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domenica 13 maggio 2012

Il sogno "comico" di Cesare Cremonini


Ultimamente si spara le pose. Un po’ come se fosse un attore. Sarà che ne “Il cuore grande delle ragazze” di Pupi Avati ha recitato davvero, da protagonista al fianco di Micaela Ramazzotti. E a recitare ci ha preso gusto. Ma il momento della verità prima o poi arriva. E per l’ex Lunapop sempre a bordo della vespa 50 special il momento della verità è quello della musica. In cui le emozioni prendono forma attraverso le parole infarcite di melodia, in un inestricabile intreccio di poesia e modernità. Proprio come ne “La teoria dei colori”, il nuovo album, il quarto, del cantautore bolognese classe 1980 ma con all’attivo già tre album di successo e numerosi riconoscimenti, per un totale di dieci anni di carriera. Un incontro precoce quello di Cesare Cremonini con la musica. A sei anni, la prima lezione di piano. Cantautore già a 14 anni: “Studiavo Chopin e Beethoven – racconta - poi per Natale mio padre mi regalò un disco dei Queen. Mi accorsi che c'erano riferimenti alla musica classica in così tante loro canzoni che chiesi alla mia professoressa di farmi studiare Bohemian Rhapsody. Ne fu contenta! Tre anni dopo, mentre ero in vacanza con i miei genitori, scrissi Vorrei, la mia prima canzone”.



Poi, il gruppo “Senza filtro” insieme ad alcuni suoi compagni di classe. L’incontro con Walter Mameli, che diventa il suo produttore artistico e manager. Ma soprattutto la straordinaria voglia di esprimere tutto il suo talento. Prima, con i Lunapop, poi da solista.
Nel 2000 vince il telegatto come rivelazione dell’anno e il Festivalbar col brano “Qualcosa di grande”. Tutto con un leitmotiv di fondo inequivocabile: l’originalità. Non c’è niente che Cesare Cremonini non faccia senza un’ impronta personale forte, marcata e più che mai caratterizzante. Ed è proprio questa la sua cifra, che lo rende sempre unico e inimitabile. Cesare Cremonini parla, e lo fa attraverso la musica, ma anche i libri, come quando pubblica per la Fazi Editore “I nostri ponti hanno un’anima, voi no – Lettere ai politici. E scrive articoli sui principali quotidiani italiani.



Ride, scherza, partecipa alle feste mondane, ai mega raduni. E nel 2009 con nonchalance intasca il premio History alla carriera ai Trl Awards. Non si ferma mai, aggiorna di continuo i suoi follower su twitter, gli racconta i suoi stati d’animo, gli rende note le sue variegate geografie interiori e le sue riflessioni sul mondo. Ma soprattutto li aggiorna costantemente sulle registrazioni del disco. Un disco con 11 brani inediti, tra cui “Tante belle cose” scritto per la colonna sonora dello spettacolo teatrale "Tante belle cose" (regia di Alessandro D'Alatri) e "Amor mio" scritta per il film di Edoardo Gabbriellini "I padroni di casa" interpretato da Gianni Morandi, Elio Germano e Valerio Mastandrea. Adesso è in vetta alle classifiche il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, “Il comico (sai che risate)”. Perché Cesare Cremonini tutto avrebbe fatto nella vita, tranne che il militare: “Gli applausi in un teatro hanno un suono particolare, ti piovono addosso come un temporale improvviso. Ma la cosa più emozionante è stata riuscire a far scoppiare a ridere il pubblico con una battuta. È un sogno che mi portavo dietro fin da bambino, quando all'asilo mettevo tutti i miei compagni di giochi sulle scale e cercavo di farli ridere rendendomi ridicolo”. Un sogno chiamato canzone. E un valido escamotage grazie al quale gli si perdona tutto. Perfino quelle pose da attore degli ultimi tempi, egocentriche sì, ma con fair play. Altrimenti, sai che risate...


