giovedì 31 luglio 2008

Loro? Umanisti combattenti reduci. Noi? Eterni simpatizzanti

Volete sapere com'è cambiata l'Università italiana negli ultimi anni? Diciamo dalla riforma in poi?
Beh, cari amici, se sbirciate da queste parti, troverete tre miei articoli sull'Università di Catania, apparsi in questi giorni sul quotidiano "La Sicilia", che vi aiuteranno a farvi un'idea, oltre a quella che già vi siete fatti per conto vostro.

Qui di seguito trovate due interviste pubblicate su "La Sicilia" del 31/07/2008. La prima al prof. Enrico Iachello, preside della facoltà di Lettere, la seconda al prof. Nunzio Famoso, preside della facoltò di Lingue. Entrambi riconfermati alle elezioni dello scorso giugno. Ed entrambi al secondo mandato.
Nella foto, potete ammirare la facciata barocca dell' ex monastero dei Benedettini, splendida sede delle facoltà di Lettere e di Lingue, in tutto il suo naturale splendore.


«Per il prossimo maggio, stiamo preparando un grande festival dei miti, dall’antichità a oggi». Enrico Iachello sfodera subito dal cilindro gli appuntamenti più significativi nell’agenda dell’anno accademico 2008-2009 della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Catania. Facoltà di cui continuerà a essere preside, essendo stato da poco rieletto al secondo mandato. Ancora iniziative culturali d’ampio respiro, dunque, che ormai da qualche anno costituiscono l’ossatura portante della facoltà. Una su tutte: la collaudata e riuscita collaborazione col Teatro Stabile. E poi, musica, cinema, spettacolo. E raduni en plein air in facoltà, ovvero nel suggestivo scenario dell’ex monastero dei Benedettini. Insomma, a Lettere si strizza l’occhio a un tipo di cultura ricreativa.

«A ottobre ci sarà la festa dell’accoglienza, poi, come di consueto, non mancherà la festa d’estate. Credo - spiega Iachello - che l’attività culturale possa legarsi benissimo agli aspetti ricreativi perché sono fattori di identità sia per gli studenti che per l’intera città. Le iniziative culturali sviluppano un senso di appartenenza».

Tornando ai nodi accademici, come vede la legge 270, che prevede un consistente riordino dei corsi universitari?
«Io non so se ci sarà un restringimento. Noi preferiamo parlare di razionalizzazione. Certo, stiamo ripensando all’utilità
di alcuni corsi, verificandone l’impatto col territorio e col mondo del lavoro».

A proposito di mondo del lavoro, la facoltà di Lettere classiche sembrerebbe quella meno spendibile sul mercato. Questo sarà un corso di laurea a rischio?
«Assolutamente no. Le Lettere classiche costituiscono uno degli elementi portanti della nostra facoltà e vanno rinsaldati. Non riesco a immaginare una facoltà di Lettere senza un corso di laurea in Lettere classiche. Anzi, di recente abbiamo appena chiesto un posto di ricercatore di Letteratura greca e ne abbiamo programmato un altro di Letteratura latina».

Quali corsi mostrano di avere un legame più forte col territorio?
«Sicuramente quelli sul turismo. Tant’è che vogliamo avviare un corso interfacoltà. E’ un progetto che abbiamo in comune con Lingue, ma è tutto ancora da verificare con gli operatori economici e di settore. Si parla tanto di turismo culturale e questa sembra essere una delle risorse su cui il nostro territorio ha mostrato di voler scommettere».

Nell’ultimo periodo, quali sono state le richieste più pressanti da parte degli studenti?
«Gli studenti vogliono avere più rapporti col mercato del lavoro. Questo è chiaro. E noi, per questa ragione, abbiamo intensificato i nostri tirocini presso aziende, con le scuole, con le biblioteche, coi giornali e con le tivù locali».

Per facilitare la ricerca, sul fronte dell’informatizzazione delle biblioteche, a che punto siete arrivati?
«I colleghi di Informatica e di Fisica hanno dato vita a un grande software di archiviazione e ci stiamo muovendo in questa direzione. Stiamo comprando anche un grande scanner, il cosiddetto "planetario" per la digitalizzazione delle opere più antiche, in modo da poter acquisire una grande banca dati alla quale poter accedere via internet. Così si potranno consultare facilmente i pezzi più pregiati delle nostre biblioteche, non solo di quella di facoltà, ma anche della regionale e della Ursino Recupero».

Continuerete ancora ad avvalervi del prestigioso nome e del prezioso supporto intellettuale del prof. Giuseppe Giarrizzo?
«Sì, certo. Il prof. Giarrizzo è uno degli elementi forti della facoltà. Viene tutti i giorni e non ha mai smesso di fare ricerca.
E’ inoltre l’ispiratore di gran parte delle nostre iniziative».

Un valido motivo per iscriversi nel 2008 alla facoltà di Lettere?
«C’è molto bisogno di umanisti, di educatori e di persone che siano in grado di dare risposte concrete ai problemi d’identità che la nostra società mette in campo. E in questo caso, la cultura umanistica è senz’altro al primo posto».

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

«Punteremo sul turismo, vera grande innovazione. Si è appena concluso un master su "Comunità locali e turismo culturale e sostenibile", che ha avuto un buon successo. Il nostro obiettivo è ora attivare un corso su questo tema, insieme ad altre facoltà. Lettere ci ha già dato la sua disponibilità, pensiamo anche a Scienze della formazione e, perché no, a Economia. Se avremo i numeri, tenteremo di farlo». Non ha dubbi il prof. Nunzio Famoso, riconfermato di recente preside della facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Catania, al suo secondo mandato.

Ma l’attenzione è tutta rivolta alla "legge-canaglia", la 270, con la quale tutte le facoltà dovranno procedere a un riordino dei loro corsi di studio, che d’ora in poi non potranno non soddisfare certi requisiti, abbastanza vincolanti e restrittivi. «Il riordino sarà corposo - conferma Famoso . Ma nell’immediato, non ci sarà nessuna novità. Nel 2008-2009 avremo ancora la riconferma di tutti i nostri corsi. Questa operazione riguarderà l’anno accademico 2009-2010. Solo allora, ci sarà quella che a noi piace definire una razionalizzazione dei nostri corsi, ma che poi, di fatto, sarà un vero e proprio restringimento».

Tutta colpa dell’incontrollata proliferazione dei corsi di laurea, di specializzazione e dei master, specialmente se si pensa che poi gli studenti, nella maggior parte dei casi, non hanno un effettivo riscontro nel mondo del lavoro...
«Secondo me il vero rischio di questa norma è invece quello di un ulteriore aggravio per gli studenti. Io credo che un restringimento dei corsi possa determinare un risvolto sociale pesante e drammatico, che potrebbe operarsi con gli studenti, e questo in qualche modo va qualificato. Ecco perché questo lavoro di restrizione dovrà essere l’occasione per cogliere le indicazioni delle vocazioni professionali e di quelle del territorio».

Ma alla indiscussa proliferazione di corsi, specializzazioni e master, come risponde?
«Sono gli studenti stessi che li chiedono. Noi a una domanda dobbiamo pur rispondere. O no?».

