
Un linguaggio vecchio di duemila anni, che mortifica l’acquario variopinto della lingua italiana in continua evoluzione, e perfino la fantasia, preferendo invece riproporre sempre la solita minestra, ormai scotta e senza sale.
Che il gergo dei giornalisti sia un cadavere ancora in piedi lo si capisce anche dal fatto che si viene considerati giornalisticamente fighi solo se si costruisce un articolo oppure un servizio in un certo modo, con regole fisse, espressioni standardizzate, frasi brevi e a effetto, citazioni in serie. Poco importa se si parla di aria fritta o non si capisce una sillaba. Semmai vuol dire che si è bravi. Insomma, autoreferenzialità innanzitutto. Per fortuna internet sfugge a questa logica, e i siti d’informazione spesso optano per un linguaggio vivo e immediato, anche se un po’ troppo pronto all’ uso, di rapida fruizione e scarsamente meditato.
L’ideale sarebbe raggiungere un giusto compromesso: evitare a tutti i costi i serpenti di mare ma non rinunciare a qualche sano calembour. Magari chiamandoli in un altro modo…
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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