giovedì 30 giugno 2011

Presentata la nuova stagione televisiva del Biscione. E Santoro perde la sua grande occasione

Ha perso una grande occasione Michele Santoro. Forse la più grande della sua vita professionale. In fuga dalla Rai, in rotta con La 7, avrebbe potuto approdare tranquillamente a Mediaset. Tra Checco Zalone e Giorgio Panariello, a coronamento di un sogno: ufficializzare il senso del suo profondo e viscerale antiberlusconismo a favore di Berlusconi. Perché se ciò che conta è il risultato, più che alimentare il dissenso, Santoro con le incandescenti puntate di Annozero nutriva spudoratamente i fedeli seguaci del Cavaliere bastonato. Silvio martire, demonizzato e perciò vittima sacrificale da redimere. Con tanto di umana compassione e solidarietà. Quindi Santoro a Mediaset ci stava come il cornetto a colazione. Ma siccome è più testardo di un mulo, non si farà. E allora vagherà ancora per i campi Elisi prima di approdare in qualche studio televisivo e riprendere le sue accorate filippiche insieme a Travaglio.

Pazienza. Nella nuova stagione del Biscione vedremo i soliti noti. Maria De Filippi si riconferma la regina della rete ammiraglia Mediaset con ben tre programmi: Amici, Uomini e donne, C’è posta per te. Alessia Marcuzzi, Federica Panicucci, Rita Dalla Chiesa, Alessio Vinci, Luca e Paolo, Teo Mammuccari, Ezio Greggio e Silvia Toffanin tutti riconfermati al timone dei loro programmi. Gerry Scotti avrà di nuovo Io canto e qualcosa di nuovo: Million Dollar Money Drop. Anche Chiambretti si allarga e la D’Urso verrà riconfermata a Pomeriggio Cinque e in più le verrà affidato un format sudamericano, Baila, la copia sfacciata di Ballando con le stelle di Milly Carlucci. Ci sarà Paolo Bonolis, al quale Mediaset non ha mai voluto rinunciare, con un preserale. E ci sarà Belen Rodriguez alla conduzione di Colorado Cafè.


Numerose anche le fiction in palinsesto su Canale 5: da Sangue caldo con Manuela Arcuri e Francesco Testi, a Faccia d'angelo con Gabiel Garko e Cosima Coppola, da I cerchi nell'acqua con Alessio Boni e Vanessa Incontrada, a Il commissario Zagaria con Lino Banfi. Tra le conferme, la nuova serie di Anna e i cinque sempre con Sabrina Ferilli e Distretto di polizia 11.
Resiste alle tempeste giudiziarie Emilio Fede, campione del premio fedeltà, ancora e sempre al timone del suo personalissimo Tg4. Un’informazione a portata di Silvio. Italia Uno si conferma la rete dedicata a un pubblico giovane (che da lunedì prossimo potrà anche sintonizzarsi su Italia 2, nuovo canale free del digitale terrestre di Mediaset).
Nonostante la crisi, Mediaset si difende bene dalla concorrenza con la Rai e La 7 di Murdoch. "Nel 2011 investiremo 1,5 miliardi di euro in un prodotto solo italiano", ha sottolineato Pier Silvio Berlusconi. Ma il vicepresidente Mediaset si è detto preoccupato che il clima di ostilità nei confronti del padre possa avere ripercussioni negative sull’azienda. "I nostri ascolti sono sempre stati altissimi e anche in questi ultimi quattro anni nonostante la concorrenza sia diventata enorme, il nostro ascolto medio è cresciuto del 3,2 per cento", ha aggiunto il figlio del premier. Quindi ancora talent show, format ben consolidati all’estero, fiction e tanto intrattenimento. Per riflettere c’è tempo…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 24 giugno 2011

E il Pd scivola sulle gambe al vento

E qui casca l’asino. Il Pd fa un clamoroso autogol. E scivola sul manifesto della festa dell’Unità a Caracalla, che ha già fatto il giro dei giornali. Proprio al numero 77, le gambe delle donne. Sì, perché quel paio di gambe, scoperte da una vaporosa gonna fucsia sollevata dal vento che cambia ha fatto discutere. E quella mano che scivola a cercare di coprirle. Citazione cinematograficamente efficace di “Quando la moglie è in vacanza”, dove quella donna era l’ineguagliabile Marilyn. Strategia pubblicitaria per catturare gli sguardi ai semafori. In perfetta linea col resto dei cartelloni di spot vari.