Anche ben al di là dei risvolti occupazionali?
"Beh, su questo argomento sono più sensibile. Ma occuparsi degli sbocchi professionali non è il nostro compito, ma è quello dei politici, dei governi, delle istituzioni, degli enti privati. A noi spetta dare risposte di formazione. Noi dobbiamo rispondere a ciò che gli studenti chiedono. E molto di ciò che abbiamo, lo abbiamo proprio per una richiesta degli studenti, che vogliono studiare e approfondire alcune cose rispetto ad altre».

Che cosa hanno chiesto gli studenti nell’ultimo anno?
«Una buona tenuta l’abbiamo riscontrata per i corsi di lingue e culture europee. Le lingue sono in continua espansione. E sono un grande veicolo di promozione sociale. Il settore delle comunicazioni internazionali hanno registrato un’esplosione di iscritti, ben oltre le nostre possibilità di accoglienza. Si parla di una media di 700 iscritti l’anno».

Lei è stato un sessantottino di frontiera, uno per intenderci a cui l’impegno politico rubava davvero gran parte del proprio tempo. Vede i suoi studenti distanti da questi argomenti? E, se sì, in che misura?
«Li vedo per nulla politicizzati. Perfino i rappresentanti degli studenti che partecipano ai consigli di facoltà. Però, in compenso, sono molto più secchioni».

Step1, il periodico telematico nato grazie a voi, fiore all’occhiello dell’informazione universitaria, verrà salvato?
«Certo, c’è anche un progetto di rilancio e di crescita».

Un valido motivo per iscriversi alla facoltà di Lingue?
«Uno è antico, l’altro è moderno. Il primo riguarda le lingue, che ancora oggi sono un grande strumento di affermazione e di identità nel mondo globalizzato. Il secondo è che oggi le lingue ci permettono di penetrare nei grandi processi della modernità con molta razionalità, equilibrio, riuscendo a comprendere i complicati meccanismi che ci sono in atto».

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 30 luglio 2008

La mostra del cinema di Venezia parla italiano. Dal 27 agosto al 6 settembre, quattro i film di casa nostra in concorso

Com'è tradizione, indosserà lo smoking. Con portamento elegante, s'intende, fisionomia altera e un atteggiamento distaccato dal volgo, anche grazie al Lido che ne fa un'isola chic ai limiti della fiaba hollywoodiana. Altro che la popolarissima Festa del Cinema di Roma... Quest'anno, poi, lo smoking è tricolore, come la bandiera d'Italia. Perché alla mostra del cinema di Venezia, dal 27 agosto al 6 settembre, sarà di scena il made in Italy. La 65esima edizione della storica kermesse cinematografica infatti vedrà ben quattro film italiani in concorso: Un giorno perfetto di Ferzan Özpetek con Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea, Il papà di Giovanna di Pupi Avati con Silvio Orlando, Alba Rohrwacher ed Ezio Greggio, La terra degli uomini rossi - BirdWatchers di Marco Bechis con Claudio Santamaria e Chiara Caselli e Il seme della discordia di Pappi Corsicato interpretato da Alessandro Gassman, Caterina Murino, Martina Stella e ancora da Isabella Ferrari. In tutto, sono venti i prodotti di casa nostra selezionati nelle varie sezioni contro i dieci degli Stati Uniti e della Francia, i quattro del Brasile e del Giappone, i due di Cina, Messico, Russia e Spagna, per un totale di 18 paesi coinvolti.
Ma non è finita. Sempre targati “made in Italy” saranno: Puccini e la fanciulla di Paolo Benvenuti , racconto di una storia personale ma anche di come nasce un'opera lirica, Vicino al Colosseo…c'è Monti, una piccola chicca di Mario Monicelli, direttore della mostra, La rabbia di Pierpaolo Pasolini che ritornerà il 5 settembre nelle sale in una versione inedita, Antonioni su Antonioni di Carlo Di Carlo e Pa-ra-da di Marco Pontecorvo, una storia d'amicizia tra una banda di ragazzini e un giovane clown franco algerino. Le morti bianche diventano materia cinematografica nei documentari La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti e ThyssenKrupp Blues di Pietro Balla e Monica Repetto, entrambi eventi della sezione Orizzonti. E di morti sul posto di lavoro se ne occupa anche Yuppi Du di Adriano Celentano.
A competere per il Leone d'oro, insieme agli italiani, dagli Stati Uniti arrivano quattro opere di stampo indipendente: Hurt Locker di Kathryn Bigelow con Ralph Fiennes, The Burning Plain di Guillermo Arriaga (sceneggiatore di Babel), per la prima volta dietro la macchina da presa, con Charlize Theron e Kim Basinger, The Wrestler di Darren Aronofsky con Mickey Rourke, Marisa Tomei ed Evan Rachel Wood, Rachel Getting Married di Jonathan Demme interpretato da Anne Hathaway e Debra Winger e Vegas: Based on a True Story di Amir Naderi.
Dal Giappone, non poteva mancare un habitué della mostra come Takeshi Kitano e nemmeno il già Leone alla carriera Hayao Miyazaki, che presenterà il suo ultimo capolavoro d'animazione Ponyo on Cliff by the Sea. Mamoru Oshii, famoso per Ghost in the Shell, ci regalerà The Sky Crawlers. Ritorna con orgoglio il cinema africano mentre Francia e Germania si difendono con Inju, la Bête dans l'Ombre di Barbet Schroeder, L'Autre di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic, e Jerichow di Christian Petzold. Fuori concorso, ma molto atteso, il film d'apertura Burn After Reading dei fratelli Coen che portano in laguna Brad Pitt, George Clooney, Frances McDormand e Tilda Swinton. Abbas Kiarostami invece con Shirin dirige Juliette Binoche.
Il giorno successivo al debutto, il 28 agosto, verrà posta la prima pietra del nuovo palazzo del cinema che dovrebbe essere pronto per il 2011. "Salvo miracoli - afferma il presidente della Biennale Paolo Baratta - forse nel 2010 potremo già usufruire della sala grande”. E, in queste condizioni, anche l' ambito Leone d'oro potrà ruggire più forte.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 28 luglio 2008

I veleni di Pechino 2008. Olimpiadi inquinate, ma contro lo smog c’è la pioggia a comando

E’ un cielo nero, senza fine, in un clima sempre più avvelenato. Ma stavolta, né per le polemiche né per le filippiche. A Pechino c’è troppo smog nell’aria. E, a undici giorni dall’apertura dei Giochi olimpici, sono stati già predisposti piani d’emergenza e misure drastiche. Se si pensa che lo smog si va ad unire alle temperature tra i 30 e i 35 gradi, o peggio a un tasso di umidità pari al 70-90 per cento, ovvero ai limiti della sopportazione, si comprende bene lo smarrimento spirituale degli atleti.
''Applicheremo un piano d'emergenza con un preavviso di 48 ore se la situazione dovesse deteriorarsi durante i Giochi, dall'8 al 24 agosto'', ha detto Li Xin, responsabile operativa dell'ufficio di Pechino per la Protezione ambientale.Anche se la signora Li al quotidiano China Daily non ha ancora chiarito quali potrebbero essere le nuove misure. Ma secondo un ambientalista sentito dal giornale, Zhu Tong, potrebbe essere deciso di fermare il 90 per cento delle auto in circolazione. Una vera rivoluzione per Pechino, una città afflitta dalla sindrome delle quattro ruote, nella quale - come ha ricordato il responsabile per la Cina dell' organizzazione ambientalista internazionale Greenpeace Lo Sze Ping - nei primi tre mesi dell' anno 120mila nuove autovetture si sono aggiunte ai tre milioni già presenti.

