sabato 27 marzo 2010

Nicholas Carr: "Con Internet tutti più superficiali"

Internet universo dorato. Sogno ad occhi aperti. Eden virtuale in cui cullare ansie e nevrosi. Ma anche luogo d’incontro, senza tempo e senza spazio, di un’umanità sofferta e inquieta, insoddisfatta e con troppi sogni ancora da realizzare. Internet ti amo, e poi ti odio. Sei bello e buono, fai bene alla conoscenza ma qualche diminutio la provochi. Eccome. Per esempio, affidandosi a te, la gente perde via via la capacità di concentrazione. Sviluppa un modo di ragionare più superficiale, diventa un “popolo pancake”. L’espressione è del commediografo Richard Foreman.
Altro aspetto inquietante: l’informazione sul web rischia di frammentarsi come un fascio di luce che attraversa un prisma. Le notizie, disseminate in mille rivoli grazie a un’enormità di link, perdono sempre più consistenza, spessore. E, di conseguenza, la riflessione diventa ormai un lontano ricordo.

Non piacerà affatto ai patiti del web, del mac, dell' iPhone e di tutte le nuove tecnologie, la sortita antitetica di Nicholas Carr, bastian contrario della galassia Internet e della rivoluzione tecnologica che sta cambiando radicalmente i nostri meccanismi di apprendimento, ma prima ancora le nostre vite. "Basta prendere Internet e le tecnologie digitali a scatola chiusa. Offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto. Al tempo stesso non abbiamo più tempo per riflettere, contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale”, dice senza peli sulla lingua mister Carr.

Non è la prima volta che Nicholas Carr intacca il mito delle nuove tecnologie digitali. Due anni fa, con un suo saggio dal provocatorio titolo “Google ci sta rendendo stupidi?” pubblicato sula rivista “The Atlantic” sollevò un polverone tra i fedelissimi della rete. Quelli che senza ragnatela non potrebbero nemmeno respirare. Ma lo studioso che ha lavorato nella consulenza aziendale e ha diretto per un lungo periodo la “Harvard Business Review”, in realtà è tutt’altro che un tecnofobo. Addirittura giura di essere stato anche lui investito per anni dal sacro furore per le tecnologie. Poi però la sperimentazione costante e il disincanto lo hanno portato a ravvedersi e a tornare sui suoi passi, sfoderando dal frenetico cilindro della sua mente qualche sana critica. E già, quella che Internet vorrebbe a tutti i costi anestetizzare. Del resto, sottolinea Carr, l’ultima cosa che vorrebbe una società come Google è diseducare il popolo sommerso del web a tutti quei click compulsivi da un sito all’altro per fermarsi a riflettere su un’unica fonte di informazione. Riflettiamoci.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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