Ma dall’ organizzatrice della festa democrats Micaela Campana arriva una pronta giustificazione: "Certo può creare perplessità ma è stata scelta quell'immagine perché ricorda la Monroe in un famoso film. Ma visto che ha creato così tanta eco abbiamo deciso di organizzare un dibattito sul tema alla Festa dell'Unità". Non drammatizza neppure l'assessore provinciale Patrizia Prestipino, che dice di non trovarlo offensivo ma frizzante.
Getta acqua sul fuoco anche Sara Battisti, segretario dei giovani democratici del Lazio: "Siamo impegnate contro la mercificazione del corpo delle donne tanto in voga nell'epoca berlusconiana, ma in quel manifesto si ravvisa più la poesia frivola che non la volgarità".
Il manifesto però non trova approvazione da parte delle donne della conferenza regionale e romana del Pd che si "dissociano". Niente di riprovevole, né di equiparabile alla volgarità delle ragazze dell’Olgettina. L’accostamento è del tutto fuori luogo, fanno sapere dalla segreteria capitolina del partito.


Chi è troppo cavilloso, ironia della sorte, prima o poi cade nella trappola. I giornali ne parlano tutti, l’Unità tace. Meglio non dire, visto che si è sempre detto tutto il male possibile sulle ragazze seminude di Mediaset. Certo Pier Paolo Pasolini, da sempre contro l’uso della donna oggetto dentro e fuori dal piccolo schermo, non avrebbe apprezzato più di tanto. E nemmeno i post comunisti più moralisti. Ma Pasolini è ormai il simbolo della vecchia sinistra. In realtà  il vero vento del cambiamento ha investito in pieno i post comunisti, che si stanno già preparando a passare dall’antiberlusconismo convinto al post berlusconismo accondiscendente. Ripartendo proprio dalle veline succinte e sgambettanti di Striscia, fino a ieri icone di frivolezza e profondamente offensive nei confronti della dignità femminile, ma a cui probabilmente qualcuno del partito ha pensato di ispirarsi, neppure troppo timidamente. Ci vuole rispetto per il corpo delle donne, che non va in alcun modo usato né tantomeno mercificato, hanno da sempre strombazzato a gran voce i dalemiani, demonizzando in tutte le salse il modello femminile diffuso da Berlusconi nelle sue tv. Eh già, caro Pd, questa però è l’eccezione che non conferma la regola, ma semmai riflette l' inghippo.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 19 giugno 2011

A Pontida Bossi e la Lega: D’Artagnan e i moschettieri di re Silvio

Il re è ancora lui, Silvio. E alla fine… Umberto Bossi è il solito D’Artagnan, sul palco di Pontida insieme agli altri moschettieri Calderoli e il popolarissimo Maroni. In 80.000 sul prato bergamasco a sventolare bandiere. Le camicie verdi hanno sete di rivalsa, ma anche di retorica demagogica. L’importante è dire a gran voce quelle tre o quattro cose concordate sottobanco col premier, giusto per far bella figura con la propria gente, placarne le ire e i malcontenti. Dunque voce grossa, aria minacciosa, come da copione e da tradizione del Carroccio. Non è mancato qualche insulto, le solite e attese parolacce che hanno fatto il giro del web e delle cronache politiche di tutti i giornali (“quegli stronzi dei giornalisti schiavi di Roma scrivono solo falsità”, e qui interviene Enzo Iacopino, presidente del consiglio dell’Ordine).