Gli atleti sembrano seriamente preoccupati. A Pechino lo Sze Ping ha aggiunto che l'aria non raggiunge lo standard considerato il minimo accettabile dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Nel caso in cui questo standard non fosse raggiunto in tempo per le gare, ha proseguito il responsabile di Greenpeace, ''ci sono ragioni per considerare la possibilità di rinviare alcuni eventi''.

Ma a mali estremi, estremi rimedi. E dal 20 luglio è in vigore la circolazione a targhe alterne, una misura che è stata accettata, sebbene a fatica, dalla popolazione in nome delle Olimpiadi ''verdi''. Oggi è uscito allo scoperto anche l' ufficio per la modifica del clima, che ha affermato di avere il mandato di garantire che non piova la sera dell' 8 agosto dalle 8 alle 11,30 locali della sera, quando si terrà la cerimonia di apertura dei Giochi. Quindi, non ci saranno giustificazioni: persino Giove dovrà rispettare le misure prese, evitando di tuonare a suo piacimento e a briglie sciolte su Pechino, seppur per scatenare una salvifica pioggia depuratrice.
E dire che in passato, per risolvere il problema della secca, si è fatto ricorso all'artificio tecnico del cosiddetto ''clouds seeding'' (inseminazione delle nuvole), che consiste nello sparare nelle nuvole delle capsule contenenti ioduro di argento, una sostanza che fa raggruppare le particelle ghiacciate e le fa precipitare trasformandole in pioggia. In caso la giornata sia nuvolosa, si può far piovere prima del momento della cerimonia o prima che un' eventuale perturbazione arrivi sulla capitale. L’effetto bagnato non sarà proprio nature, ma quantomeno è assicurato.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

Un labrador per bagnino. Preziosa àncora di salvezza

Quando si dice che il cane è il miglior amico dell’uomo, il più fedele compagno di vita, la zampa più affidabile su cui piangere. Ecco, è il caso di Ariel, due anni e mezzo di labrador tutto pelo e niente vizio, che ieri, a 150 metri dalla riva di Ostia ha salvato una ragazza di 23 anni che, a causa dei crampi, stava per annegare e agitava le braccia per richiamare l’attenzione e chiedere aiuto. Ma c’è di più. Ariel non è una cagnetta come tante, un’illustre sconosciuta. Ariel è la cagnetta di Francesco Totti, il verace capitano della Roma.
Nel senso che Francesco Totti era il suo padre-padrone fino a quando non ha deciso di donare il suo bel labrador a una delle 27 unità cinofile che la sezione Tirreno della scuola italiana cani di salvataggio ha messo a disposizione della Guardia Costiera. Il padrone, mister Totti, si è detto molto orgoglioso della sua cagnetta, a detta di chi la addestra “docile, efficiente e vivace”. Insomma, un bel tiro a segno per Ariel. E i conti tornano: tale cane, tale padrone. O no?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 23 luglio 2008

Geronimo, l'evergreen anti-piazza

A volte ritornano. E Geronimo (come ama firmarsi quando scrive su Libero e Il Giornale), al secolo Paolo Cirino Pomicino, è uno di questi. Deputato alla Camera dal 1976 al 1994, ministro della Funzione Pubblica nell'anno '88-'89, ministro del Bilancio dall'89 al '92. Democristiano doc, traghettato - dopo l'esplosione della Dc - prima nell'Udeur di Clemente Mastella, poi in Democrazia Cristiana per le Autonomie, nata nel giugno 2005 su iniziativa di Gianfranco Rotondi. Poi, deputato al Parlamento europeo tra le file del Ppe, nel 2006 eletto alla Camera nella lista Dc-Nuovo Psi. Dal 2007 ha un cuore nuovo, nel senso che è stato sottoposto ad un delicato trapianto in seguito a problemi cardiaci. Alle ultime elezioni politiche è stato iscritto, suo malgrado, nella lunga lista dei grandi esclusi. Nonostante ciò, nessuna resa, ma tanta perseveranza. Così tanta da riuscire a rimediare una nomina, da parte dell'amico Gianfranco Rotondi, a presidente del comitato scientifico per il ministero dell'Attuazione del programma. Una consulenza di lusso, e la nobile scelta di non percepire alcun compenso.

Ma a rendere Paolo Cirino Pomicino unico e irripetibile nella storia politica italiana è soprattutto il fatto che è stato uno dei 24 parlamentari italiani ad aver ricevuto condanne penali in via definitiva nella XV Legislatura: per l'esattezza, una condanna a un anno e otto mesi di reclusione per finanziamento illecito (tangente Enimont), con patteggiamento della pena a due mesi per corruzione sui fondi neri dell'Eni. E' stato perfino coinvolto nella cattiva gestione dei fondi per il Terremoto dell'Irpinia del 1980 (circa 60.000 miliardi di lire), con i reati prescritti per decorrenza dei termini processuali.

Insomma, l'ex dc può dirsi a pieno titolo figlio legittimo della Prima Repubblica e di una certa gestione partitocratica propria dell'epoca. Eppure, è riuscito quasi per miracolo ad attraversare indenne la bufera personale e pubblica che lo ha investito. Nessun suicidio, nessuna fuga, nessuna maschera per cambiare volto e identità. Ma al contrario, sempre la stessa faccia e lo stesso sferzante vigore nella sua straordinaria capacità critica di analizzare i fatti e i misfatti politici. Propri e altrui.

Allora, dica un po’, siamo tornati a Tangentopoli?
“Se si continua così, il pericolo esiste”.
L’ormai ex presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, è colpevole o innocente?
“E’ un auspicio, ma è soprattutto una convinzione: spero che Ottaviano possa dimostrare la sua totale estraneità all’intera vicenda”.
Però la magistratura è parecchio politicizzata, bisogna ammetterlo.
“Io distinguo gli inquirenti dalla magistratura giudicante, che è saggia e decisamente terza e rappresenta una garanzia sotto il profilo dello stato di diritto. Gli inquirenti, anzi, per meglio dire, un appiccola parte degli inquirenti (che, come sempre capita nelle vicende storiche, sono poi le minoranze attive) richiano di combinare guai”.
E’dunque braccio di ferro tra magistratura e politica un’agguerrita lotta tra poteri?
“La magistratura, per lo meno un aristretta frangia di essa, vuole dimostrare di avere potere e di gestirlo in modo del tutto irresponsabile, cioè non assumendosene poi le responsabilità”.
Però sta di fatto che si sta levando di nuovo un preoccupante vento giustizialista...
“Sì, questo è un dato inequivocabile. Del resto, percorre l’Italia da 15 anni a questa parte”.
Secondo lei, perché?
“La ragione è una sola, ed è molto semplice: il giustizialismo ha preso il posto della politica, quella alta, quella autorevole. Quando abbiamo formazioni politiche che non hanno più un’identità, non selezionano più classi dirigenti e sono tutti impregnati da un concetto utilitario, a destra, al centro e a sinistra, la politica degrada, non ci sono più luoghi fisici nei quali ci si confronta, e ci si seleziona sul piano delle idee e delle energie e naturalmente il giustizialismo, cioè la piazza, diventa tranquillamente egemone”.
Previsioni per il futuro?
“Se non si ripristina il valore e la qualità della politica, ahimè, avremo ancora per molto tempo la piazza pronta a emettere sentenze”.
A quanto pare, sembra proprio di capire che per lei la piazza non è l’habitat naturale né della giustizia, né tantomeno della politica. E, tanto per dirne una, lei la manifestazione dello scorso 8 luglio a piazza Navona non l’avrebbe organizzata.
“Guardi, quella del processo in piazza è un’immagine che si lega alla storia ma a una storia molto lontana. E quella è l’unica occasione in cui è possibile pensare a una cosa del genere. Ma, tornando ai nostri giorni, quando la piazza sostituisce l’aula giudiziaria, o peggio ancora, l’aula di Montecitorio o di Palazzo Madama, allora significa che siamo davanti a un disastro democratico. Il dramma è che in questo momento la grave emergenza democratica l’avvertono pochissimi”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it )

