sabato 23 luglio 2011

La leggenda Amy Winehouse. Ovvero quando vita e arte si fondono e si confondono

E’ la maledizione del rock, che stavolta diventa quella del soul. Un destino scritto al quale non si può sfuggire. Una terribile profezia che allo scadere del ventisettesimo anno di vita si avvera sempre. Vedi Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison e Kurt Cobain. Sono le 16:30 di un neanche troppo caldo 2 luglio londinese. A soli 27 anni una miscela di alcol e droga segna la fine della parabola musicale di Amy Winehouse, the voice al femminile. La notizia viene diffusa da Sky News e in pochi minuti fa il giro del mondo. Rimbalza su tutti i siti internet e i social network. E su Twitter Kelly Osbourne, figlia di Ozzy, scrive: “ ''Non riesco neanche a respirare ora e sto piangendo cosi' tanto. Ho appena perso una delle mie migliori amiche. Ti amero' per sempre Amy e non dimentichero' mai come eri realmente''.

Impossibile non credere alle coincidenze. Non e' solo nel Club 27, “è anche nel Club dei 5 Grammy in una notte'', fa notare una fan alludendo alla vittoria dei cinque premi il 10 febbraio 2008. ''Se sei un cantante di fama non aver paura di morire a 27 anni, semplicemente preparati''. E’ la sana rassegnazione che si prova ad accettare un destino scolpito tra le pieghe oscure del rock e della sregolatezza. La vera essenza di uno stile musicale che fa pendant con un modello di vita. O semplicemente la musica che diventa essa stessa vita, dentro e fuori dalla scena, sul palco e dietro le quinte, coi riflettori accesi e puntati addosso e nell’oscurità di interminabili notti da soli con se stessi.

Non c’è prova più schiacciante di questa: Amy Winehouse era ciò che cantava e mostrava sul palco.
Una voce potente su un corpo sottile e una chioma nera come la pece e folta da vera Erinni. E quello sguardo languido dei primi tempi, che aveva lasciato via via il posto a due occhi persi e smarriti, impantanati in un’autolesionismo ormai inesorabile verranno ricordati per l’afflato autentico di ogni respiro di una voce unica, inconfondibile, icona della fusione magica di rhythm and blues, soul, jazz e rock and roll.
La ragazza di Enfield cresciuta con Salt-n-Pepa e Sarah Vaughan, che a soli 13 anni aveva già in mano la chitarra e a sedici cantava da professionista, la sola capace di sprigionare sul palco rabbia e fragilità, determinazione, grinta e dolcezza, non ha finito di emanare quel sacro furore che possedeva dentro di sé al mondo intero, quel “daimon” di socratiana memoria che illuminava la sua stella polare rendendola unica e inconfondibile, come quando tenne testa a Mick Jagger in un concerto indimenticabile. Anche con le scivolate degli ultimi tempi, il divorzio traumatico del 2009 da Blake Fielder-Civil e i conseguenti episodi di stalking, oppure quando mandò a quel paese Bono degli U2 o lasciò in tredici un concerto per vomitare dopo 48 ore di bevute o quando, lo scorso 18 giugno a Belgrado, salì sul palco completamente ubriaca senza sapere nemmeno dove fosse e cosa stesse facendo (in seguito a questo episodio, fu immediatamente annullato l’intero tour europeo).

Tutti pensavano, credevano, speravano disperatamente che la bad girl del rock potesse farcela, uscire dalla dipendenza da alcol e droghe, riprendersi. E invece tutto è finito in quel pomeriggio del 23 luglio. Il più bel ricordo? Quello dello scrittore Paulo Coelho, che cita alcuni versi di una sua canzone, Tears Dry On Their Own, ''So we are history, the shadow covers me /The sky above, a blaze that only lovers see'' (E cosi' noi siamo storia, l'ombra mi copre, il cielo sopra di me, una lama che solo gli amanti vedono). Ora Rehab e i brani dell’album di Back to Black, quello di maggior successo che nel 2006 in Inghilterra arriva in vetta alla classifica, diverranno catartici e propiziatori, come la sua voce e quella riga spessa di eye liner che le incorniciava lo sguardo da gatta.
Ora però inizia un’altra storia: la più bella, la più importante e significativa. La leggenda. Con la sua morte giovane Amy Winehouse è già leggenda. E stavolta senza tempo. Perché le leggende del rock durano in eterno.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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