Si batte sui ministeri al Nord, in particolare Economia, Lavoro, Riforme e Semplificazione legislativa. “Silvio era deciso, ma poi si è spaventato”, ha ricordato il Senatùr. Roba da far accapponare la pelle alla presidente della Regione Lazio Renata Polverini, che chiama in causa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e, naturalmente Gianni Alemanno (“Non si può sacrificare una capitale”). Macché capitale. In Padania tira un vento secessionista, ormai dalla notte dei tempi. E ora si pretende assolutamente il federalismo fiscale e un nuovo patto di stabilità per i comuni virtuosi. La gente del Nord, il ventre molle del Carroccio, festeggia, esulta, si commuove, ride, fischia e canta. In poche parole ci crede e ci ricasca. Gratitudine al premier (“Senza i suoi voti non ce l’avremmo fatta”) ma nessuna assicurazione su una nuova alleanza dopo il 2013. E messa in discussione anche della leadership del Cavaliere. Insomma, uno spiraglio a nuove alleanze, ma solo a fine legislatura. Per il momento, l’opposizione dovrà accontentarsi solo di qualche scaramuccia. Nessuna rottura e la solita vaghezza. Il popolo del Nord, il ventre molle del Carroccio, esulta, si commuove, ci credeDel doman non c’è certezza, trallallero trallallà.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 17 giugno 2011

La Lega sbraita. L'alleanza con Mr B. resta. E Pontida diventa il remake di 'Molto rumore per nulla'

L'entusiasmo per la vittoria ai referendum rischia di trascinare qualche cronista politico nel vortice di uno sfrenato ottimismo sulla crisi irriversibile del governo e sul rischio di possibili elezioni anticipate. Niente di più sbagliato. I tempi non sono ancora maturi. (la frenata di Di Pietro non è un caso). E non sono maturi non solo per l'opposizione, che ancora non è pronta ad afferrare a mani salde il timone, ma anche nella maggioranza. Infatti l'ipotesi di un'implosione appare remota soprattutto nel Pdl, seppur dissestato.
Non è tempo quindi di facili ottimismi. Perché i riflettori puntati sul raduno di Pontida di domenica potrebbero rivelarsi l'ennesima illusione perduta. E chi si aspetta che il raduno dei leghisti celebrerà una rottura con Silvio Berlusconi, rimarrà deluso e dovrà accontentarsi dll'ennesimo esercizio demagogico dall lega Nord per riconquistare qualche voto e la fiducia dei propri elettori, traditi da promesse non mantenute. Bossi, salendo sul palco gasato al punto giusto, non romperà l'alleanza di ferro con Silvio Berlusconi, alleato numero 1. Ipotesi da escludere. Così come si sciolgono come cera le insinuazioni di un possibile travaso nel Pd.  Berlusconi e Bossi sono legati infatti a doppio filo:  se cade l'uno, cade anche l'altro, con tanto di ministeri e sottosegretariati. E viceversa, se resiste l'uno, resiste anche l'altro, a questo punto fino al 2013. 

Sì, è vero, l'ingranaggio dell'alleanza tra i due ha scricchiolato più di una volta. Ultimamente perfino un po' troppo. Soprattutto sulla questione Libia e immigrati. La linea dura dei leghisti non era passata, creando smorfie e malcontenti, nonché sonori vaffa... al capo. E i leghisti on ci avevano pensato troppo a bloccare il decreto sui rifiuti campani. Ma puntualmente è arrivata la mossa strategica del premier, più abile di Pericle, che ha allora cercato di ammorbidire subito i toni lubrificando l'ingranaggio e, in conferenza stampa con un Maroni un filo distaccato ha preso le distanze dall'intervento contro Gheddafi varando la stretta sull'immigrazione.

Ecco. Primo passo sulla via di una possibile riconciliazione. Poi il chiarimento su un'interpretazione errata del pollice verso del senatùr, rivolto ai giornalisti e non al governo. Ma quando tutto sembrava risolto, l'affondo minaccioso di Maroni: "Rimando a Pontida, dove Berlusconi ci ascolterà attentamente", in risposta a chi gli aveva chiesto se il governo terrà. Sarà vero che sul palco del 'sacro prato', tra la schiettezza inequivocabile del concreto popolo della Padania abituato a poche perifrasi e scarsi giri di parole la Lega saprà davvero essere credibile e riconquistare la sua gente ormai disillusa e amareggiata? Bella scommessa. Questo sarà il principale obiettivo di Bossi & Co, al di là di chi salirà sul palco. E se questo costerà qualche altra sceneggiata in salsa verde contro l'alleato di ferro, magari condita pure con qualche frase pesante, paroline e parolacce a effetto, finte minacce, pressing sulla riforma fiscale e i ministeri al Nord con voce incazzata e gestacci, ci sta. Come al solito, in perfetto stile leghista. Anche se non saremo nella Napoli melodrammatica di Mario Merola, ma nel cuore della nebbiosa Padania.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)        