Marina Ripa di Meana: salonnière con la testa tiepida

Cortigiana nel senso più cortese del termine. Disinvolta sì, ma ormai con qualche battuta d’arresto. Marina Ripa di Meana viaggia verso la terza stagione della vita, quella della maturità inoltrata, ma anche della cosiddetta pace dei sensi. E, anche se in cuor suo non smette neanche solo per un attimo di ripensare al suo passato, condito al pinzimonio, se ne esce con una confessione: a sorpresa, rivela di non essere poi così tanto disinvolta. Quanto meno nei confronti del potere, anzi, degli uomini di potere, che in verità un po’ la intimoriscono.

Potrebbe precisare meglio il concetto? Sa, da lei, uno certe cose non se le aspetta.
“E invece sì, è proprio così. Gli uomini di potere mi intimidiscono. Certe cose che riguardano solo i potenti mi fanno stare a disagio. Diciamo che dove ci sono i potenti, non mi sento proprio a casa. Sono troppo dissacrante per finire in mezzo a loro. Per fortuna c’è spazio per tutti, anche per gente come me”.
"Cortina InConTra", il salotto en plein air di Enrico Cisnetto, rispetto ai salotti che lei ha sempre frequentato, com’è?
“Direi che è un luogo ameno di divertimento. Un salotto riuscito, che di più non potrebbe. All’inizio ero diffidente. L’anno scorso sono volati i cappelli. Tutto è successo senza preavviso. Nel classico salotto non sarebbe mai potuto accadere. Altro che salotto di potere, pieno di limiti.Questo è un salotto libero, senza limiti, in cui può succedere davvero qualsiasi cosa”.

Non le è mai capitato di ritrovarsi in una bella discussione salottiera un tantino complicata, dove magari si parla di economia o di politica in termini “da addetti ai lavori”, e lei che un’addetta a questo tipo di lavori non è, lì per lì non ci capisce nulla, eppure... deve intervenire nella discussione, a meno che non scelga di rappresentare solo un agghindato arredo al contesto? Chessò, ha presente la donna oggetto?
“Ma, guardi, per fortuna non ho questi problemi. Sono molto naturale e quando le cose non le so, lo dico tranquillamente. Anzi, non parlo di cose che non so e sono la prima a dire che su certi argomenti non sono preparata. Non ci trovo nulla di male.Ho sempre saputo riconoscere i miei limiti”.
Inevitabile qualche domanda sulla recente tempesta di intercettazioni sui giornali. Innanzitutto, le ha lette?
“No. Non leggo simili bassezze”.
Cioè? Non andavano pubblicate?
“Assolutamente no. Mi chiedo perché stare dietro a cose così scadenti? Commentarle è inutile. Le raccomandazioni ci sono sempre state, così come le persone che sono andate avanti per cosiddetto “diritto di alcova”. Però in passato non hanno suscitato nessun interesse. Tutti sanno, tutti sappiamo, ma non vedo perché pubblicare certe telefonate. Ve bene che il gossip attra, ma questo è davvero troppo scadente”.
Oddio, non si sarà mica indignata?
“No, no, certo che no. Queste cose ci sono sempre state. Ma secondo me metterle in piazza non è opportuno. E poi, non sono neppure divertenti. Sono solo scadenti. E anche molto scontate”.
Questa per lei sarà un’ estate come tante?
“Beh, sono in partenza per la Tunisia. Starò lì una settimana”.
Verrà anche suo marito?
“No, no, mio marito non verrà, lui odia l’islam. Andrò con alcuni amici”.
E poi che cosa fara'?
“Poi, sarò a Cortina per un mese. E lì insieme a me ci sarà anche mio marito Carlo”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 22 luglio 2008

Cortina mon amour. Dal 26 luglio al 31 agosto, un salotto estivo ad alta quota

Presto o tardi avrebbe corso l’inevitabile rischio di essere risucchiato a pieno da quel meccanismo perverso tipico del salottismo in salsa italiana, di cui la Capitale (e non solo) ne è l’emblema più sfrontato. Il salottismo ovattato e snob, in odore di taffettà e gioielli, dove tanto si chiacchiera e ben poco si parla, sottoprodotto dell’ affarismo più becero, di un riciclato narcisismo aristocratico e borghese, nonché sfacciata espressione della fantapolitica e alveo materno per intrattenitrici di alto rango, altrimenti sfaccendate.
Ma, volendo scorrere a ritroso, senza nulla togliere all’illustre tradizione legittimata dalla spregiudicata commistione di letteratura e politica, arte, cultura e intelletto dei “salons” francesi di Madame de Stael e Matilde Bonaparte, dove si definivano accordi politici importanti, da quello di Gesualda e Cesira Pozzolini nella lontana Firenze del 1859, di Teresa Berra Kramer e della romana Ersilia Caetani Lovatelli, fortunatamente “Cortina InConTra”, il cenacolo di Enrico e Iole Cisnetto, grazie all’abilità dei suddetti, è riuscito a sfuggire del tutto a questo amaro destino. E, giunto ormai alla sua sesta edizione, anche quest’ estate resterà fedele alla sua fisionomia di sempre, ovvero quella sì di un salotto, anzi, per l’esattezza di un salotto en plein air, ad alta quota, immerso nella vallata circondata a tutto tondo dalle Dolomiti, tra il Cadore e la Val Punteria, ma di un salotto “pulito”, proprio come l’aria che si respira ad alta quota. Senza smog e polveri inquinanti, a differenza dei dibattiti televisivi sempre più all’insegna del trash, a “Cortina InConTra Estate 2008” sarà pulita e sana anche la polemica, ingrediente indispensabile per un vero confronto, per un dibattito serio, nel rispetto delle opinioni di tutti.