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 15 ottobre 2011

Il Festival internazionale del Film di Roma sfida la Lega col Risorgimento sul set

Roma che scimmiotta Cannes o, peggio ancora, Venezia. Galan che fa "marameo" ad Alemanno ("di due rassegne non c'è bisogno). E Alemanno che risponde con una smorfia di disappunto a eventuali cancellazioni. Pillole di cinema in un red carpet scolorito. Non più rosso porpora ma rosa antico. Il Festival internazionale del Film di Roma è al suo sesto fiacco compleanno e veste abiti sgualciti. Come dire se Cannes e Venezia vestono in smoking, la kermesse romana veste decisamente casual. Sarà perché nel salvadanaio destinato ai finanziamenti ci sono appena 200.000 euro, somma alquanto esigua al paragone coi nove milioni di euro destinati a fare del Lido per una settimana intera una passerella ambita anche per le star di Hollywood. Sarà per questo che il Festival del Film di Roma, nato sotto il segno di Goffredo Bettini e la benedizione di Walter Veltroni, prodotto dalla fondazione Cinema per Roma, negli ultimi due anni ha visto ridimensionare di gran lunga le sue aspettative diventando un puntino appena visibile nell’universo cinematografico. Certo, ha attraversato indenne il cambio di bandiera al Campidoglio, quando tutti pensavano che il nuovo sindaco Gianni Alemanno avesse dato alla manifestazione il ciak finale senza happy end né possibilità di repliche. Ma su questo gli artisti di casa nostra si sono dovuti ricredere perché il festival esiste ancora. Anche se da un paio d’anni è passato decisamente in sordina. Eppure va avanti, anche se con affanno e senza particolari clamori. Quest’anno saranno 133 le pellicole provenienti da 27 Paesi a sfilare su quel tappeto scolorito dal 27 ottobre al 4 novembre, all’Auditorium Parco della musica.


Ad aprire i battenti sarà “The lady”, il nuovo film del produttore e regista francese Luc Besson sull’attivista  birmana Aung San Suu Kyi, tornata libera dopo vent’anni. Chiuderà invece la versione restaurata di “A colazione da Tiffany”.
In programma: Noomi Rapace dalla saga scandinava di Larsson a Babycall di Pal Sletaune; Kristin Scott Thomas in La Femme du cinquième di Pawel Pawlikowski; Charlotte Rampling in The Eye of the Storm di Fred Schepisi; Zhang Ziyi in Love for Life di Gu Changwei; Isabelle Huppert in Mon Pire Cauchemar di Anne Fontaine; Micaela Ramazzotti per Avati; Valeria Golino per Cotroneo; Claudia Gerini per la Spada.
Scontato l’omaggio per i 150 anni dell’Unità d’Italia con un viaggio nell’identità italiana dal sonoro al muto, con la prima della pellicola muta “Rotaie” di Mario Camerini in versione restaurata.
La madrina del festival sarà Luisa Ranieri e il Marc’Aurelio all’attore andrà a Richard Gere. C’è attesa per My week with Marilyn di Simon Curtis (sezione ufficiale “Fuori concorso”) e Butter di Jim Field Smith (sezione ufficiale Alice nella città). Douglas Gordon (Glasgow, 1966), vincitore del Turner Prize nel 1996, uno dei più importanti artisti internazionali, sarà al Festival Internazionale del Film di Roma con una nuova versione della sua installazione video più celebre “24 Hour Psycho” (1993). Accanto a questa installazione, Douglas Gordon esporrà una serie di fotografie che ritraggono celebri attori del cinema italiano.
E proprio perché la politica ormai è come il prezzemolo e si ficca dappertutto, in continuità con l’ impegno a sostenere il cinema emergente italiano, il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri con Fondazione Cinema per Roma inaugurano, in questa VI edizione, la “Vetrina dei giovani cineasti italiani. Sarà il pubblico a decretare il vincitore.
Un occhio di riguardo che sa tanto di contentino sarà quello per i corti cinematografici in un concorso rivolto agli studenti. Le mostre saranno dedicate a Monica Vitti, a Pier Paolo Pasolini, al Risorgimento sul set. Per quest’ultima, chissà se i leghisti apprezzeranno…


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)


sabato 19 febbraio 2011

Sanremo 2011: Gianni Morandi con Monica Bellucci il solito maschio italiano


Lui, l’eterno ragazzo della musica italiana. Lei, l’ambasciatrice della bellezza italiana nel mondo. Gianni Morandi e Monica Bellucci. Insieme per una volta sul palco dell’Ariston grazie al festival di Sanremo. “Il sogno di una vita si avvera”, dice Morandi. La protagonista d quel sogno è lì, davanti a lui che visibilmente imbarazzato, indeciso tra il “lei” e il “tu”, si emoziona, s’impapera, arrossisce, dinoccola, vacilla. In quel momento Morandi è uno di loro. Il maschio italiano in bilico tra il dovere e il piacere. Il marito non troppo esemplare. Il “vir” latino con tutte le sue umane debolezze. Il micio che scimmiotta il macho, ma poi ritorna inesorabilmente all’ovile. Si piega, si avvicina, le prende la mano. A un certo punto si alza, le va incontro, l'abbraccia, le dà due baci sulle guance. “Monica, vorrei farle di tutto”, sprigiona deciso il desiderio a lungo represso per lei, l’icona del fascino femminile, l’irraggiungibile stella del cinema, la Venere tentatrice.

