domenica 27 dicembre 2009

Sale la febbre dei Grammy. L’industria musicale all’attacco: vince chi vende

Conto alla rovescia per la 52esima edizione dei Grammy Awards 2010, il prestigioso Oscar della musica. Tra i nomi degli artisti già confermati all’evento che si terrà il 31 gennaio allo Staples Center di Los Angeles arrivano come razzi quelli di Beyoncè, titolare di ben dieci nomination e dei Black Eyed Peas, in lizza per sei awards grazie agli straordinari successi dell’album ‘The E.N.D.’ e del singolo ‘I gotta feeling’, ancora questa settimana il più scaricato da internet. Il brano è rimasto in vetta alla classifica più prestigiosa al mondo, la Billboard Hot 100 per ben 16 settimane.

Ormai è ufficiale. La cantautrice country-pop Taylor Swift, regina delle vendite negli Stati Uniti nel 2008, parteciperà all’ evento in veste di presentatrice e performer. Quest’anno i premi alla carriera andranno a Michael Jackson e a Leonard Coen, 75enne cantautore e poeta canadese. Previsione aurea per Lady Gaga, la rivoluzionaria del pop segnalata dalla rivista ‘Billboard’ insieme agli U2 e ai Green Day, il fidanzato di Beyoncè Jay-Z, i Kings of Leon e una Whitney Houston risorta a nuova vita. Se i pronostici portano bene, l’erede di Madonna potrebbe stupire tutti mettendosi ancora più a nudo di quanto abbia fatto finora. 'Paparazzi', all’attacco!

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 24 dicembre 2009

Nei licei di Francia tira un vento di protesta. Il nuovo '68 delle malelingue

Un nuovo Sessantotto? Anche stavolta tira un vento di protesta. Proprio come allora. Ma la rivolta, partita dal Geoffroy-Saint-Hilaire, nel dipartimento dell’ Hessonne, a sud di Parigi, non è affatto politicizzata, anche se facilmente strumentalizzabile. Incuranti del freddo, gli studenti francesi si ribellano al dictat di un preside che, stanco di intravedere brandelli di slip far capolino da pantaloni a vita bassa, ha deciso di vietare a scuola abiti troppo succinti. Follie liberticide, hanno gridato in coro centinaia di teenager dalle fredde aule dei licei di Francia. E , in barba ai castigatissimi tailleur di Carla Bruni, al secolo madame Sarkozy, hanno riesumato dal guardaroba il capo più sonnolente del pret-à-porter: la minigonna, simbolo di una rivoluzione culturale anni Sessanta, che inneggiava a libertà, modernità e uguaglianza.
La creatura di Mary Quant, la stilista che creò ad arte quella fascia di tessuto che copriva a malapena la zona da sotto l’ombelico all’inguine, rivive ora senza troppi perché. Michel Fize, sociologo francese, ricercatore della Cnrs specializzato in gioventù, in controtendenza coi suoi colleghi, sempre pronti a sguainare analisi complicate e complesse, interpellato dal quotidiano The Independent non si è dichiarato sorpreso dalla rivolta degli studenti che vogliono difendere un loro dress code fortemente provocatorio. D’altra parte — dice Fize —come potrebbe essere altrimenti, con dei mass media e una società che propongono modelli «iper-erotici»? Il grande educatore oggi è il piccolo schermo: «Con che faccia possiamo rimproverare a una teenager che mostra troppo, quando la tv fa esattamente quello, a tutte le ore?». Altro che rivoluzione culturale. Questa sembra la rivoluzione delle malelingue e rischia di diventare una truffa, come e peggio di quella del ’68. Attenti, cari studenti, dati i precedenti, meglio cambiare strada.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 18 dicembre 2009