I temi affrontati, com’è tradizione, saranno quelli della calda attualità: dall’economia alla politica, alla cultura, con vari momenti di musica e di spettacolo (Berliner Philharmoniker, Giovanni Allevi, Teresa De Sio), senza tralasciare il consueto impegno legato alla solidarietà (dai progetti per la sanità in Congo al potenziamento della rete di Telefono Azzurro, con una prossima nuova sede a Roma). Tra le novità di quest’anno, la più clamorosa appare la partecipazione, forse il 16 o il 17 agosto, anche se non ancora confermata, di Bill Clinton, annunciata a sorpresa dallo stesso Cisnetto nella Sala del Tempio di Adriano di piazza di Pietra a Roma, durante la presentazione ufficiale della fortunata rassegna. Per l’edizione 2008 ci sarà anche il patronato del Presidente della Repubblica e una liaison di 8 appuntamenti con Auronzo di Cadore. Ad accompagnare le discettazioni estive saranno le languide note di Sylvia Pagni al pianoforte.

Si parte sabato 26 luglio, con un omaggio ai 60 anni della Costituzione insieme al presidente del Senato Renato Schifani e ad Antonio Baldassarre (presidente emerito Corte costituzionale). “Cortina InConTra è il regno della libertà e della pluralità”, dice Domenico Fisichella, tra i padri fondatori della destra italiana di nuovo conio. “Finalmente, un luogo dove si discute davvero”, sintetizza Paolo Cirino Pomicino. “Stimola la curiosità”, sottolinea Irene Pivetti che, per la serie dei “Grandi processi” ispirata al “Festival dei Due mondi” di Spoleto (alla gogna: Gabriele D’Annunzio alias Giordano Bruno Guerri e Giuseppe Garibaldi ovvero Enrico Beruschi), vestirà i panni di Giovanna D’Arco. “E’ una divertente follia”, commenta, mentre il fotografo di “Dagospia” Umberto Pizzi in camicia rossa abbaglia la prima fila col suo flash. Sarà per immortalare il senatore a vita Francesco Cossiga, presidente onorario dell’associazione “Amici di Cortina”, che chiacchiera con Giuseppe Ayala: “Ormai sono entrato nel mondo dello spettacolo. Io e il giornalista Sabelli Fioretti vorremmo aprire un locale. Lui sarà deejay S e io deejay K”.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it) , pubblicato su "La Sicilia" del 22/07/2008

sabato 19 luglio 2008

Il crudo realismo di Stefano Calvagna

Stefano Calvagna è un recidivo. Per i suoi film non smette mai di trarre ispirazione dai fattacci di cronaca. E ci si immerge fino al collo, affrontando di petto e senza fronzoli realtà a volte brutali e spietate. Così ha fatto nel lontano 1999 con "Senza paura", in cui raccontava le audaci rapine della "banda del taglierino", una gang di ragazzi della Roma bene. L'ha fatto con "Il lupo", film liberamente ispirato alla vita del bandito Luciano Liboni, ucciso a Roma nel 2004, in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine. Il 4 luglio è uscito nelle sale "Il peso dell'aria", che mette a fuoco il dramma dell'usura. Ora, in fase di produzione c'è la pellicola "I figli di Satana”, che racconterà uno dei fatti più spaventosi del noir nazionale. La storia muove i primi passi con la denuncia dell’omicidio di Angela De Rosa, una ragazza che prima di incontrare la morte, viene umiliata, massacrata e distrutta da un gruppo di ragazzi, apparentemente tranquilli, non molto diversi dai loro coetanei che vengono accusati di delitti da brivido.Questa è la cruda realtà che dovranno affrontare i protagonisti: il procuratore capo Roberto Pozzo ed il suo collega Zeno Maselli, i due pm che attraverso un’attenta analisi dei fatti, ricostruiranno un drammatico puzzle, dal quale emergeranno particolari agghiaccianti. Riti iniziatici e morti misteriose. Canzoni maledette. Messe nere e sangue: a volte usato solo come simbolo, più spesso sparso con ferocia. Famiglie bruciate, giovani ossessionati dalla solitudine e da una viscerale sensazione di vuoto, “giochi” al limite della dignità umana in nome del male, anime dannate dalle facce pulite. Il linguaggio schietto e immediato invita il pubblico sin dalle prime immagini a riflettere su situazioni difficili da accettare.

Ieri, alla Multisala Planet di Catania Stefano Calvagna, accompagnato da Brunella De Nardo, sua prescelta ne "Il peso dell'aria", ha voluto incontrare il pubblico, quindici giorni dopo l'uscita del film nelle sale.

Per saperne di più, leggi l'intervista pubblicata su "La Sicilia" del 20/07/2008 , riportata qui di seguito.


Lo strozzino è come una piovra malefica. Coi suoi tentacoli circonda la vittima, stringendola nella morsa spettrale dell’usura. A quel punto la piovra-carnefice si trasforma in vampiro e ti succhia il sangue fino al midollo dei tuoi ultimi risparmi . Un dramma, quello dell’usura, che campeggia come un bubbone in tutta Italia, e di recente ha infettato Bari, per un giro di prestiti a commercianti in difficoltà conditi di interessi mensili fino al 18 per cento e annuali del 210 per cento. Dunque, denaro prestato a peso d’oro, fino a rubarti l’aria che respiri e forse anche l’anima. Un dramma economico e insieme esistenziale che vale la pena di raccontare sul grande schermo. Costi quel che costi.
E al regista romano Stefano Calvagna, definito da molti il “Quentin Tarantino italiano”, nato come attore all’Actor’s Studio di New York, l’ aver messo in piedi “Il peso dell’aria”, pellicola che affronta il tema dell’usura a muso duro, senza edulcorazioni di nessun genere, ma con assoluta sfacciataggine, qualche minaccia per la verità gli è già costata. “Sì, devo ammetterlo. Ho ricevuto minacce telefoniche, mi hanno fatto trovare perfino i proiettili nella cassetta della posta”, rivela il regista, appena arrivato alla presentazione catanese del film. Con lui c’è Brunella De Nardo, protagonista femminile, alla sua prima esperienza cinematografica. Uscito nelle sale lo scorso 3 luglio, “Il peso dell’aria”, prodotto e distribuito da Poker Film, racconta la storia di Carlo, impiegato presso un autosalone, sposato con Laura, una giovane donna laureata, incalzata dalla precarietà e in cerca di un contratto a tempo determinato. Costretto dalla sua principale alle dimissioni, Carlo mette e legge annunci senza risultato. In un prestigioso maneggio di Roma incontra Stefano, un vecchio compagno di liceo e sedicente finanziatore. Ignaro dell’illecita attività dell’amico e deciso a conquistare per sé e la moglie una piena stabilità, Carlo ottiene da lui un prestito da investire sul futuro e in un vecchio casale nella campagna umbra. L’affare promettente sfumerà e Carlo e Laura saranno costretti a nascondersi per sfuggire al loro strozzino e ai suoi implacabili esecutori.
Nel cast, oltre a Calvagna e alla De Nardo, ci sono Giampiero Lisarelli, Sergio Petrella, Claudio Angelini e Corinne Cléry. “Tutto è nato in un centro benessere di San Giuliano Terme- racconta Calvagna. “Mi trovavo lì e un tipo mi comincia a fissare con gli occhi. Poi, si avvicina e mi dice: “Tu sei il sosia di uno che mi ha rovinato la vita”. Io ribatto. “Cioè?”. E lui: “Era un usuraio”. Poi, mi racconta tutta la storia e, alla fine, gli dico:”E’ una roba da farci un film. E siccome sono un regista, ora lo faccio davvero”.
Calvagna, lei quasi sempre trae ispirazione dai fattacci di cronaca. Non a caso, nel ’99 firma il suo primo lungometraggio, “Senza paura”, un autentico “pulp” all’italiana, vincitore del Premio De Sica al Festival di Salerno (2000) e della ‘Sezione giovani’ al Festival australiano (2001) . Lì, si racconta della “banda del taglierino”, un’agguerrita banda di rapinatori della Roma bene. Il suo penultimo film, “Il Lupo” (2007), è liberamente ispirato alla vita del bandito Luciano Liboni. Anche qui, pura cronaca, pochissimo riveduta e corretta. Insomma, i suoi sono film d’impegno civile. Per caso, sta cavalcando l’onda lunga di Sorrentino (“Il divo”) e di Garrone (“Gomorra”)? Ma soprattutto, secondo lei si sta ritornando al cinema impegnato degli anni Settanta, per intenderci quello di Francesco Rosi, di Elio Petri, di Damiano Damiani, che ormai si credeva caduto nel dimenticatoio?
“Guardi, questo è un genere che in Italia, se non hai una grossa casa di distribuzione alle spalle, non puoi fare. Sì, è vero, i miei film sono un pugno nello stomaco. Ma il mio intento è proprio questo, far riflettere su certe realtà, presentandole nude e crude. E intendo proseguire su questa linea”.
La protagonista femminile è Brunetta De Nardo. Perché, invece di un nome già collaudato, ha preferito scegliere un’attrice al suo debutto sul grande schermo?
“All’inizio volevo scegliere Giovanna Mezzogiorno. Ma poi, ho conosciuto Brunetta, che secondo me è una piccola Anna Magnani. In lei ho notato una vena di incertezza che avrebbe reso il suo personaggio molto più vero”. Replica la De Nardo: “Lavorare con Stefano è stato bellissimo. Lui ha una straordinaria capacità di non scendere a compromessi. Insieme abbiamo già girato “Il peso dell’aria 2”, che uscirà tra cinque mesi. Anche Corinne Cléry sul set è stata una vera maestra”.
Progetti in cantiere? “Il prossimo film sarà sulle bestie di Satana”, anticipa Calvagna. Ho già scritto la sceneggiatura. Tutto partirà da “Mala gente”, il libro di Otello Lupacchini, il magistrato che indagò sulla banda della Magliana, in uscita a settembre”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 13 luglio 2008