mercoledì 15 giugno 2011

Il surrealismo brunettiano ha fatto flop

Loro vivono sul filo di lana, in un equilibrio instabile. Fiato corto, colorito pallido, volti stanchi e appannati da un futuro lavorativo incerto. Non hanno un copione e recitano a soggetto, i precari che il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, ospite d’onore al ‘Convegno dell’Innovazione’ organizzato al Macro di piazza Giustiniani a Roma, ha brutalmente strapazzato, gridandogli senza pietà “Siete l’Italia peggiore”. Scivolata clamorosamente trash, probabilmente dettata da una soglia di nervosismo più alta del solito, viste le numerose contestazioni del pubblico. Manco a dirlo, l’affermazione infausta ha scatenato la dovuta bufera. Pioggia di contestazioni su facebook e di rimbalzo risposte al vetriolo da parte dell’opposizione e dei sindacati. “Brunetta non ha il senso della realtà”, si è affrettato a commentare il leader del Pd Pier Luigi Bersani, che ultimamente vede divorzi dovunque. E se due giorni fa bollava l’esito vittorioso dei referendum come un divorzio tra il governo e il Paese, adesso senza troppa fantasia sottolinea: “l’affermazione di Brunetta è segno di un divorzio tra il governo e la realtà”. Nichi Vendola parla di regressione civile. Meno trascendentale e ‘narrativo’ Fabrizio Fratini, segretario nazionale Fp Cgil, che boccia a pieni voti l’affermazione infelice del ministro come offesa volgare a tutti i lavoratori, non solo ai precari.

"I migliori dell'Italia siamo noi, checché ne dica il ministro Brunetta". Il comitato 'Il nostro tempo è adesso' scende in campo contro le dichiarazioni del ministro Brunetta e indice per giovedì un sit-in di protesta davanti al ministero della Funzione Pubblica a Roma. L'appuntamento è alle 18 per dire al ministro Brunetta che 'l'Italia peggiore è fatta da chi insulta questo Paese."Non siamo più disposti a sopportare tutto questo - si legge in un comunicato - Poche ore dopo, in una trasmissione televisiva, invitava i tanti giovani ultra formati senza lavoro ad andare a scaricare le cassette di frutta ai mercati generali.
A nulla sono valse le precisazioni del ministro che poi in un video ha parlato di agguato squadrista, rifilando agli internauti una sorta di malcelata excusatio non petita, accusatio manifesta. "L'Italia peggiore - afferma Brunetta - è quella di quanti, non avendo di meglio da fare, irrompono sistematicamente in convegni e dibattiti per interromperne i lavori, insultare i presenti e riprendere la loro bravata con una telecamerina portatile per poi passare subito il video ai giornali amici (che notoriamente pullulano di precari)".
Ma loro hanno fame di stabilità e di un lavoro sicuro. Loro, precari, non sono brutti, sporchi e cattivi. Sono solo tanti, troppi. Per l’esattezza circa 240mila nella pubblica amministrazione e oltre 200mila nel mondo della scuola, per esempio, secondo quanto emerge dai dati forniti dal responsabile del dipartimento dei settori pubblici della Cgil Nazionale, Michele Gentile, sul fenomeno della precarietà all'interno del settore pubblico. Senza contare quelli del settore privato.
Ok, il ministro è caduto nella trappola e stavolta non è stato all’altezza del suo compito. E adesso saprà recuperare parte della sua statura?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 13 giugno 2011

Referendum 2011: quorum ampiamente superato. I cives si risvegliano

E alla fine il quorum non solo è stato raggiunto, ma anche ampiamente superato e viaggia verso un bel 60 per cento. Nel caldo weekend appena trascorso un salto al mare, ma prima un salto alle urne per votare sì ai quattro quesiti e far saltare di nuovo i nervi al premier, che aveva invitato a disertarle. Altro schiaffo dunque per Silvio Berlusconi, che di certo non avrà digerito il sì sull’abrogazione del legittimo impedimento. E una sonora bocciatura al suo governo.
“E’ un divorzio tra il governo e il Paese”, commenta Pier Luigi Bersani. Antonio Di Pietro esulta. L’opposizione compatta incita alle dimissioni, tranne l'Idv. Ma di fatto che cosa succederà? Riflettori puntati sul rapporto tra il Cavaliere e Umberto Bossi, nell’attesa della Filippica di Pontida nel mega raduno leghista il prossimo 19 giugno. Ma potrebbe anche gattopardianamente non cambiare nulla e tirare ancora una volta a campare, magari pure fino al 2013.