Barack Obama si contiene. Homo novus ma non troppo

Barack Obama, l’homo novus, l’incarnazione afroamericana del riscatto, il simbolo telegenico del cambiamento. Nuovo piano sulla sanità? Eccolo. Nuova politica economica? Subito. Premio Nobel per la pace? Se proprio si deve… Ritiro delle truppe dall’Afghanistan? Just a moment, please! Ora non esageriamo. Calma e sangue freddo. Si comincerà dal 2011. Nell’attesa, si mandano giù un paio di bocconi amari e un po’ di rinforzi. Ad annunciare le rivoluzioni ci si mette poco. A farle davvero invece parecchio. Ma Obama è l’incarnazione del successo e non tradirà le aspettative degli americani che gli hanno voluto e gli vogliono bene. Ecco perché metterà a segno un altro tiro per acquistare qualche punto di consenso in più. E prima o poi porterà a compimento perfino il suo piano strategico in politica estera. La Provvidenza gli ha dato carta bianca. Obama ha in mano il futuro del mondo. E ora ha in dote, oltre alla 'signora in giallo' per consorte, anche un lungo faccia a faccia col premier cinese Wen Jiabao a margine della conferenza sul clima a Copenaghen. Con le migliori intenzioni, ovvero quelle di fare tutto il possibile per trovare un accordo per frenare il riscaldamento del pianeta, anche se questo accordo non dovesse essere "perfetto". Certo, al meglio non c’è mai fine...

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

mercoledì 16 dicembre 2009

Dedicato a tutti quelli che... si riconoscono in queste righe

Lo è nella mossa, lo è nella posa. L’antipatico è fatto così. E non c’è niente da fare. Identikit: occhi leggermente obliqui e insignificanti, aria compassata e molto di maniera, leggerissima smorfia facciale, da accentuare di volta in volta dinanzi a chi ci si vuole mostrare ancora più antipatici. L'antipatia va dosata con cura, anche se l’antipatico non sa di esserlo già prima di nascere, già da quando nuotava nella placenta. Qualsiasi cosa dica, sia bella che brutta, sia importante che idiota, l’antipatico la dice in un certo modo: appunto, da antipatico. Umanità, scioltezza e familiarità non gli appartengono.
Quando interviene in una conversazione, è solo per affermare la sua dote di antipatia congenita e affinata ad arte negli anni. L’antipatico rimorchia in modo viscido, entra nel bel mezzo di una conversazione per dimostrare che fino a quel preciso momento, ovvero prima del suo "preziosissimo" intervento, si era parlato solo ed esclusivamente di emerite sciocchezze. L’antipatico si crede interessante quando invece è il primo a dire e fare cose del tutto prive di un minimo interesse. L’antipatico si diverte a sfoggiare un paio di nozioni che ha avuto la fortuna di rapinare in qualche salotto o che ha studiato da gran secchione, per mostrare poi agli altri che non sanno un bel niente. L’antipatico parla piano e lentamente, gesticola poco e ha sempre un’aria da zombie. L’antipatico si crede originale quando invece è l’ovvietà e la banalità fatta persona. L’antipatico ti guarda da lontano e dall’alto in basso, ma poi si sceglie un paio di persone esattamente come lui o, come diceva Nietzsche, con mentalità servile o, peggo, sufficientemente ipocrite e pronte alla falsa adulazione, su cui decide di puntare tutta la sua attenzione e con cui decide di simpatizzare a 360 gradi.
L’antipatico riesce ad esserlo perfino quando si sforza di apparire come in realtà non sarà mai, ovvero simpatico. E il miracolo avviene quasi sempre. Perché una battuta di spirito messa in bocca all’antipatico diventa una supposta alla glicerina, con gli inevitabili effetti del caso. E anziché venir da ridere, viene solo da piangere. Poi c’è il caso opposto, quello in cui l’antipatico, che ovviamente non sa di essere tale, decide di fare l’antipatico (secondo lui), senza sapere che in tal caso finirà col diventare davvero insopportabile. E qui si raggiunge il massimo della perversione mentale, comportamentale, sociale. Non c’è copione che tenga, ogni buon antipatico che si rispetti si rende insopportabile a suo modo. Per fortuna eliminarlo dal proprio raggio visivo si può. E ogni volta che succede te ne accorgi: riacquisti improvvisamente un’ insostenibile leggerezza dell’essere.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 14 dicembre 2009