Dedicato a tutti quelli che...

...pensano che la Sicilia si stia sempre più africanizzando. Perché ho scoperto che è davvero così. E non solo per la crescente presenza di nutrite comunità di extracomunitari tunisini, algerini, marocchini, ecc, che ci arricchiscono con le loro abitudini di vita e con la loro identità culturale, ma purtroppo anche nel senso più ampio del termine... Se per risolvere i tanti problemi del profondo sud bastasse festeggiare un matrimonio, ne saremmo tutti felici. Comunque, un grazie particolare a questa allegra famiglia che ho incontrato nei giorni scorsi, per il suo entusiasmo, la sua ospitalità, la semplicità e l'onestà. Credo che da loro abbiamo molto da imparare. Basterebbe solo tenerli in maggiore considerazione.

Difficile dire se, sotto quegli abiti così pesanti, la temperatura corporea delle modelle mezze italiane mezze tunisine che hanno sfilato alla piscina comunale di via Zurria, non abbia sfiorato i quaranta gradi. Una cosa è certa: quegli abiti da sposa pesavano davvero mezzo quintale. Ma è un rito tipico del matrimonio, quello che si fa a Tunisi, che prevede sette giorni e sette notti di festeggiamenti. Ogni giorno la sposa deve cambiare abito. E, al termine dei festeggiamenti, ahimè, deve fare i conti anche con le proprie tasche, visto che la media del costo della cerimonia, compresa di locale, balli e canti, si aggira intorno ai 1500 euro, cifra per loro non delle più basse. A scandire il ritmo dei passi allineati e soffici delle modelle, che scivolavano su una passerella di tappeti persiani color porpora, ci ha pensato il ronzio del miszoid in sottofondo, accompagnato dall’insistente tamburino egiziano, dai canti e dalle schitarrate di Slim, 48 anni, di professione cantante ( anche se poi, per campare, fa un po’ quello che capita), insieme al figlio Amine, di 16 anni, anche lui appassionato di musica. “Sono canti di gioia, di felicità, un inno alla bellezza della donna bruna, che ride sempre e non ha mai il broncio”, racconta Slim. In camerino, le modelle vengono aiutate dall’altra figlia Jasmin, 20 anni, stilista, e dalla madre Sihem, da diciotto anni a Catania (“e pensare che ero venuta qui solo per trascorrere 20 giorni”). Ma il destino fa anche questi scherzi. E la famigliola, col supporto di amici e conoscenti, ha messo su una solida impalcatura, El Amel, che in tunisino significa “speranza”, ovvero un’associazione che organizza attività ricreative, corsi di lingua, corsi di formazione e promuove gli scambi culturali. “Vorrei tanto che fossimo più aperti tra noi, e mi riferisco ai tunisini, agli algerini, ai marocchini. E poi, vorrei che le nostre donne si emancipassero e lo facessero innanzitutto per offrire un futuro migliore ai loro figli”, sottolinea Sihem quando ormai mancano pochi minuti dall’apertura della passerella. “Sì, è vero. Purtroppo c’è ancora tanta strada da fare. A scuola, spesso le maestre dicono ai nostri bambini che dovrebbero starsene lì dove sono nati i loro genitori, ma loro a Tunisi non riescono a trascorrere più di un mese. Non parlerei di razzismo, ma di ignoranza. Molte persone si fermano a ciò che sentono dalla tivù. Se un tunisino ha fatto qualcosa di male, si fa di tutta l’erba un fascio”, aggiunge Mansour, 45 anni, cuoco e amico di Slim e Sihem. “La maggior parte di questi abiti è stata realizzata a Tunisi, dalle nostre sarte”, precisa Jasmin. E come darle torto, osservando i tessuti dei pantaloni da odalisca e alla turca, che si gonfiano a palloncino passo dopo passo, i corpetti colorati di broccati e damascati, il lamè, la seta e il raso che scivolano sulla pelle, modellandosi addosso, il lino e il cotone, rinfrescanti e leggeri. E poi, gli strass e le paillettes, lì a illuminare il portamento. Non è mancato il pubblico di curiosi. “Stasera qui c’è Tunisi, c’è un po’ del nostro mondo, con la sua luce chiara, la sua terra bianca, l’odore dell’harissa, la salsina rossa piccante che condisce il nostro cibo”, confessa Hajer, capelli scuri e ricci, occhi neri, alla giovane età di 31 anni già madre di tre figlie, la più piccola delle quali ha 11 mesi e sgambetta dalla carrozzina. “Io sono figlio di un pescatore e l’immagine della mia terra che mi porto dentro è quella del ronzio del motore sulla barca, di quell’odore di nafta misto a quello del pesce appena pescato la mattina presto”, aggiunge il marito Chaouki, con un filo di emozione. Ma per fortuna niente è definitivo e c’è sempre tempo per ritornare là dove si è nati, cioè sulle rive di una laguna presso l’antica Cartagine, dove i dintorni sono contornati di vigneti e uliveti e tutt’intorno risuonano ancora gli echi di Annibale.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 13/07/2008