Di certo questo è un risultato chiaro, netto, che meglio fotografa lo stato di apnea in cui versa la maggioranza. Il dato più rilevante, oltre alla vittoria dei sì, è quello di una partecipazione massiccia all’istituto referendario, come non succedeva negli ultimi dieci anni. I cittadini riscoprono a gran voce uno dei principali strumenti di democrazia diretta, si sentono partecipi, vogliono esserci e decidere col loro voto. Vogliono insomma riscoprire più che mai il proprio ruolo di cives. E non essere più trattati come figuranti e comparse di uno sterile spettacolo dove gli attori principali sono sempre gli stessi e fanno un po’ come gli pare, a seconda del proprio “particulare”. Eccolo, il campanello d’allarme, è già suonato e non si può far finta di non sentirlo. I cittadini pretendono di essere parte attiva in una società liquida, che modifica le proprie sembianze alla velocità della luce. Ecco perché gli italiani domenica 12 giugno (si è votato fino alle 15 di lunedì 13) , prima di fare un salto al mare, sono andati a votare.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 11 giugno 2011

Per dirla con... Santoro: hai rotto. Quando ce vo' ce vo'

La telenovela continua. Ormai le puntate non si contano più. E’ la storia infinita di Michele Santoro versus mamma Rai. “Annozero” ha chiuso i battenti. E la prossima stagione televisiva traslocherà davvero a La 7? Il mistero s’infittisce. Nessuno lo sa, ma di certo sulla chiarezza di idee sbandierata a oltre otto milioni di telespettatori dallo stesso Santoro-Cerbero indiavolato come un demonio, l’indomani duramente accusato da Garimberti di aver fatto uso privato del mezzo pubblico (“ma, direbbe lui, quando ce vo’ ce vo’, avete rotto!”), nemmeno l’ultimo dei mohicani ci scommetterebbe un solo centesimo. Perché attorno al conduttore c’è da sempre un velo di mistero che ne opacizza le scelte. Sì, no, forse. Chissà. Nel frattempo lo share dell’ultima puntata del 32,29 per cento, in altre parole un terzo degli italiani, fa piangere la Rai con due occhi per questo trasloco. Se ne va un pezzo grosso, un personaggio utile, un asso. Ma ci siamo abituati. Va bene il dissenso, va bene la critica. Ma Santoro è un caso, il caso per antonomasia. Attorno a lui c'è da sempre una coltre di chiacchiere fitta e raccapricciante.

 L'"agonia" della Rai è "un prezzo che non si deve pagare": ora che "l'alibi Santoro è caduto" il governo pensi ad agganciare il canone alla bolletta energetica. Interviene nel dibattito, già caldo sui giornali, anche Bruno Vespa, l’antagonista numero uno del conduttore più molesto del servizio pubblico. Ma fare i conti senza l’oste non porta bene. Se non a Mediaset, s’intende. E con tutta probabilità il premier ad altro non pensa che alle sue, di tv. Tant’è che la Rai versa in condizioni non certo ottimali. E Vespa scende ancora più nel dettaglio. “"Di taglio in taglio, la Rai sta mettendo molto seriamente in pericolo la qualità (e la quantità) dei suoi programmi". Eh già... Alla fine parlano i bilanci, i fatturati, più che le polemiche sterili e inutili sui palinsesti. Nessuno ha infatti messo in conto che non a tutti i telespettatori potrebbe interessare il caso personale di Michele Santoro, il suo contratto da 10.500 euro a puntata più i 266.000 euro per l’incarico di direttore, la sua liquidazione di 2,3 milioni di euro, i suoi sonori 'botta e risposta' coi dirigenti Rai, le sue beghe con l'Agcom. Che noia che barba, senza fregare la battuta a Sandra e Raimondo. Ci siamo stufati di leggere ogni volta di scenari nuovi, di polemiche immense, affermazioni poi smentite, divorzi che poi non si consumano, ripensamenti dell'ultima ora. Bando alle ciance, come se già ce ne fossero poche, c’è una tassa da pagare di 101,50 euro. Santoro se ne andrà pure, ma il canone resta. Per un’offerta di servizio pubblico che si spaccia per completa, dinamica, esauriente, originale, formativa, strabiliante. Almeno sulla carta. Anzi, solo su quella. Il nuovo contratto con La 7 resta ancora un’incognita. Resterà in Rai anche al costo di un euro a puntata? Fantatelevisione. Ma di una cosa siamo certi. Talmente se n'è parlato negli ultimi anni che l'affare Santoro nel bene e nel male passerà alla storia, un po’come l'affare Dreyfus. Anche se ne abbiamo piene le tasche.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 8 giugno 2011