Scenetta assai meno nobile dell’incontro tra Dante e Beatrice. Morandi confida a Monica la sua inguaribile passione per lei e dice: “Pensi che mia moglie mi ha regalato l’album con la raccolta di tutte le sue foto più belle”. Sorride, s’imbarazza, arrossisce ancora, abbassa lo sguardo. Monica Bellucci è lì, seduta davanti a lui. Occasione unica e irripetibile. Fasciata da un lungo abito nero che ne esalta le curve generose, ringrazia con garbo. Si racconta, fingendosi per l’occasione, più che un’attrice “una donna, madre, moglie come tutte”. Abbandona il portamento da diva, l’immagine di sex symbol che ormai si porta dietro come un fardello e si cala con piacere e diletto nella vita di tutti i giorni, immedesimandosi col pensiero e una certa fantasia nelle donne che drammaticamente fanno la spola tra casa, ufficio, palestra, bollette, cucina, pannolini, ecc. ecc. Ma Monica lo sa, lo sa bene. Perché a queste cose ci pensa, la fatica delle donne l’accompagna sempre tra un viaggio e l’altro. Così come l’accompagnano sul set le sue due figlie Deva e Leonie. Gianni Morandi finge pure lui di crederle. Per Monica questo e altro. Molto altro. E allora si continua con la promozione del film “Manuale d’amore 3” con Robert De Niro presente.
Poi, l’intervista volge lentamente al termine. La Bellucci si alza, saluta sorridente e leggiadra il pubblico in sala. In fondo, a quello che dice non ci crede troppo neppure lei. Ed ecco che Morandi, ormai vinto dalla bellezza e soggiogato definitivamente dal fascino disarmante della sua superospite, resta da solo sul palco, cammina e scivola inesorabilmente sulla buccia di banana della mascolinità vigliacca. Punta la moglie Anna, seduta comodamente in sala e le dice: “Hai visto Anna com'è meravigliosa Monica?”. Poi, prende a ridere e aggiunge: “Dai, sei bella anche tu! Lo sai che ti amo tanto”. Poi sospira, ride ancora, sussurra tra i denti un “eh vabbè”. Il premio di consolazione all’ amata consorte è stato dato. Intelligente e ironica la moglie Anna, subito inquadrata, se la ride di gran gusto. E le mogli italiane, pure.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

giovedì 20 gennaio 2011

Cara tv, Francesco Nuti faccelo ricordare così


Avremmo tanto preferito ricordarcelo così, schivo e introverso ma anche gran giocherellone, perennemente attorcigliato nei suoi pensieri, sempre immerso in storie d’ amore complicate, decisamente problematico. Sempre lì a sfidare il destino, a vivere fino in fondo le proprie passioni, come quella del biliardo in “Io, Chiara e lo scuro” (1983), accanto a un'insuperabile Giuliana De Sio, film che gli è valso il Nastro d'argento come miglior attore protagonista. E invece nella prima e per fortuna ultima puntata di “Stasera che sera”, lo show serale di Barbara D’Urso, Francesco Nuti è apparso come il pubblico a lui affezionato non avrebbe mai voluto vederlo. Il dolore stampato in faccia era davvero insostenibile, come lo era il cinismo di quella telecamera che stringeva continuamente il suo pianto in una sfacciata inquadratura. In quegli istanti la tv ha raggiunto davvero il suo massimo livello di disgusto.