venerdì 11 luglio 2008

Ma dove vai se il melaphone non ce l'hai

Ognuno ha le sue ossessioni. Ci sono i collezionisti di farfalle, i feticisti di scarpe e stivali d’ogni sorta, i fanatici del bungee jumping. E all’appello ci sono anche loro, i patiti delle nuove tecnologie. Perché, si sa, l’appeal che ti dona Madre Natura, il talento, le virtù dell’anima, qualche neurone in più nella materia grigia del tuo cervello, sono cose che o si hanno o non si possono comprare. Ma l’iPhone per essere strafighi, quello sì che si può comprare. Però attenzione: non è di un iPhone qualsiasi che si parla. E' quello della Apple in versione 3G, sbarcato l'11 luglio nei negozi di 21 Paesi, compresa l' Italia. La scelta di un’unica data, l’11 luglio appunto, è stata voluta dalla casa di Cupertino. Il nuovo gioiello tecnologico della serie “tutto il mondo in tasca” ha letteralmente conquistato il pubblico di appassionati, che si è precipitato alla velocità di un lampo, già dal tardo pomeriggio di ieri, ha preso d'assalto i negozi.
Ma quali novità ha l’iPhone 3G, rispetto al precedente? Beh, manco a dirlo, ne ha parecchie.
Innanzitutto, semplifica la vita. Questo cellulare, che è anche un terminale internet, ha mandato tutti in delirio, tanto che gli americani hanno battezzato la sensazione che si prova nel navigarci sul web con la frase: “The Wow effect”. Alla faccia dello stupore! L’iPhone 3G è fighissimo, per carità. Bisogna ammetterlo. Utilizza la tecnologia denominata “Hsdpa” per connettersi velocemente (fino a 3,6 megabit al secondo) alla rete delle reti attraverso l’operatore telefonico. Cioè, tradotto in soldoni, con l’iPhone 3G si naviga a velocità paragonabili a quelle che si ottengono con il computer di casa collegato al web via cavo con la linea Adsl. Panorama ha provato l’iPhone 3G sia con la sim Tim sia con quella Vodafone. I risultati in termini di velocità di navigazione sono identici. Per passare da un operatore a un altro, però, non basta inserire la sim nell’apposita fessura, ma bisogna collegare l’iPhone anche al computer. Il software iTunes, quello che serve anche per gestire la musica degli iPod, riconosce la sim all’interno del telefonino e impartisce le istruzioni necessarie all’iPhone per funzionare con un operatore piuttosto che un altro. Questa operazione va fatta ogni volta che si vuole passare da Tim a Vodafone e viceversa.La velocità di connessione permette di vedere i video di Youtube in maniera fluida. Istantanee nel comparire sullo schemo sono le previsioni del tempo (pensate, si possono impostare tutte le città del mondo e sfogliarle, sfiorando il display con il polpastrello. Certo, bisogna averlo agile quanto basta…) e anche le quotazioni e gli indici di borsa. Ma è nella gestione della posta elettronica che il bijoux elettronico esibisce le migliori prestazioni. Le caselle si configurano con estrema semplicità: basta digitare il proprio indirizzo email e la password. Tutto il resto lo fa l’iPhone 3G che ha memorizzato i più importanti provider (sono migliaia) come Google, Yahoo, Msn della Microsoft ecc. Quanto ci costa un iPhone di questa portata? Uno da 8 gigabyte costa 173 dollari: nel prezzo sono inclusi lo schermo touch e la memoria a stato solido. In ogni caso, si tratta di un bel passo in avanti rispetto ai 226 dollari che si pagavano per l'iPhone originario.

Ancora non siete corsi a comprarlo? Ancora non ce l'avete? Beh, come minimo, vergognatevi di esistere...






Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

E oggi si vola a Ibiza

I bagni nelle incantevoli cale nascoste tra le rocce e le pinete, alla luce del sole o all'ombra degli alberi. Le serate all'Amnesia o a El Divino, dove abbonda il flamenco mescolato allo spogliarello. Le cene abbondanti col piccante bouillabaisse locale (pesce, pepe, peperoncino secco, peperone naturale, aglio, zafferano, prezzemolo e riso) annegato nel vino bianco gelato. Il calore torrido dei pomeriggi e le brezze rinfrescanti del tramonto non dovrebbero però far dimenticare che a Ibiza è possibile arricchire anche la propria cultura. Il museo nella parte alta della «Vila », per esempio, custodisce opere d'arte cartaginese che non si potrebbero vedere altrove. Nelle strette vie che lo circondano, abitano e hanno lo studio sempre aperto pittori d'avanguardia di notevole interesse. Un altro museo curioso, dedicato ai costumi e al folclore dell'isola, è a San Antonio e merita di essere visitato, così come meriterebbero di esser viste quasi tutte le chiese dell'isola, le cui fortifìcazioni, con mura e archi candidi, risalgono al tempo in cui gli abitanti delle parrocchie vi si chiudevano per difendersi dalle incursioni piratesche. Non vi basta? C'è sempre la passeggiata quiz, per la difficoltà di tornare al punto di partenza, che potrebbe esser fatta nel Barrio de lo Pena, una specie di casbah abitata dai pescatori, aggrappata sullo sperone di roccia che chiude il porto di lbiza e fìtta di fresche taverne dove corrono a fìumi i vellutati brandy di Jerez. In valigia, immancabili, cappello di paglia, tanti bikini e abitini colorati.

Allora, ci siete? Pronti per la partenza? Per fare le valigie avete al massimo un paio d'ore. E poi, il decollo!
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)








mercoledì 9 luglio 2008

No Cav Day, "Apocalipse Show" in caduta libera

Sabina Guzzanti ci riprova. A nulla le è valsa la forzata astinenza dal piccolo schermo che per fortuna l'ha messa in quarantena come un fastidioso virus. Lei è fatta così, riesplode sempre. Forse perché la sua natura non può proprio tradirla. Lei che ama rivestire la satira, genere nobile e sublime inventato in modo del tutto originale nell'antica Roma, quel piatto misto e colorato con cui i latini mettevano a fuoco difettucci e asimmetrie sociali, di una violenta invettiva al veleno. Altro che sarcasmo. Altro che intelligente ironia e argute battute di spirito. Ieri, a piazza Navona, nel corso della manifestazione radical-trash contro Silvio Berlusconi, la Guzzanti si è scagliata con toni assai poco edificanti contro il Papa e la ministra Mara Carfagna, che annuncia azioni legali contro la figlia ribelle del deputato forzista Paolo. Del primo dice che "devono ancora passare vent'anni; e fra vent'anni Ratzinger sarà morto e starà dove deve stare: all'inferno, tormentato da diavoloni frocioni attivissimi!". Sulla seconda, tira in ballo certe pratiche sessuali mai provate, sottolineando che "non si può mettere alle Pari opportunità una che sta lì perché t'ha succhiato l'uccello".

