domenica 13 luglio 2008

Dedicato a tutti quelli che...

...pensano che la Sicilia si stia sempre più africanizzando. Perché ho scoperto che è davvero così. E non solo per la crescente presenza di nutrite comunità di extracomunitari tunisini, algerini, marocchini, ecc, che ci arricchiscono con le loro abitudini di vita e con la loro identità culturale, ma purtroppo anche nel senso più ampio del termine... Se per risolvere i tanti problemi del profondo sud bastasse festeggiare un matrimonio, ne saremmo tutti felici. Comunque, un grazie particolare a questa allegra famiglia che ho incontrato nei giorni scorsi, per il suo entusiasmo, la sua ospitalità, la semplicità e l'onestà. Credo che da loro abbiamo molto da imparare. Basterebbe solo tenerli in maggiore considerazione.

Difficile dire se, sotto quegli abiti così pesanti, la temperatura corporea delle modelle mezze italiane mezze tunisine che hanno sfilato alla piscina comunale di via Zurria, non abbia sfiorato i quaranta gradi. Una cosa è certa: quegli abiti da sposa pesavano davvero mezzo quintale. Ma è un rito tipico del matrimonio, quello che si fa a Tunisi, che prevede sette giorni e sette notti di festeggiamenti. Ogni giorno la sposa deve cambiare abito. E, al termine dei festeggiamenti, ahimè, deve fare i conti anche con le proprie tasche, visto che la media del costo della cerimonia, compresa di locale, balli e canti, si aggira intorno ai 1500 euro, cifra per loro non delle più basse. A scandire il ritmo dei passi allineati e soffici delle modelle, che scivolavano su una passerella di tappeti persiani color porpora, ci ha pensato il ronzio del miszoid in sottofondo, accompagnato dall’insistente tamburino egiziano, dai canti e dalle schitarrate di Slim, 48 anni, di professione cantante ( anche se poi, per campare, fa un po’ quello che capita), insieme al figlio Amine, di 16 anni, anche lui appassionato di musica. “Sono canti di gioia, di felicità, un inno alla bellezza della donna bruna, che ride sempre e non ha mai il broncio”, racconta Slim. In camerino, le modelle vengono aiutate dall’altra figlia Jasmin, 20 anni, stilista, e dalla madre Sihem, da diciotto anni a Catania (“e pensare che ero venuta qui solo per trascorrere 20 giorni”). Ma il destino fa anche questi scherzi. E la famigliola, col supporto di amici e conoscenti, ha messo su una solida impalcatura, El Amel, che in tunisino significa “speranza”, ovvero un’associazione che organizza attività ricreative, corsi di lingua, corsi di formazione e promuove gli scambi culturali. “Vorrei tanto che fossimo più aperti tra noi, e mi riferisco ai tunisini, agli algerini, ai marocchini. E poi, vorrei che le nostre donne si emancipassero e lo facessero innanzitutto per offrire un futuro migliore ai loro figli”, sottolinea Sihem quando ormai mancano pochi minuti dall’apertura della passerella. “Sì, è vero. Purtroppo c’è ancora tanta strada da fare. A scuola, spesso le maestre dicono ai nostri bambini che dovrebbero starsene lì dove sono nati i loro genitori, ma loro a Tunisi non riescono a trascorrere più di un mese. Non parlerei di razzismo, ma di ignoranza. Molte persone si fermano a ciò che sentono dalla tivù. Se un tunisino ha fatto qualcosa di male, si fa di tutta l’erba un fascio”, aggiunge Mansour, 45 anni, cuoco e amico di Slim e Sihem. “La maggior parte di questi abiti è stata realizzata a Tunisi, dalle nostre sarte”, precisa Jasmin. E come darle torto, osservando i tessuti dei pantaloni da odalisca e alla turca, che si gonfiano a palloncino passo dopo passo, i corpetti colorati di broccati e damascati, il lamè, la seta e il raso che scivolano sulla pelle, modellandosi addosso, il lino e il cotone, rinfrescanti e leggeri. E poi, gli strass e le paillettes, lì a illuminare il portamento. Non è mancato il pubblico di curiosi. “Stasera qui c’è Tunisi, c’è un po’ del nostro mondo, con la sua luce chiara, la sua terra bianca, l’odore dell’harissa, la salsina rossa piccante che condisce il nostro cibo”, confessa Hajer, capelli scuri e ricci, occhi neri, alla giovane età di 31 anni già madre di tre figlie, la più piccola delle quali ha 11 mesi e sgambetta dalla carrozzina. “Io sono figlio di un pescatore e l’immagine della mia terra che mi porto dentro è quella del ronzio del motore sulla barca, di quell’odore di nafta misto a quello del pesce appena pescato la mattina presto”, aggiunge il marito Chaouki, con un filo di emozione. Ma per fortuna niente è definitivo e c’è sempre tempo per ritornare là dove si è nati, cioè sulle rive di una laguna presso l’antica Cartagine, dove i dintorni sono contornati di vigneti e uliveti e tutt’intorno risuonano ancora gli echi di Annibale.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 13/07/2008










2 commenti:

Anonimo ha detto...

ONESTAMENTE NON HO LETTO PROPRIO IL TUO ARTICOLO,
PERCHE' SONO STATO IMMEDIATAMENTE RAPITO DALLA TUA FOTO.
HO PERSO I MIEI OCCHI NEI TUOI ED HO IMMAGINATO LE MIE MANI ACCAREZZARE I TUOI CAPELLI.
FERMO QUI IL COMMENTO, MENTRE CONTINUO A IMMAGINARE....
FABIO AMIRANDA

Luca Bagatin ha detto...

Accidenti !
Hai parecchi ammiratori...giovanidubbiosi" ;-)

PS: però non vale non leggere gli articoli.
Il merito non ha sempre a che vedere con la beltade ;-)