lunedì 4 luglio 2011

A lezione di cooperative learning. Due giorni da incubo

Sfiniti da un anno scolastico ingrato, trascorso a saltare ostacoli tra un’ora e l’altra al ritmo assordante di quella stridula campanella, attraversando la nebbia fitta di corridoi sporchi e stretti che sanno di muffa. Il 27 giugno l’incubo non era ancora finito. Mancava il colpo di grazia, per stendere definitivamente il “corpo docente” per terra. Senza colpo ferire. Ma attraverso un’apparente e ingannevole non violenza tutta demagogica. Un tizio dal tono di voce corrosivo e dai modi blandi entra per due giorni nella vita di 80 persone. Ottanta professori di una scuola di provincia. Ottanta eroi contemporanei. Belle teste ( certo, con le dovute distinzioni) ma senza troppa voce in capitolo. Ma a farli capitolare ci avrebbe pensato di lì a poco quell’uomo anziano con quegli occhiali alla Orazio Kane . Non era ancora arrivato ma doveva ancora sprigionare tutto il suo sadismo. La carta da giocare per camuffare per bene l’operazione era una roba seria, serissima, d’insegnamento d’avanguardia: il cooperative learning. Tradotto in altri termini: una serie di giochi spacca cervello da eseguire in una stanza di passaggio di quella scuola ormai svuotata dai ragazzi, già in vacanza e per le strade a tirarsi i gavettoni. Muti e zitti. “Patite in silenzio, semmai non aveste patito già abbastanza scherni e sberleffi dal ministero e dai vostri allievi”, sembrava pensare tra sé quell’uomo di chiesa, perciò timorato di Dio.

Ma in certe circostanze la pietà umana non serve. Meglio la rassegnazione. Perché espiare le proprie colpe richiede sacrificio. E quelle ottanta persone in veste di docenti seri e professionalmente ineccepibili dovevano espiare una per una le loro colpe. Ingresso sobrio, puntualità massima. Maniche di camicia corte, nessun sorriso neppure accennato. “Meglio mantenere le distanze dalle mie vittime”. Da vero carnefice, non una parola di troppo. Solo un secco richiamo al silenzio e profonda indifferenza per quel vapore che proveniva da una temperatura che alle 9 di mattina aveva già raggiunto i 35 gradi e passa. L’apprendimento cooperativo doveva ancora iniziare. E sarebbe continuato l’indomani. Due intere giornate con solo una sottilissima pausa pranzo di mezzo. Pretendeva rigore e disciplina, quell’uomo. Law and Order. E’ chiedere troppo a una categoria stropicciata , malmenata, offesa e depredata dai propri onori, per asciare solo oneri.
Ottanta persone d tutte le età: dai 29 ai 60. Ma chissenefrega, i docenti sono docenti e basta. Mica c’è il precario più motivato e il collega ormai stanco e usurato, prossimo alla pensione, che conta i gorni che gli restano e manda avanti a stento la baracca. L'insegnante semmai è un cialtrne demotvato (chissà poi perché...) che si gira i pollici nell'ansia di arrivare cols uo misero stipendio alla fine del mese. Ma questa è fantascienza, mica cronaca, nudo realismo verghiano, analisi obiettiva dei fatti!
Mica si capisce che i ragazzi, o meglio i ragazzi di quella scuola, se li metti a giocare, se la ridono di brutto coinvolgendoti magari nelle migliori scene di “Maial College”? E chissenefrega. Patite fino in fondo. Prima di qualche giorno di maritate vacanze.

