Arriva con un'aria un po' svagata, gli occhi come accecati dall'immensa luce siciliana. Si ferma a parlare e scrive dediche a ogni passo. Quasi tutti hanno il suo libro in mano. E' il 10 agosto, siamo al Castello Normanno di Aci Castello. Paolo Giordano probabilmente non ha ancora preso coscienza di essere diventato all'improvviso, per l'esattezza da quando ha vinto il premio Strega, la rivelazione editoriale dell'anno. Dall'incontro, è venuta fuori un'intervista, che pubblico qui di seguito, apparsa su "La Sicilia" l'11/08/2008.
Accade così. Alice e Mattia sono come due numeri primi gemelli. Sempre a un centimetro dal contatto. Eppure divisi. Due esistenze, le loro, che si sfiorano, ma non si compenetrano mai fino in fondo. Ed esprimono solitudine, “La solitudine dei numeri primi”(Mondadori, pagg. 304, € 18,00). Lei è una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci. Una mattina di nebbia fitta finisce fuori pista, spezzandosi una gamba. Lui è un bambino molto intelligente, che decide di abbandonare la sua gemella Michela, ritardata, perché la sua presenza lo umilia nei confronti dei suoi coetanei. Entrambi esprimono un disagio con cui diventa sempre più difficile convivere e che segnerà irrimediabilmente le loro vite.
Il romanzo in questione finora ha venduto quasi 600.000 copie e ha vinto il premio Strega, per la quarta volta in assoluto a uno scrittore esordiente. Parliamo di Paolo Giordano, capelli biondi e occhi blu come il mare che circonda il Castello Normanno di Aci Castello, dove ha presentato il suo libro. E’ torinese, ha appena 25 anni, una laurea in Fisica e un dottorato di ricerca con borsa di studio. Prima di lui, solo Flaiano nel ‘47, La Capria nel ‘61 e Barbero nel ’96 erano arrivati a tanto.
Insomma, tutto si poteva pensare, ma non che lei invadesse in modo così netto il campo minato della letteratura, accaparrandosi un premio che nell’albo dei vincitori vanta nomi d’eccellenza del nostro panorama letterario, come Cesare Pavese, Alberto Moravia, Elsa Morante, Giuseppe Pontiggia. Mica si sente a disagio?
“Diciamo che tendo a non rapportarmi troppo coi nomi di questo elenco. Non ne sarei nella condizione e oltre tutto sarebbe un po’ paralizzante. Posso dire che ci si sente con molta fiducia addosso e con l’acquisita consapevolezza di essere uno scrittore”.
Com’è nato il libro? Aveva già un copione in testa oppure sono stati i personaggi che hanno condotto il gioco, aprendo di volta in volta prospettive nuove e imprevedibili?
“Onestamente, prima di iniziare a scrivere il libro, non credevo che potesse accadere, lo trovavo uno snobbismo da scrittori. E invece mi sono accorto che i personaggi mi hanno trascinato, specialmente nella prima parte. Io mi sono limitato soltanto a prenderli per mano e a seguirli in ciò che facevano. Anche se poi, inseguito, sono dovuto intervenire a mettere un po’ di ordine”.
Leggendo il romanzo, si ha l’impressione che cresca tra le mani. Pagina dopo pagina, la storia si fa più complessa, i protagonisti passano dall’infanzia alla fanciullezza e parallelamente a questo anche i ragionamenti e la scrittura si fanno via via più articolati. Si è ispirato alla sua vita oppure racconta fatti e situazioni che nella realtà non ha mai vissuto?
“Il romanzo è costituito da una serie di episodi, raccattati un po’ dovunque. I fatti della mia vita ci sono, ma sono quelli più trasfigurati. Mi sono rifatto in gran parte a episodi accaduti a persone che conosco bene, amici e amiche che mi hanno raccontato molte cose”.
Roberto Cotroneo, scrittore, giornalista e docente di scrittura creativa alla Luiss, sostiene che si scrive per sedurre il mondo. Qual è il suo rapporto con la scrittura?
“Il mio rapporto con la scrittura è stato un amore che ho stentato molto a riconoscere. Per me all’inizio la scrittura era qualcosa con cui avevo paura di misurarmi. Comunque, per quel che mi riguarda, non c’è nessuna funzione terapeutica che, anzi, ritengo estremamente dannosa. Ora la scrittura è diventata una voglia di apertura all’esterno, un vero e proprio ponte che mi permette di comunicare col resto del mondo. In questo caso, mi ha permesso di esprimere un profondo disagio interiore di alcune persone, che altrimenti non sarebbe stato possibile comunicare”.
E quello con la tradizione letteraria?
"Sono un esterofilo. Leggo David Foster Wallace, Raymond Carver, Michael Cunningham".
Lei ha frequentato due corsi esterni della scuola Holden, dove ha incontrato Raffaella Lops, che è diventata suo editor e agente. Secondo lei i corsi di scrittura creativa servono?