In casa Forrester è tutto così... Beautiful

Ad oggi conta 5537 puntate. Beautiful (titolo originale ‘The Bold and the Beautiful’, letteralmente ‘Gli audaci e le belle’) è la soap made in Usa - prodotta dalla Cbs e ambientata a Los Angeles - più longeva del secolo. Ha battuto perfino Dinasty e i colossi latinoamericani in cui regnavano incontrastati il volto rassicurante, i lunghi capelli biondi e le tenere lacrime di Grecia Colmenares. Tutto merito della mente perversa e diabolica dei coniugi Bell, gli ideatori di ‘Febbre d’amore’. In America la prima puntata della soap risale al 23 marzo 1987, mentre in Italia è stata trasmessa il 4 giugno 1990 da Raidue. Dal 1994 Beautiful passa a Mediaset, perseverando con una certa convinzione nel nobile intento di dare un senso ai lunghi pomeriggi delle casalinghe italiane. C’è infatti chi vive per Beautiful, chi resta col fiato sospeso fino alla fine di ogni puntata, aspettando con ansia la puntata successiva, chi torna a casa di corsa, molla tutti e fa di tutto pur di esserci, pur di essere lì, davanti alla tv accesa e sintonizzata ogni giorno, alla stessa ora, sullo stesso canale.

Effetto della catarsi di cui parlava Aristotele, certo. Perché ognuno si immedesima nell’intrigo, vinto dal fascino dell’imprevedibile. Ma proviamo a capirci qualcosa. Al centro di tutto c’è la famiglia Forrester. Susan Flannery è la perfida Stephanie, John McCook è l’indomabile Eric. I due erano sposati, poi lui si è stancato e l’ha mollata per donne assai più giovani. Poi c’è il triangolo: l’intraprendente Brooke Logan, una che è stata con Eric, vive di continui flirt ma il suo vero amore è Ridge Forrester. I due sono rispettivamente interpretati da Katherine Kelly Lang e Ronn Moss, che nella soap ci sono invecchiati. Terzo lato del triangolo è Hunter Tylo, la remissiva dottoressa Taylor Hayes. In passato, nella vita di Ridge c’era Caroline Spencer (Joanna Johnson), figlia del magnate Bill, morta di leucemia e la storia inizia proprio col loro fiabesco matrimonio. Poi c’è la famiglia Spectra, rivale dei Forrester, con la matrona Sally (Darlene Conley, scomparsa nel 2007), Clarke, Macy. Poi c'è una folta schiera di fratelli, sorelle, figli illegittimi, amanti, comari, acerrimi nemici, e quant’altro serva a rendere il piatto ancora più ricco. Il tutto è condto da continue lotte intestine, ritorni di fiamma, improvvisi incidenti.

La caratteristica che accomuna tutti? Nessuno lavora o quantomeno, lavora sul serio. Mai un autobus da prendere, mai qualcosa di serio da sbrigare. Ogni tanto, per carità, si organizza qualche sfilata, ma la maggior parte del tempo è dedicata a intrighi, relazioni più o meno clandestine, con gente che va, gente che viene, perfino gente che resuscita. Quanti vorrebbero vivere così, dimenticandosi di una quotidianità monotona, grigia, insopportabile? I coniugi Bell giocano su questo e il meccanismo funziona. Ed è per questo motivo che la storia è infinita e si autoalimenta ormai da 22 anni. Così come infinita è l’attesa degli spettatori che resistono fedeli. I dati d'ascolto lo confermano. Beautiful viene trasmesso in circa 100 Paesi, ogni giorno è seguito da oltre 266 milioni di persone in tutto il mondo, ed è la soap opera più seguita del pianeta. Sul mercato televisivo francese la serie viene distribuita con il titolo di "Amour, Gloire et Beauté" (letteralmente "Amore, Gloria e Bellezza"), su quello tedesco con il nome di "Reich und Schön" (letteralmente "Ricco e Bello"), mentre in Belgio e Canada prende il nome di "Top Models". Ma visto che siamo a Beautiful e tutto può succedere, e se un bel giorno finalmente si stancassero (loro, i personaggi, mica noi. Eh...)?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.i)

lunedì 7 dicembre 2009

L' 'Io narrante': prove tecniche di espansione...