Berlusconi ai raggi X. Gli amici non servili tentano l'ultimo salvataggio. Risorgerà per l'ennesima volta?

C’è ma non si vede. Silvio Berlusconi alla fine non è arrivato al Capranica, tra i suoi amici non servili. Ma era come se la sua presenza sofferta, il suo volto stanco e tirato, il suo sorriso amaro e per una volta non beffardo, fossero lì presenti. Rimettersi in gioco con una grande campagna nazionale di rilegittimazione. Primarie, dunque, per riscoprire un animo democratico. L’autarchia si avvia definitivamente al tramonto. Giuliano Ferrara lo grida a gran voce. A fargli da spalla gli altri amici non servili del Cavaliere mascherato : Mario Sechi, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri.

In platea ad ascoltare, tanti parlamentari del Pdl e ministri tra cui Cicchitto, Santanche', Brunetta, Verdini, Meloni, Galan. Non si può proprio far finta di niente. La sconfitta elettorale c'e' stata, anche se Berlusconi fa fatica ad ammetterla. L’appello convinto dell’angelo custode Ferrara sa di un benevolo tentativo di salvataggio, per accelerare la fase di recupero ed evitare l’inevitabile sfacelo. “Non essere ingessato, non diventare una statua di cera. Torna a combattere”, esorta Ferrara vestito di beidge. Il Pdl? Il Titanic che affonda, con l’orchestra che continua a suonare, dice il direttore del “Tempo” Mario Sechi. “Che errore liquidare la sconfitta di Napoli e Milano come un episodio! Sono invece il picco di un'emergenza, che non si risolve con Alfano segretario politico. Dunque ci vuole umiltà per capire che la sconfitta è grave' e 'occorre soprattutto una rivoluzione dentro il Pdl. Bisogna coinvolgere il popolo sovrano, quello che si cita sempre ma che non si coinvolge''. E sembra di rileggere alcuni passi del De Republica di Platone.

Tutta colpa del dissenso che avanza. Il pubblico dileggio entra a pieno titolo nell’agone politico. Il clima generale di sfiducia e di scontento si sta allargando a macchia d’olio. Dalla platea arrivano fischi e urla. “Vai a casa, fuori!”, sbraitano gli uditori inferociti quando Marina Terragni del Corriere preme un po’ troppo l’acceleratore: “Le donne che hanno manifestato per lui a febbraio lo hanno abbandonato come Veronica”.
Anche se non è ancora detta l’ultima parola e la rimonta non è del tutto esclusa. Come nel 2006, quando Berlusconi all’ultimo momento riuscì a mobilitare gli indecisi. Tutto può succedere. Perfino il brutale risveglio di schegge impazzite di berlusconismo. Per chi crede ancora nei miracoli…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it )

martedì 7 giugno 2011

Pier Luigi Bersani come Celestino V: non serve più una sola leadership. Sano buonsenso o consapevolezza di sé?