Alle 9 e dieci inizia il gioco. Ci si sposta per file. No si capisce più niente. Ma è solo l’inizio. Facce smarrite dalla rottura incomprensibile di legami consolidati. “Prima regola: dovete sempre lavorare con partner diversi”. Era mezzogiorno e la temperatura segnava 40 sopra lo zero. Lì dentro vagava un' insopportabile penombra. Fuori un cielo limpido una luce intensa. Ma incurante di tutto ciò, l’uomo continuava ad ammaestrare, indottrinare, promulgare e diffondere i suoi insegnamenti. “Chi non è interessato la smetta di chiacchierare e se ne vada. Avevo detto alla preside di fare iscrivere al corso solo gente davvero motivata”.
L’uomo imperterrito continuava. La strada era lunga. I giochi, tanti. C’era quello di riconoscere le figure. L’uomo distribuisce i biglietti. “Quanti quadrati riuscite a individuare nella figura? Segnate il numero sul foglietto, e anche il tempo”. Scorrevano i minuti, come macigni sugli animi avviliti e le menti appannate di quei poveri docenti. Uno sguardo d’intesa è troppo, una parola d’incoraggiamento un’eresia. “Silenzio, lavorate!”. L’imperativo s’insinua potente e minaccioso. Poco prima della pausa pranzo arriva l secondo biglietto. “Quanti triangoli individuate? Lei quanti ne vede? E lei? Su’ forza!”, incitava l’uomo incurante del trauma emotivo e cognitivo che stava provocando in quegli ottanta cervelli. Peggio che ficcarli dentro un frullatore. Ma l’uomo, imperterrito, aveva già predisposto il piano b: quello della siesta. E dopo il caffè, si gioca con le carte. Piccole, di cartoncino rigido. Di tutti i colori. I docenti, disposti in gruppi di quattro, devono rimettere in moto la logica e costruire frasi che abbiano un senso. Ma si devono aiutare. In silenzio, senza pronunciare neppure una parola. E a chi sembra di trovarsi nel Castello di Kafka, si allontani. Non è un docente eticamente corretto. La sua etica sta sotto i piedi.

Si tenta, e poi si ritenta. Cooperazione, please. Niente chiacchiera. Il monito tuona come i fulmini scagliati da Giove. E poi gli abbinamenti degli otto personaggi seduti intorno a un tavolo. Chi è grande, il signor Rossi o il signor Marcelli? Chi è milionario, l’imprenditore o l’economista? Ah, forse il signor Stella. Eh no, il signor Stella non può essere il cantante perché siede di fronte al giovane e ha alla sua destra l’imprenditore e il signor Intelligente. I docenti, grondanti di sudore e senza il filo di Arianna, si attorcigliavano nel labirinto di quell’inestricabile rebus, passandosi di continuo foglietti coi disegni di quel maledetto tavolo rotondo attorno a cui erano seduti quegli altrettanto maledetti personaggi senza storia, senza volto, senz’ anima. Ok, la lezione frontale non interessa più a nessuno. Ci vogliono interdipendenza positiva e leadership condivisa. Parlare per mezz’ora di seguito di Boccaccio è più masochista che cooperare a 40 gradi di temperatura e con la fatica di un intero anno d’insegnamento sulle spalle. Non scherziamo!

Parola di Elizabeth Cohen. E se l’ha scritto lei, ci possiamo fidare. L’abilità sociale non s’improvvisa. Si mastica dopo la pratica. “Siete una massa di Egocentrati! Dovete imparare ad essere Eterocentrati”, vomita l’uomo alterato dalla malriuscita del gioco sul turno di parola. Cedere un cartoncino colorato, lanciandolo in mezzo al tavolo, ogni volta che si apriva bocca aveva scatenato quasi una rissa. Altro che talk show televisivi, dibattiti politici, tv trash. I docenti sempre più stremati muovevano a stento gli occhi semichiusi con le pupille dilatate, la bocca era semiaperta, alla ricerca di qualche boccata d'ossigeno in mezzo a un'aria irrespirabile.  Peggio ancora era andata con gli indizi. Ciascun docente doveva ricordare a memoria gli indizi scritti sulle proprie carte e poi cooperare per risalire tutti insieme all’assassino, mentre nei Palazzi del potere Tremonti architettava una manovra economica con l’ennesima stretta sui dipendenti pubblici e la riconferma di oltre 40.000 tagli del personale scolastico. E vabbè, poco importa. L’importante è cooperare. Anzi, apprendere, cooperando. Fino alla fine. Alle ultime battute, agli aneddoti personali. Quando i docenti, ormai fuori gioco, si sventolavano coi ventagli e lo guardavano con estrema malevolenza e rassegnata dannazione. Finita la maratona l’uomo, da vero carnefice, incurante dei cadaveri sparsi, usci in fretta senza voltarsi indietro. Ormai pensava già al lauto compenso per il suo massacro e alle prossime vittime.
Agli ottanta docenti di quella scuola di provincia non restò che raccogliere i pezzi di sé frantumati tra i banchi sudati e sporchi di quella due giorni da incubo e trascinarsi verso casa. La motivazione era cresciuta. Sì, quella di cambiare al più presto lavoro, senz’altro.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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