martedì 27 aprile 2010

L'evoluzione di Gianfranco Fini: da subalterno ad alternativo

Mica noccioline. Stavolta le parole sono pietre scagliate a raffica contro il Presidente del Consiglio. Di quel Silvio Berlusconi tirato a lucido non se ne può proprio più. E del suo sorriso telegenico, delle sue trovate da marketing raffinato e della sua sfrenata vocazione pop, neppure. Il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha sbuffato in pubblica piazza, è finalmente uscito allo scoperto, dopo tante critiche, dopo tanti rigurgiti di dissenso coi suoi fedelissimi, dopo tante smorfie di disappunto. E ha preso ufficialmente le distanze dal suo capo, dichiarandosi pronto a restare ma da “alternativo”. Trascinato da una corrente con pochi "eletti", un’oligarchia a marchio politicamente corretto (“il tradimento è di chi trama alle spalle”), ha consumato una rottura difficilmente ricomponibile. Una crepa nel Popolo della libertà destinata ad allargarsi come una voragine. Da una parte l'asse Tremonti-Lega, fortissimo in tutto il Nord Italia, dall’altra la cultura politica di una destra europea, liberale, aperta e democratica su temi che scottano come l’immigrazione, la giustizia, il modo di interpretare Parlamento e Costituzione.

Gli slogan non servono più. Il sogno si è consumato. Ora resta la realtà. Un partito di plastica, come lo ha definito Flavia Perina sul Secolo d’Italia? Di certo un partito all’interno del quale c’è Umberto Bossi che preme l’acceleratore sul federalismo. E all’interno del quale c’è ora un Gianfranco Fini più consapevole, fautore di un dissenso aperto, leale, ma che c’è e col quale Silvio Berlusconi dovrà pure in qualche modo fare i conti. Non è bastato redarguire Gianfranco davanti a tutti, gridargli in faccia la sua disubbidienza irragionevole, farlo sentire in colpa (“se parli da politico, fai il politico, ti aspettiamo a braccia aperte, ma non da parlare più da Presidente della Camera”). Condividere la stessa casa per i due non sarà facile, conoscendo Berlusconi. Ma Fini non se ne va. Andare al voto sarebbe da irresponsabili. Quindi Fini resta. Ma non più da numero 2. “Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo", sottolinea in uno dei passaggi con i quali sta facendo il punto con deputati e senatori a lui vicini nella riunione nella Sala Tatarella della Camera. Anche il Presidente del Consiglio con una battuta durante la conferenza stampa con Vladimir Putin, aveva detto: "Sono esperto di molte cose, urbanistica, sport, editoria, televisione e amministrazione pubblica. Ma sul segreto di una collaborazione proficua in politica non mi esprimo, del resto non ho un'esperienza particolarmente felice nei matrimoni. Comunque ho già detto di non aver litigato con nessuno, per litigare bisogna essere in due, per divorziare basta uno". Fini resta, Bocchino invece se ne va e si dimette da vice capogruppo del Pdl alla Camera. D’accordo. Ma le riforme??

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

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