Ben venga la decisione di Mediaset di chiudere il programma, che ha fornito un esempio tra i più riusciti di tv trash. Come si può spettacolarizzare a tutti i costi il dolore vero, il dramma umano personalissimo? In una società che esorcizza a tutti i costi con mille esercizi di benessere la sofferenza perché non vuole guardarla negli occhi, ad un tratto, solo ed esclusivamente per ragioni di audience, la D’Urso si presta a questo terribile e drammatico show.
Noi Francesco Nuti ce lo ricordiamo irrimediabilmente affascinante con la sua voce roca, i suoi interminabili monologhi interiori, i suoi bicchieri di whisky, le sue canottiere un po' impacciate, i suoi riccioli scomposti e quell'espressione trasognata in “Tutta colpa del Paradiso”(1985), cantore sarcastico di fragilità e stranezze in “Stregati” (1986), "Caruso Pascoski di padre polacco" (1988) con un'avvenente Clarissa Burt nei panni dell’altalenante Giulia, il fatalismo esasperato di "Willy Signori e vengo da lontano" (1990), o il maschio complessato di “Donne con le gonne” (1991, con Carol Bouquet). Con questi film Francesco Nuti ha vissuto la sua stagione di maggior successo, nella seconda metà degli anni Ottanta. Ed è così che vogliamo ricordarcelo. Con tutte le emozioni che ha voluto trasmetterci. Poi, a un certo punto il dramma. Si spengono i riflettori, le fragilità messe in piazza nei film hanno il sopravvento nella vita vera e partono i titoli di coda di una pellicola giunta quasi alle ultime battute. E così fanno capolino la depressione e l'alcol. Da quel momento in poi inizia un’altra vita, un’altra storia che non ci riguarda. Tutto il resto, il dopo, l’umana tragedia, appartengono solo a lui, anima indifesa e abbandonata a se stessa. Il rispetto impone degli argini. La sofferenza non è mai spettacolo, cara signora D’Urso.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 19 gennaio 2011

Cetto e la realpolitik


Un parallelismo seppur vago è d’obbligo, l’accostamento nemmeno troppo forzato, la similitudine ci scappa eccome e ogni riferimento potrebbe non essere puramente casuale. Peccato che Antonio Albanese, alla vigilia dell’uscita nelle sale del suo “Qualunquemente”, smentisca categoricamente che Cetto la Qualunque possa anche solo vagamente rappresentare Silvio Berlusconi. Magra consolazione, ancora tutta da verificare. Certo, semmai potrebbe esserne la parodia, l’esagerazione, la caricatura. Eccetto per un piccolo particolare: Berlusconi tutto è tranne che ignorante.

Il film, prodotto da Fandango e diretto da Giulio Manfredonia
, è una riedizione del brano Onda Calabra, scritta e portata al successo da Il Parto delle Nuvole Pesanti. Da quando è nato nel remoto 2003 (dentro il programma Rai Non c’è problema), il personaggio creato da Antonio Albanese ha accompagnato, anzi previsto l’evoluzione della forma più spregevole di homo italicus in ogni suo aspetto. Fino a raggiungere l’apoteosi di quella che poteva essere un’esagerazione ma ora invece è la “normalità”. Per esempio il fatto che Cetto aspiri addirittura al Quirinale.

La storia narra della carriera politica di un particolarissimo personaggio, inventato dallo stesso Albanese nel lontano 2003, goliardico con il partito dell’amore (slogan: Chiù pilu pi tutti!). Antonio Albanese impersona i panni di un politico che risalta l’essere animale che campa alla giornata, vive dando ascolto ai suoi più bassi istinti, tratta le donne come oggetti e non mostra nessun rispetto per gli anziani ed è infastidito dalla democrazia. E senza troppi voli pindarici ci si rende subito conto che la finzione cinematografica stavolta è più che mai una chiara fotografia della realtà politica attuale, di una situazione diffusa e generalizzata del Palazzo, senza prendere per forza di mira il premier e i suoi fatti privati.

Durante la conferenza stampa, Albanese ha infatti spiegato che l’intenzione non era quella di fare un film satira sulle vicende di Berlusconi e del caso Ruby
. “Cetto la Qualunque guarda alla politica con Qualunquemente e parla in generale del nostro Paese, non di una singola persona ma è vero che da quando il mio personaggio è stato inventato, nel 2003 ad oggi, la realtà ha superato la fantasia”. Sul caso Ruby, Antonio Albanese ha aggiunto: “Non so che dire, certo sembra fatto apposta, ma è anche vero che se il film fosse uscito sei mesi fa o due anni fa non sarebbe stato diverso”. Dunque solo una fortunata coincidenza. Servirà a eguagliare lo strepitoso record d’incassi di “Che Bella Giornata” di Checco Zalone con i suoi otto milioni incassati nel secondo weekend di programmazione e l’attuale stratosferica cifra di 31 milioni e mezzo di euro?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)