“Certo, ma non tanto per individuare le tecniche. Direi che sono necessari perché rappresentano il primo modo per confrontarsi con qualcuno,visto che la scrittura è un’attività in cui sei molto solo con te stesso”.
Veniamo al rapporto tra i giovani e l’editoria. Tra i due c’è un buon feeling?
“Direi di sì. C’è tanto spazio per i giovani e per idee brillanti e originali. Il mio non è un caso dell’altro mondo. Sono arrivato fin qui senza lunghe attese e senza particolari agganci”.
E’ vero che quando il suo editor Mondadori Antonio Franchini l’ha chiamata per dirle che le aveva cambiato il titolo (l’originale era “Dentro e fuori dall’acqua”), lei si è arrabbiato moltissimo?
“Sì (ride), in un primo momento ho perfino fatto fatica ad accettarlo. Ma poi mi ha spiegato che in certe cose devo affidarmi e quest’altro titolo avrebbe funzionato di più”.
Si sta preparando una versione cinematografica del romanzo. Immagino che ora il suo telefono squillerà con maggiore frequenza. Ha già un altro romanzo in testa?
“ A fine anno uscirà un mio racconto ambientato in Congo, dove sono stato qualche mese fa, all’interno di una raccolta edita da Feltrinelli per il progetto di “Medici senza frontiere”. Descrivo la giornata tipo di un medico francese che lavora laggiù. E poi, sì, un altro romanzo voglio scriverlo. Ma con calma. Ho già in mente un personaggio, ma la storia non c’è ancora”.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
lunedì 11 agosto 2008
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8 commenti:
L'intervistatrice è brava. Ma i misteri letterari permangono. Sembra un antipatico illusionista di affabulatorie canzonature. Mi perdoni Paolo Giordano. Mi informerò. Leggerò. Cercherò di seguirla per capire ancora una volta, come sempre più spesso mi capita, qual è il confine tra "prodotto" commerciale e "ispirazione" intellettuale.
La prego di evitare di ripetere «Sono arrivato fin qui senza lunghe attese e senza particolari agganci». Irrita molto. La sua è tutt'altro che una ingenua performance di uno sprovveduto.
Totò diceva in un film "La cucina francese non mi sconfinfera". A me Paolo Giordano non mi sconfinfera. In seguito vedremo...
E già. Sarà che il mistero è parte integrante della letteratura, come la schiuma nel cappuccino. Che cosa sarebbe un cappuccino senza schiuma? Non sarebbe un cappuccino.E così, che cosa sarebbe la letteratura (nel senso più ampio del termine, s'intende)senza il mistero? Non sarebbe letteratura, appunto. Magari Giordano in questo si attiene, senza volerlo, alla tradizione. Chissà... Lo scopriremo solo leggendo...
Certo, quando il mistero s' infittisce, diventa preoccupante.
Breve riflessione sulla scrittura. Giordano snobba la tradizione letteraria di casa nostra (lo avrai notato sicuramente...). Ma per carità, ognuno ha i suoi gusti.
Invece, prova a pensare a quanto in fondo sono diverse la scrittura giornalistica da quella letteraria e da quella dei romanzi contemporanei. In mezzo, ci passa l'oceano. Tre cose diversissime tra loro. Eppure, fortemente unite.
Il giornalista deve accompagnare per mano il lettore, gli deve spiegare ogni cosa che scrive, non può muoversi in modo ambiguo.
Lo scrittore invece, se dice tutto, se dice troppo, se dice subito, rischia di non sedurre il lettore abbastanza, da farlo tornare a casa col vivo desiderio di riprendere a leggere da dove aveva lasciato.
Gli scrittori contemporanei tendono a scrivere (non tutti, certo) come parlano, o meglio, come mangiano. Senza particolari raffinatezze letterarie.
E se invece avvenissero delle piacevoli contaminazioni tra i tre modi di scrivere? Beh, sarebbe bello, no? Senza esagerare, ovvio.
Come vedi, abbiamo di tutto, c'è l'imbarazzo della scelta. A proposito: non imbarazzarti troppo! Scegli con calma e ponderazione. E poi, naturalmente, raccontaci che cosa preferisci.
Attendiamo i tuoi preziosi consigli di lettura. Potrei aprire una rubrica su questo. Ci sto pensando... E.
Molto saggia. Ti ringrazio.
si è vero in pratica molti scrivono da "casalinghi" della letteratura. da escursionisti della rilegatura.
Credo che le contaminazioni sono in atto. Ma se le stratificazioni di stili, generi e argomenti impedisce di stabilire linee di confine, perché si scrive tanto, e si legge ancora poco? Lo scrittore d'oggi, come lo stilista, segue le mode, quasi mai esce fuori dai confini prescritti. Esistono le marche e i sarti che lavorano dietro le quinte. A volte i sarti sono i veri autori dei vestiti, eppure la firma spetta sempre allo stilista. Insomma, i "letterati" del Duemila sono tanti stilisti in erba, che però sembrano scrittori "al playback", pesci con la voce registrata in studio.