- Tutti vogliono scrivere. Tutti hanno l‘ansia di scrivere. Romanzi, racconti, pensieri. Ma perché se ne ha tanta voglia? Perché J., me lo spieghi? Ti prego, per favore, spiegamelo.
- Forse per avere l’illusione di restare da qualche parte, di espandere il proprio Essere, di uscire fuori da sé stessi per entrare nella vita degli altri . Forse perché percepiamo una tale velocità del tempo e dello spazio che ci circonda che in qualche modo abbiamo bisogno di illuderci che non passeremo.
- Ma io sono sempre voluta ‘passare’. J., sai che credo che l’ansia di voler lasciare a tutti i costi una traccia in questo mondo sia da stupidi? Perché mai? E’ così bello ‘passare’…
- Carol, ma passare potrebbe anche voler dire ‘passare inosservati’, vivere senza che nessuno se ne accorga. Oppure passare di moda e ritrovarsi a un tratto, senza neppure accorgersene, ad essere considerato un vecchio soprammobile ricoperto polvere, di uelli chesi mettono in cantina in attesa che prima o poi qualcuno si decida a buttarli via. Entrambe le sensazioni sono terrificanti.
- Sì, d’accordo J. Però....
- Però... prova a pensare all’ipotesi in cui la tua esistenza passi del tutto inosservata. Nessuno saprà mai che cos’hai da dire, che cosa fai, la tua visione del mondo, l’immagine che hai dell’universo. Nessuno saprà mai tutto questo.
- Appunto. Ed è proprio ciò che voglio. Che cosa potrò mai avere di tanto importante da dire agli altri che possa restare impresso nella loro memoria, essere ricordato?
Perché mai l’umanità distratta e persa nei mille rivoli dell’individualità più esasperata, dove i frammenti di ‘Io’ a loro volta perdono di vista perfino sé stessi, dovrebbe ricordarsi di me? Pura perversione mentale, J., fidati.
- Sai che ti dico? vivi pure nel più completo anonimato.
- E’ quello che ho scelto di fare. Che non vuol dire non vivere o vivere a metà. Ma anzi potrebbe voler dire vivere pienamente.
- Allora Carol, ti faccio una domanda. Tu compri mai dei libri da leggere?.
- Ultimamente un po’ meno. Ma comunque sì, certo che li compro.
- Bene. E perché mai li compreresti?
- Li compro perché ho sempre creduto nel potere salvifico della letteratura. Quei libri curano l’anima, salvano l’uomo contemporaneo dalla dannazione. Certo, non tutti possono faro. Solo a pochi è concesso questo dono. Molti dilettanti si credono capaci di scrivere. Ma non è affatto così. In realtà scrivono solo sciocchezze, banalità, luoghi comuni, frasi vuote e volutamente costruite per fare effetto e suggestionare l'immaginario degli altri, ma che in realtà non dicono un bel niente.
- Sono d'accordo. Ma io parlo dei grandi scrittori. Forse non sai che se quei libri che hai comprato e letto possono avere l'effetto salvifico che dici è solo perché qualcuno un bel giorno ha pensato di scriverli, mettendo nero su bianco esperienze di vita, sensazioni, impressioni, storie vissute in prima persona o raccontate da altri.
- Mi sembra una nobile ragione, questa.
- Lo vedi? Ma c’è anche un’altra ragione per cui quei libri sono stati scritti. Nell’atto stesso in cui si è fatt ciò, gli autori si sono espansi, hanno conquistato molti mondi. Tutte le vite delle persone che hanno comprato quei libri. Compreso te. E quindi saranno ricordati per sempre. Le loro esistenze non passeranno di certo inosservate.
- Narcisismo, J. Puro Narcisismo. Si scrive per se stessi oppure si scrive per gli altri? Io redo che si debba scrvere per gi altri e non pr alimentare il falso mito di se stessi. E raccontare cose utili per capire il mondo, J. Cose di una certa importanza.
- E invece è vero l’uno e l’altro Carol. Nessuno scrittore ha mai scrtto solo ed esclusivamente pergli altri, Ma in parte anche per se stesso. Mi dispiace, ma è così. E questo non deve deluderti, né tantomeno impedirti di comprare altri libri.

L’indomani Carol si alzò alle 8 del mattino. L’aria gelata di diembre le attraversò le vene. Dopo una doccia bollente, s’infilò jeans e maglione e il solito cappotto viola di cashmere. Uscì di casa e andò al lavoro. Mentre guidava, ripensò alle parole di J. e alla sua spiegazione del perché si scrive. E si accorse che in fondo tutti i libri che aveva letto fino a 28 anni le erano rimasti scolpiti nella memoria. Ma gli autori? Quelli erano rimasti sempre degli illustri sconosciuti”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 3 dicembre 2009

E non chiamatelo 'Maestro'!

