessa) a carne da macello il passo è breve. E la prospettiva decisamente cambia. La moderna e intelligente spregiudicatezza della contessa le costerà una lussuosissima ospitata a Compiègne, mondanissima, costosissima. Magico luogo dove la contessa fu per un anno l'amante pressoché ufficiale dell'imperatore, suscitando invidie, grande scandalo e la furia della cattolicissima imperatrice Eugenia. Tanto che la rivalità giunse al punto che, essendo stato l'imperatore oggetto di un attentato nella casa della contessa in Rue Montaigne, si disse che si fosse trattato di una messinscena orchestrata dall'imperatrice stessa per danneggiare la rivale. Nel caso delle escort, solo stralci di dignità calpestata sotto tacchi dodici delle scarpe di raso col plateau.

E se l'intrigo tra la contessa e Napoleone III fruttò l'appoggio francese alla partecipazione italiana alla Guerra di Crimea, gli inciuci tra i nostri politici e le varie D’Addario fruttano solo punti in meno a qualche partito nei sondaggi e la conferma che ci si vende per poco. Ma le favole belle non hanno sempre un lieto fine. A un certo punto iniziò la parabola discendente della contessa, il marito chiese ed ottenne il divorzio e morì infine in un incidente, Vittorio Emanuele, divenuto re d'Italia, non fu poi così generoso e la vita dispendiosa della Castiglione si fece sempre più difficile. Anche dal ritorno in Francia non ricavò granché. Si stabilì a Parigi, in un ammezzato di Place Vendôme, chiudendosi nel lutto per la propria bellezza in disfacimento, rifiutando perfino proposte di nuovi e ricchi matrimoni. E morì nella sua casa di Rue Cambon 14, dove era stata costretta a trasferirsi dopo essere stata sfrattata, nel 1893 dal suo prestigioso appartamento acquistato dal gioielliere Boucheron.
E per le escort? Finale in bianco e nero. Anzi, in grigio pallido. Meteore dell’universo del fashion. Nessuno le ricorderà di certo nei libri di storia. A stento qualcuno le ritroverà tra le pagine accartocciate di qualche giornale vecchio e polveroso, ormai sostituito dall’iPad. La causa non era poi così tanto nobile. Delle suites lussuose, dei gioielli, dei vestiti griffati, non resterà nulla. Ma la cosa più triste è che non resteranno i loro nomi, le loro facce, il loro sguardo ammiccante, le loro pose forzatamente sexy, la loro ambizione malata e quel sorriso di plastica. Almeno di Virginia Oldoini se ne parlerà sempre.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)