E poi ci sono gli "alpinisti della parola"... Mi fermo.
A proposito: lancio un sassolino nello stagno. Ci si può fidare davvero dei premi letterari? E.
Non volevo. Ma tu ami mettere proprio il "dito nella piaga" come dice la tua biografia...
I Premi letterari appaiono di difficile accesso, con giurie chiuse in se stesse, impudichi come i concorsi di bellezza e i dilettanti allo sbaraglio.
Nel recente titolo di un articolo de «La Stampa» spunta pure l'ostilità della Chiesa: La voce del Papa contro lo Strega "Premi di boss e camerieri" (http://www.lastampalavoro.it/redazione/
cmsSezioni/cultura/200807articoli/34607girata.asp).
E si cita «L’Osservatore Romano» che attacca «lo "Strega" assegnato al raccomandatissimo esordiente Paolo Giordano ».
In vita Umberto Saba affemò che i «Premi Letterari sono una crudeltà. Soprattutto per chi non li vince.» Lo stesso pensa Alessandro Zuccari [scrittore, autore televisivo de «Il Grande Talk»]: «è un gioco, ha le sue regole, qualcuno vince e gli altri perdono».
I Premi più noti, lo sappiamo, sono 4: il Viareggio-Repaci (il più antico), il Bancarella, lo Strega, il Campiello (il più recente). In Italia c'è chi si è passato il tempo a contarli tutti: circa 1.600 suddivisi in trenta categorie. Pazzesco!
In una intervista del 2007 il citato Zuccari fa capire che i premi si sono trasformati da luoghi "della mediazione" a giudici monocratici: «nella nostra società l’elemento competitivo è diventato assillante; la società letteraria è diventata molto più complessa e l’idea di fare dei libri che incontrino quasi in maniera preordinata il gusto del pubblico è ormai accettata anche se è una cosa che fino a qualche anno fa in un premio letterario nessuno avrebbe detto».
La «Stampa» appoggia «L'Osservatore romano»: viviamo «una democrazia culturale sottosviluppata e mediatica».
Diversamente, altri pensano sempre e comunque all'onnipresente e preminente aspetto economico dei Premi (a proposito stupisce leggere nei giornali di ieri che la "povera" Vezzali non vuole versare le tasse delle sforbiciate olimpiche da 140mila euro, brava 7+!).
Il "Sindacato degli scrittori" ha avuto il coraggio, qualche anno fa, di spiegare la "movimentazione di denaro" in Italia: « [...] tenendo conto che il monte premi oscilla in genere tra mille e i cinquemila euro, facendo una media si arriva a una somma totale di almeno quattro milioni di euro, a cui vanno aggiunti i costi organizzativi, tra incontri, convegni, cene, uffici stampa, gettoni per i giurati, rimborsi viaggio e albergo e quant'altro. Si può allora tranquillamente stimare che il bilancio economico complessivo si aggiri attorno ai dieci milioni di euro».
Questa è l'attuale politica culturale di sostegno all'attività letteraria. Stop.
Vogliamo parlare del valore dei «Festival»? F. della Creatività, F. della Letteratura, F. del Racconto, F. della Filosofia, F. della Scienza, F. dell'architettura, F. del giornalismo, F. della biodiversità, F. della Matematica, F. della Poesia, F. dell'energia, F. dell'economia, F. delle Province, F. della Montagna 2008, F. dei blog (a Urbino), F. delle Città Impresa, F. del gusto, F. delle Sagre, F. del cioccolato, F. della Pizza... Secondo me il migliore è il Festival del Prosciutto di Parma!!! (esiste, non scherzo)
E lo scandalo del "festival" del sesso orale a Zante a metà luglio 2008? Ne hanno parlato il «The Sun» (titolo: Brits held for 'oral sex comp') e «The Daily Mirror» (Nine British women arrested after oral sex competition on Greek island).
Tra tanta diffusa idiozia c'è chi soffre veramente. La Georgia avvolta nel dolore e nessuno muove un dito.
BENE. Grazie a te ora abbiamo un quadretto completo, un'istantanea di una nitidezza sconcertante. Ma guardare in faccia la realtà, come c'insegni a fare, può far solo bene. E non indigniamoci, vi prego! Tanto, è sempre quello lo sport nazionale più praticato: la fasulla indignazione.
Le info che ci dà Andrea parlano da sole e non hanno bisogno di essere commentate.(Bravo)
Questa è la cultura in Italia e lo sperparo di denaro. Che vergogna!
Questo è l'indecente business culturale, quando poi c'è invece chi muore di fame, di sete, di sonno, chi vive di stenti e passa le giornate a vendere il cocco bello sulle nostre spiagge, percorrendo chilometri di costa a piedi, sotto il sole cocente di agosto.
Meglio rifugiarsi nel sorriso beato dei bambini, tra le onde del mare, all'ombra di una palma. E.
BUON FERRAGOSTO A TUTTI!!!!
Io farò un giretto alle Eolie con alcuni amici. Baci. E.
Grazie a te. Ciao
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