Non si può sempre andar per funghi. Parola di Pier Luigi Bersani. Le alleanze si costruiscono, non s’inventano dall’oggi al domani. Certo. Ma quella con Vendola sembra davvero una questione di leadership. Parolina magica. Non a caso il leader del Pd abdica proprio sulla leadership di uno solo. Troppa responsabilità l’investitura di un oligarca dallo scettro d’oro. Troppa fatica battersela un’altra volta con quel “mostro mediatico” di Berlusconi. Meglio gettare l’àncora di salvataggio e allargare a Vendola & Co. e all’Udc. Il Terzo Polo? Vedremo. Con calma. La ratio della politica è che ha in sé un’intrinseca forza gravitazionale. Meglio andare contro il nemico coi piedi di piombo.
Vestito scuro, piglio semiserio, flemma britannica, tono colloquiale e portamento decisamente friendly, Bersani alla presentazione del suo libro-intervista “Per una buona ragione”, edito da Laterza (pagg.280, euro 12,00), in cui si parla di crisi economica, di cambiamenti che hanno interessato il nostro Paese con l’avvento del mercato globale, degli errori politici della sinistra italiana, degli squilibri sociali che caratterizzano l’Italia e delle possibili soluzioni da adottare e – in una parte autobiografica – si racconta di un’infanzia trascorsa sognando la politica e di un passato da “proletario”, accenna a una vittoria facile sui referendum, così come lo è stata a Milano. Le interviste presenti nel libro, disponibile anche sotto forma di ebook acquistabile dal sito della casa editrice, sono curate dallo storico Miguel Gotor e dal giornalista Claudio Sardo.


Immancabile torna, manco a dirlo, a riesumare lo spettro del Berlusconismo, da sconfiggere, ma in realtà già sconfitto. Il declino è lento, troppo lungo e il Pd si è stufato. Non regge più l’attesa. Vuole tornare al potere. Ma per adesso si fa strada la costruzione di una valida alternativa al centrodestra. “Siamo troppo vecchi per rimandare”. Tutto dovrà essere pronto per il prossimo decisivo confronto elettorale. E Bersani, un “papa straniero” nella coalizione di centrosinistra, se la gioca tutta sulla sua vocazione riformista. Tant’è che, promette, la legge sulla regolarizzazione delle coppie di fatto si farà, eccome.
Ma il Pd non dovrà essere un nuovo Ulivo. Per fortuna, sussurra qualcuno in platea. Quell’esperienza è tramontata per sempre. I verdi di Pecoraro Scanio, allora segretario del partito, non ci sono più. Ma le contraddizioni enormi all’interno della coalizione però restano. In primis sui temi etici come l’eutanasia. E rischiano di disorientare tanti elettori delusi dal centrodestra. Luci e ombre, troppo contrasto. Riusciranno Bersani e la sua squadra a sfumarlo in vista del prossimo appuntamento con gli elettori?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 5 giugno 2011

Sweet Gianna, ritorna rock, please...

In origine scorza dura e cuore tenero. Ora la scorza è decisamente molle. E’ Gianna Nannini infarcita di amor materno per la figlia Penelope, partorita sette mesi fa tra fior di polemiche a 56 anni. E che fa un artista quando gli cambia così tanto la vita? Svolta musicale. Inevitabile e assai prevedibile. E ora la rocker senese è tutta una sweet harmony. Dolci note su parole languide, fraseggi svenevoli, essenze caramellose, a tratti svenevoli. Gianna cuore di mamma. A seguire, un disorientamento dei fan storici. Che fine ha fatto Gianna Nannini? La signora del rock italiano, sempre arrabbiata, eccentrica, originale?
Sì, è vero, un figlio ti cambia la vita. La maternità per una donna è un’esperienza unica e irripetibile. A tal punto che la Nannini non poteva non dedicare alla figlioletta un paio di brani musicali. E così in concomitanza con la nascita di Penelope, esce il singolo “Ogni tanto”, che anticipa l’uscita dell’album di inediti “Io e te”, registrato a Londra in gran parte presso i celebri Abbey Road Studios.

I fan capiscono, comprendono, apprezzano. “Io e te” balza subito in quarta posizione. Ora è al settimo posto. «Penelope voleva nascere, è nata. E mi sono fatta fotografare sulla copertina del disco col pancione perché mi sentivo bella. Quando sei incinta viene fuori tutta la tua bellezza e la tua espressione. Sono diventata molto apprensiva, non me lo aspettavo, ma Penelope è più ribelle di me». Viva la maternità. Fantastica Gianna, ci hai insegnato che la libertà di essere madri non ha tempo. Ma, per favore, dopo questa parentesi dolciastra, potresti ritornare la Nannini sensuale e graffiante di Fotoromanza, dei Maschi innamorati, di Profumo? Ne abbiamo disperatamente bisogno!