Sulla stessa linea, le frecciate del comico genovese Beppe Grillo, nel cui mirino finisce Giorgio Napolitano, il "Morfeo che firma tutto". "Ve lo immaginate Pertini che firma una legge che lo rende impunito? Mi dite chi è Napolitano? E' uno che quando a Chiaiano c'erano le cariche della polizia, era a Capri a brindare con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella" grida il comico in collegamento telefonico.

Ecco, i girotondisti hanno raccolto con assoluta fedeltà, anzi con ancor più brio, l'eredità del rassegnato Nanni Moretti. E Furio Colombo è a dir poco indignato. E' stato tradito lui e lo spirito stesso della manifestazione. Come dargli torto, quando precisa (e ne ha tutte le ragioni per farlo): "Sono indignato per tutte le parole che ha detto Grillo, non ho mai partecipato ad una manifestazione in cui da un palco si lanciano offese a chicchessia, quelle di Grillo colpiscono tutti, anche i tanti che sono venuti qui".

Idem, Tonino Di Pietro che, dopo essersi divertito in lungo e in largo a tenere banco col suo accorato show dal palco, si sofferma anche lui sulle sbavature dei comici, che sembrerebbero essere andati proprio fuori tema, con insulti decisamente fuori luogo. Insomma, in parole povere, si dissocia pure lui dai violenti attacchi di Guzzanti e Grillo, che hanno guastato la cerimonia. Ma la tirata d'orecchie più sonora allo show trash dai toni apocalittici di piazza Navona arriva dal Pd, con Rosy Bindi che non prova proprio nessun rimpianto per essere mancata all'appello e Walter Veltroni che da Matrix definisce "follie" gli attacchi rivolti al al Papa e al capo dello Stato.

Bel flop, che la sinistra consegna a se stessa. Mentre dal G8, ormai alle ultime battute, arriva laconico ma efficace il commento del premier: "Di spazzatura, mi occupo solo a Napoli".
Ma del resto, c'era da aspettarselo. Una manifestazione nata "per" la democrazia, si è rivelata esclusivamente contro Berlusconi. Rivelando a sua volta che l'antiberlusconismo, tigre di carta che purtroppo certuni si ostinano ancora a voler cavalcare, è la malattia vera di una certa parte di sinistra fatta di intellettuali e non solo, ma principalmente di questi, che tutto dimostra di saper fare, tranne che rinnovarsi, restaurarsi, rifiorire.

Però attenzione: i fiori appassiti di solito si buttano via, quantomeno per non rovinare il bouquet. E per la sinistra il rischio maggiore è proprio questo. Perché, siamo sicuri che il vero nemico non sia, a conti fatti, proprio la sinistra? E che così facendo non le facciano il sinistro regalo di sottrarle voti, dimezzarne il consenso e, come ha scritto Pietrangelo Buttafuoco dalle colonne del Giornale, "sfasciarne quello che resta, per regolamento di conti con interessi?".

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 2 luglio 2008

8 luglio, il bene che ti voglio

Per brevità, chiamato estremista. Concitato e ingrifato, Antonio Di Pietro non molla e sembra aver preso il posto della Sinistra radicale, che gli elettori lo scorso aprile, senza pensarci due volte, hanno sbattuto fuori dal Parlamento. Il leader dell'Italia dei Valori ormai ha deciso di entrare "in zona Cesarini". O la va, o la spacca. Se ne infischia dei divieti del Pd, e in particolare di quelli di Veltroni che invece, per dire no al governo, punta sulla raccolta firme. Nei giorni scorsi, nell'aula della Camera, illustrando la pregiudiziale di costituzionalità sul decreto legge sulla sicurezza, ha assestato la mazzata finale: "Questo decreto contiene tutti i presupposti per una dittatura". E a nulla sono valse le ripetute interruzioni provenienti dai concitati banchi della maggioranza, dove rimbalza più volte l'apostrofe di "buffone", che il presidente Fini ha cercato invano di stoppare, per permettere a Tonino di ultimare l'intervento-filippica. Una roba da perderci il senno e la fantasia. "Il presidente del consiglio fa l'incallito furbacchione e usa un decreto per farsi ancora una volta i cavoli suoi, facendosi approvare dal suo consiglio di amministrazione un decreto per farsi sospendere il processo". Ma-ha proseguito il ruspante Tonino, sempre più deciso ad andare fino in fondo alla questione-dica lui stesso che sa bene che questa furbata non si può fare, e allora, dopo aver fatto firmare il decreto al Quirinale, ha fatto aggiungere da un suo dipendente in Parlamento, come un bravo furbacchione, la norma che gli sospende il processo, raggirando così il Capo dello Stato". Dulcis in fundo, l'interrogativo inquietante: "Ma che c'azzecca la sospensione del processo di Berlusconi con la lotta alla criminalità e all'illegalità diffusa citate nel titolo del decreto? O forse c'azzecca?".

La democrazia è in pericolo? Sembrerebbe di sì. E l'allarme si è esteso a macchia d'olio, investendo le coscienze di una larga fetta dell'intellighenzia di sinistra radical- chic, che ha sfoderato dalla guaina un accorato appello dall'incipit assai intenso: "Il governo Berlusconi sta facendo approvare una raffica di "leggi-canaglia". L'on. Furio Colombo, il senatore Francesco Pardi e Paolo Flores D'Arcais, direttore della rivista Micromega, invitano così tutti i cittadini a scendere l'8 luglio in piazza Navona, quella che nell'antica Roma era lo stadio di Domiziano, l'imperatore amante delle arti che però come amministratore si rivelò un vero disastro.

Tutti uniti per un'unica causa. Marco Travaglio, Sabina Guzzanti, Ascanio Celestini, Andrea Camilleri, Rita Borsellino, Moni Ovadia, Lidia Ravera e Arturo Parisi, per difendere una «giustizia indipendente e un'informazione libera», spiega Di Pietro.A causa di impegni lontani da Roma, non sarà presente Beppe Grillo, che però interverrà in videoconferenza. Forse ci sarà perfino Umberto Eco, che stavolta-data la questione "da bollino rosso"- ha deciso di sporcarsi le mani e buttarsi nella mischia. "Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia", commenta il professore.
Tre gli slogan scelti. Primo slogan: l'articolo 3 della Costituzione che- spiega Flores - parla dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Secondo slogan: la scritta che campeggia in tutti i tribunali, "la legge è uguale per tutti". Terzo slogan: la frase di una sentenza della Corte Suprema degli Stati uniti del 1972. A citarla è Furio Colombo: «Nessun governo potrà censurare la libertà di stampa affinchè la stampa sia libera di censurare i governi».

Ma l'8 luglio a piazza Navona chi ci sarà davvero? E soprattutto, saranno in tanti oppure in pochi? Certo, dopo Montecitorio e la caciara di Palazzo, resta come valvola di sfogo garantito l'agorà, il luogo del popolo per eccellenza, quello della democrazia e della partecipazione. C'è solo da augurarsi che per il centrosinistra non sia l'ultima spiaggia. Che magari si trasformerà in un brulicante vespaio o verrà investita solo da una manciata di partecipanti in attesa delle ferie estive, mentre tutto il resto della combriccola sarà a godersi il mare, col sole in fronte.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)