Franco Battiato si dovrà rassegnare. Questa settimana, a pochi giorni dall’uscita, il suo nuovo album ‘Inneres auge’ è al quinto posto della classifica. Subito dopo Sting. Un risultato fin troppo pop per il cantautore catanese. E chissà se gli farà piacere, visto che prprio lui ha fatto della snobistica ricercatezza la sua cifra. E chissà se farà piacere all’inseparabile paroliere-filosofo Manlio Sgalambro, uno che, per intenderci, ama vivere felicemente ‘nella sua pelle’, tessuto isolante dal resto del mondo.
L’album presenta la ricchezza di una tracklist che affianca quattro brani inediti a reperti del passato completamente ricantati, riarrangiati e risuonati con una sensibilità tutta nuova.
Nel primo singolo estratto, che dà il titolo all' album, ritorna il leitmotiv dell’eterno conflitto interiore tra linea orizzontale, che ci spinge verso la materia e quella verticale che conduce verso lo spirito. Ma soprattutto, nel testo Battiato si scaglia apertamente contro politici senza morale che, per allietare se stessi, si fanno confezionare festini.

Ogni riferimento è puramente casuale? Mica tanto. Dall’eremo di Milo, l’aria buona dell’Etna ha ispirato un testo coraggioso e sfrontato, stavolta senza troppi accorgimenti ermetici e reticenze poetiche. Tanto che già si parla di censura, in una linea ideale che segue le ormai storiche 'Up patriots to arms', appello contro la stupiditá musicale, e 'Povera Patria', canto stanco e rassegnato sull’Italia sfigurata da Tangentopoli e minacciata dalla mafia.
La via d’uscita? Sta tutta nell’occhio interiore. Sì, proprio così. «Occhio interiore – dice Battiato - Ma lo preferisco in tedesco. In italiano si dice “terzo occhio”, ma non mi piace, fa pensare a una specie di Polifemo. I tibetani hanno scritto cose magnifiche sull’occhio interiore, che ti consente di vedere l’aura degli uomini: qualcuno ce l’ha nera, come certi politici senza scrupoli, mossi da bassa cupidigia; altri ce l’hanno rossa, come la loro rabbia».
Sono solo tre gli inediti in questo disco targato 'Universale', della durata di appena mezz'ora. Oltre a 'Inneres auge', c'è 'Tibet', in lingua inglese, in cui il cantautore denuncia l’occupazione che opprime da decenni il popolo tibetano. È cupa e in dialetto siciliano, 'U’cuntu', il terzo brano mai pubblicato. È invece una cover 'Inverno', rarefatto omaggio ad uno dei piú grandi autori della tradizione musicale e poetica italiana, Fabrizio De Andrè. A queste novitá si aggiungono altri 6 brani, tutte rielaborazioni di una ricca produzione.
Vivissimi complimenti, Maestro!

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 27 novembre 2009

La poesia dà spettacolo

La poesia si spoglia dei suoi aristocratici panni per vestire costumi da spettacolo. Dopo il successo riscosso nella passata stagione dalle 'Lingue della poesia', la Fondazione 'Musica per Roma' tornerà a occuparsi di versi con una nuova rassegna dal titolo 'Via dall'Europa. La poesia del mondo'. Da novembre a maggio, un appuntamento al mese all'Auditorium 'Parco della Musica' di Roma per conoscere la grande poesia mondiale del Novecento.

Organizzati in forma di conversazione introduttiva all'ascolto della poesia, gli incontri dureranno circa un'ora ciascuno. Insieme al curatore della rassegna Valerio Magrelli, ognuno degli studiosi invitati affronterà alcune composizioni degli autori scelti. Si partirà dalla presentazione biografica e da un inquadramento storico-letterario, con un'analisi dei testi originali, per cedere la parola alla lettura della traduzione italiana da parte di alcuni fra i più noti attori italiani. Si partirà lunedì 30 col vate e l'ideologo della négritude, Léopold Sédar Senghor, letto da Margherita Buy. Sabato 12 dicembre toccherà a Laura Morante leggere i versi di Bei Dao.