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 4 giugno 2011

Luigi De Magistris, il nuovo eroe omerico

Se non avesse avuto il pallino della giustizia, avrebbe fatto la controfigura di Antonio Banderas nei vistosi panni del temerario El Mariachi in “C’era una volta in Messico”. E invece… Luigi De Magistris da grande voleva fare il magistrato. Come suo padre, come suo nonno. E sbirciava tra gli articoli della Costituzione, comma 1, comma 2, comma3. Ecc. ecc.
Poi un bel giorno, stanco e ammorbato dall’odore acre delle aule giudiziarie, comincia a scalciare qua e là fino al punto di arrivare a disturbare qualche potente. Come per esempio Walter Cretella Lombardo, generale della guardia di finanza e consigliere del vicepresidente dell’Unione europea e commissario europeo alla Giustizia Franco Frattini, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Era il 2005 quando l’inchiesta Poseidone muoveva i primi passi e De Magistris, incurante di ogni pericolo, proprio come un eroe contemporaneo, lanciava la sua battaglia. Nel mirino finiscono anche Giovambattista Papello e le intercettazioni con Piero Fassino e Pietro Folena. Ma le luci della ribalta arrivano due anni dopo, con l’inchiesta del 2007 Why Not. Stavolta tocca all’imprenditore Antonio Saladino, allora presidente della Compagnia delle Opere della Calabria, Romano Prodi e Clemente Mastella.

La popolarità cresce, le ospitate ad Anno Zero si moltiplicano, gli studi televisivi assumono le nette sembianze di un’aula giudiziaria.
Luigi De Magistris diventa il don Chisciotte de’ noantri, l’homo novus, il paladino senza macchia e senza paura. Lui scopre le carte, rimette le tessere del puzzle al loro posto, cattura gli sguardi femminili col suo fascino mediterraneo. Seguono le toghe lucane. Oggetto d’indagine: un sospetto comitato d’affari in Basilicata. Poi arriva il trasferimento dalla Procura di Catanzaro, fortissimamente voluto da Clemente Mastella per “gravi anomalie” nella gestione del fascicolo “toghe lucane”, accusa dalla quale due anni dopo, nel 2009, De Magistris sarà prosciolto.

Ma il meglio deve ancora venire. E arriva proprio nel 2009, il 17 marzo. Con un annuncio sul blog di Antonio Di Pietro, De Magistris rende pubblico il suo ingresso in politica e viene eletto con successo al Parlamento europeo, risultando il secondo candidato più votato d’Italia dopo Silvio Berlusconi con 415.646 voti. A questo punto si scrolla via di dosso la toga, dimettendosi dalla Magistratura. Cresciuto nel quartiere del Vomero, riscopre le sue radici partenopee e comincia a coltivare un altro sogno: ripulire Napoli dalla monnezza e dal malaffare. E così lo scorso febbraio scende in campo nella sua città, in lizza per diventare primo cittadino. Obiettivo raggiunto, grazie all’appoggio dell’IdV, della Federazione della Sinistra, del Partito del Sud e della lista civica Napoli è tua. Luigi De Magistris batte al ballottaggio Gianni Lettieri, il candidato di centrodestra, col 65,37 per cento dei consensi. E dal 1 giugno è il nuovo sindaco di Napoli. Ora è tempo di fare la giunta, per espressa volontà del neo sindaco “senza alcuna caratterizzazione partitica”. Quindi dialogo col Pd, ma senza mischiarsi troppo. Del resto la raccolta differenziata a Napoli sarà davvero un’impresa che sfiancherà il neo sindaco. Ci sarà da lavorare. Ma tanto lui è un eroe e come i veri eroi celebrati dai poemi omerici, tutto può. E ora i garantisti tremano, i giustizialisti ridono. E perfino Barack Obama cadrà presto ai suoi piedi, accogliendo l’invito a venire nella sua città. Diplomaticamente, s’intende. Ecco. Avrà imparato De Magistris, da quando è entrato in politica, ad essere un po’ più diplomatico?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)