sabato 20 novembre 2010

I voli barbarici e pindarici di Maria Luisa Busi



Una corsa a ostacoli, l’intervista di Daria Bignardi a Maria Luisa Busi. La giornalista Rai, ospite delle “Invasioni barbariche”, dopo il divorzio da Augusto Minzolini, che in un battito di ciglia l’ha fatta sparire dal video, e il flop di “Articolo 9” su Raitre, ha dovuto raccontare al pubblico perché tanti anni fa ha scelto la Rai anziché Mediaset e tanto altro ancora. Nel suo libro “Brutte notizie” (Rizzoli, 270 pagg., € 18,00) ne parla ampiamente. In copertina algida e professionale, occhi di ghiaccio e chioma fluente, dalla Bignardi è apparsa assai sulle spine, stretta in un vortice di polemiche che ha elettrizzato i suoi lunghi capelli biondi e scavato due occhiaie impossibili da mascherare anche col più coprente dei fondotinta. Mani tremanti e gesti a scatti, gli occhi piccoli e inquieti si agitano come spille incandescenti. La Busi siede di fronte alla conduttrice e racconta che il Cavaliere in persona, tanti anni fa, con un gesto di galanteria, durante un incontro le mette in mano un po’ d’va e poi le chiese, presente Gianni Letta, di entrare a far parte della grande famiglia Mediaset, visto che cominciava da poco l’avventura del Tg5. Proposta indecente per la giornalista, convinta sostenitrice del servizio pubblico, che invece sceglie mamma Rai e, guarda caso, rivela che da lì a poco sarebbe passata dalla conduzione dell’edizione mattiniera del Tg1 a quella delle 13,30. Al gran rifiuto segue un complimento finale del premier che prima di salutarla le dice: “Peccato, lei è un bel bocconcino, sa?”. Complimento che stravolge la Busi, che ne resta quasi sconvolta.

Poi il racconto continua. La Bignardi legge brani del libro scritto con particolare enfasi e occhio cinematografico. E si arriva alla contestazione dell’Aquila quando, durante un servizio, la gente grida alla giornalistae alla sua troupe “Vergogna!”. La Bignardi chiede: “Secondo te quelle persone avevano ragione?”. Lei risponde senza esitare nemmeno un attimo con un secco “Sì”. La Bignardi approfondisce, affonda il dito nella piaga, vuole arrivare al bandolo della matassa, la famosa lettera “ponderata” di dimissioni che la Busi scrive poi a Minzolini: “Ma perché voi del Tg1 dovevate vergognarvi?”. E lei: “Beh, perché non si davano (e non si danno) più le notizie, non si racconta più il Paese vero, reale, quello dei cassaintegrati, degli operai Fiat che protestano sui tetti, delle donne costrette a togliersi il sangue (il riferimento è al caso dell’infermiera suicidatasi per disperazione)”. La Busi parla in fretta, affoga nello tzunami dell’emotività, mostra un lato di sé molto meno controllato e asettico, parla velocemente, dà chiari segni di nervosismo e agitazione. E precisa: “Io ho sempre rispettato le regole. Mai un abito firmato, macchine, ecc. Di chi lo fa non m’interessa. Io parlo per me”. E si conquista l’applauso.

Non nasconde la sua vena di sinistra anche se dice di non essersi mai esposta più di tanto. Ma ribadisce un concetto: ha scelto la Rai perché credeva profondamente nel ruolo del giornalismo da servizio pubblico.
Fin qui, il riscatto, l’apologia dell’etica professionale, della professionalità allo stato puro.
Che peccato. Alla fine la Busi inciampa e scivola inesorabile su una buccia di banana, parlando di come entra in Rai,
quando si veniva trattati in un certo modo, c’era rispetto per i “grandi maestri”, ogni gesto era permeato di un certo formalismo che lei rimpiange parecchio. “Ebbi un colloquio con Bruno Vespa. Mi chiese perché volevo fare questo mestiere e io senza pensarci troppo gli risposi “perché è l’unico modo per coniugare creatività e impegno civile”. Clamoroso. La risposta le costa l’assunzione immediata, con tanto di contratto a tempo indeterminato e lacrime di gioia.
Beh, francamente, cara Busi, quantomeno a questo non ci crede nessuno.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

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