giovedì 11 ottobre 2012

Il fattore H? Solo un lontano ricordo



In una parola: diversi. Ma non per questo emarginati. Perché oltre la soglia della cosiddetta “normalità” c’è un mondo. Un altro mondo. Basta solo iniziare a guardarlo con gli occhi di chi sa che i diversamente abili, dentro e fuori dalla scuola, meritano di potersela giocare fino in fondo quella imprevedibile e allettante partita che si chiama vita. Patrizia Aminta Infantino se n’è accorta già da un po’. Proprio passando tra i banchi. E ha deciso di parlarne in un libro, “Alunni speciali. Apprendere l’inclusione a scuola”(pagg. 116, € 14, 50), edito da La Meridiana. Un libro scritto con la mente, ma soprattutto col cuore.

Come nasce l'idea di scrivere questo libro?

“In qualsiasi gruppo, famiglia, classe, angolo di vita c’è qualcuno che è stato o si sente escluso. E’ la pecora nera; è un qualcuno che aspetta di essere incluso e, più di altri ha bisogno della spinta propulsiva che lo rimetta al suo posto. Ha bisogno e vuole essere integrato. Ognuno di noi ha le proprie pecore nere; parti sconnesse, che sfuggono, che non approviamo, che giudichiamo e che aspettano di essere viste. Hanno bisogno e vogliono essere integrate. Il libro nasce dalla necessità di far comprendere ai colleghi quanto l’inclusione di un ragazzo con bisogni educativi speciali arricchisca il percorso di tutta la classe e la diversità del singolo arricchisca la forza del gruppo. Quanto l’inclusione sia necessaria e può essere appresa a scuola.
Nelle classi dove entra la pedagogia speciale c’è un riconoscimento della propria individualità che in altre classi manca. Nell’alchimia che nasce nel tener conto dell’aspetto sociale, affettivo e cognitivo del ragazzo, l’insegnamento diventa olistico e l’insegnante impara a valorizzare le diversità che ci caratterizzano: praticamente vengono potenziate tutte le intelligenze e non solo quella linguistica o matematica, tutti gli stili di apprendimento e non solo di quello analitico ed è operando verso una conoscenza metacognitiva, ma anche meta emozionale, che individua tutte le emozioni e impara a trasformare le qualità negative in positive”.

Da quanti anni insegni ai ragazzi speciali?

“Ho insegnato Scienze Motorie per trent’anni appassionandomi a tematiche riguardanti il senso della malattia, la psicosomatica, la medicina cinese, lo shiatsu, la postura…. Poi, un bel giorno il mio percorso di precariato scolastico mi ha assegnato tre casi di ragazzi speciali che hanno rapito il mio cuore. Ho preso la laurea specialistica all’insegnamento delle Attività di Integrazione e Sostegno all’università veneta Cà Foscari e ho lasciato le Scienze Motorie per amore della valorizzazione delle ‘pecore nere’. Adesso sono cinque anni che mi dedico con passione all’inclusione attraverso l’insegnamento”.

Qual è la mission di un prof. oggi?

“La missione è credere in ciò che si fa. Quando si opera nel campo del sociale occorre studiare ma soprattutto occorre mettere la testa al servizio del cuore. Creare pace con se e tra se con il mondo, saper educare e lasciarsi educare, arricchirsi con la cultura propria e altrui potrebbero essere gli obiettivi della vita di chi crede nell’ insegnamento olistico. In questo testo si vuole riconoscere quanto l’unicità del singolo valorizzi la forza del gruppo e quanto sia utile sfruttare questa forza per incrementare il miglioramento personale”.

Nell'applicazione della didattica speciale quali difficoltà concrete può incontrare un prof. in classe?


“Ancora oggi mi batto per far superare ai colleghi e alle famiglie l’idea che il gruppo dei normodotati non abbia nulla da guadagnare a svolgere attività che normalmente non vengono inserite. I benefici che i compagni normo-dotati possono trarre dalla condivisione sono molteplici: arricchire la comprensione dell’altro; abolire i preconcetti sulla disabilità demolendo le barriere interpersonali; superare le paure nei confronti dei disabili ottimizzando il concetto di sé, aiutando l’altro, acquisendo tolleranza, incrementando la sensibilità e la solidarietà; imparare a valorizzare e riconoscere le abilità operative dei compagni che palesano difficoltà nei confronti delle discipline curricolari; scoprire le qualità e le ricchezze che derivano dalle nostre stesse diversità”.

Qualche consiglio per chi insegna sostegno.


“Ci provo, senza retorica e con una mano sul cuore e l’altra sulle qualità istintive. Occorre non essere mai giudicante ne con i ragazzi e ne con i colleghi. Occorre imparare a sostenere l’altro soprattutto nella difficoltà di saper sostenere l’altro. Occorre non dimenticare mai i momenti in cui noi stessi ci siamo sentiti esclusi, rifiutati, eliminati e non dimenticare mai a integrare ogni più piccola parte di noi anche quelle che rifiutiamo.
Chi insegna sostegno è prima di tutto insegnante di attività integrative. La parola ‘sostegno’ è diventata un’etichetta anche per le famiglie, in realtà noi siamo tutor che operiamo per facilitare l’inclusione”.

Il segreto per volare alto a scuola?

“All’interno della scuola urge l’inserimento di figure semplici, ‘di cuore’ e specializzate che operino per una didattica inclusiva, cooperativa e metacognitiva che dia valore ed input alla motivazione intrinseca che è la sola che accresce la curiosità e senza la quale non può esistere il progresso”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)