Martedì 12 gennaio sarà la volta di Adonis, 'interpretato' da Cosimo Cinieri, mercoledì 23 febbraio Donatella Finocchiaro farà rivivere le impalpabili suggestioni di Jorge Luis Borges. Lunedì 29 marzo Fabrizio Gifuni richiamerà alla memoria la profonda sensibilità di Rabindranath Tagore e l' audace tentativo di conciliare Oriente e Occidente. Lunedì 19 aprile il protagonista sarà invece l'eclettico Kenji Miyazawa attraverso la voce e l'interpretazione di Michele Placido. A chiudere la rassegna sarà la forza trainante di Ezra Pound, considerato il motore di molti movimenti modernisti, principalmente dell'imagismo e del vorticismo, letto da Sandro Lombardi.
"Noi - ha spiegato il curatore dell'evento, Valerio Magrelli alla presentazione al Bookshop dell'Auditorium 'Parco della Musica'- ci troviamo tra le secche dello specialismo deleterio e devastante rappresentato da un linguaggio incomprensibile ed elitario che molto ha a che fare con le nostre Università e la deriva televisiva di totale incompetenza, che parla a tutti ma non dice niente. La nostra scommessa è quella di percorrere una terza via: strappare per un giorno lo studioso specialista di uno di questi grandi autori alle sue biblioteche e costringerlo a spiegare tutto con estrema chiarezza, senza sottintesi e senza dare nulla per scontato".

Con questa rassegna quindi la poesia, da sempre genere elitario e oligarchico, si apre a un pubblico più vasto. Non a caso sceglie un luogo come l'Auditorium 'Parco della musica', luogo dei grandi eventi. "Finalmente la poesia viene trattata come una vera e propria forma di spettacolo, entrando a far parte a pieno titolo del nostro programma", ha sottolineato Carlo Fuortes, amministratore delegato della fondazione 'Musica per Roma'. Gli fa eco Gianni Borgna, il presidente della fondazione: "Del resto ormai è da tempo declinata in mille modi nei vari spettacoli che presentiamo". Caratteristica che non stride affatto con la vocazione originaria del genere poetico, ovvero quella di arrivare direttamente a ciascun individuo, come ha precisato Cosimo Cinieri: "Da sempre è lo specchio dell'umanità. Mica una liturgia di massa come un concerto rock".

Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 25 novembre 2009

Il tour capovolto della Disney: dalla Cina all'Europa, passando per l'Italia. E negli States? Soltanto alla fine...

Tutto ha inizio con l'avventurosa ricerca di un libro magico di fiabe nascosto nella casa di Topolino. Quel libro Topolino lo trova grazie anche all'aiuto di Minnie, Paperino e Pippo. E, sfogliandone ogni pagina, tutti insieme lo materializzano in un emozionante viaggio nel mondo incantato di tre storie Disney senza tempo: Biancaneve, Cenerentola e la Bella e la Bestia. E' questo 'Disney Live', lo spettacolo teatrale prodotto da Feld Entertainment e presentato in Italia da Applauso. Una produzione partita da Pechino esattamente un anno fa (ha girato la Cina per ben sei mesi) e che andrà in tour negli Usa solo dopo aver girato l'Europa.
Queste storie erano di per sé molto forti perché fondate su valori di portata universale come il coraggio, la fiducia in se stessi e l'amore", tiene a sottolineare il regista Sherilyn Draper. 'Disney live' è giunto alla sua terza edizione, dopo il successo di Winnie The Pooh e del magico mondo di Topolino e quest'anno è partito da Torino (Palatorino, 11-15 novembre) e Milano (Palasharp, 18-22 novembre). Da stasera fino al 29 novembre sarà al Mandela Forum di Firenze, a Roma arriverà dal 2 al 6 dicembre al Palalottomatica e dall'8 al 13 dicembre sarà al Teatro Palapartenope di Napoli. Lo spettacolo è interattivo e potranno partecipare i bambini, che saranno coinvolti con alcune domande e invitati a intonare canzoni indimenticabili come 'Bibbidi Bobbidi Boo', 'Heigh Ho' e 'Stia con noi'. Sono oltre 100 i costumi in scena, con ben 1200 metri di stoffa utilizzata per realizzarli e la novità assoluta è rappresentata da microchip inseriti all'interno, che daranno molta più luce ai personaggi in scena.
"Abbiamo fatto in modo che tutto sia facilmente comprensibile - ha spiegato Ermes Bonini, produttore dello spettacolo, alla presentazione romana alla stampa - sia nel linguaggio sia nella drammaturgia, perché sappiamo bene che, anche se 'Disney Live' appassiona perfino i genitori, è seguito soprattutto da un target di spettatori che vanno dai 2 ai 5 anni". Lo spettacolo si rivolge quindi alle famiglie. "E per questo abbiamo ritenuto opportuno fare promozioni fino al 15 e al 20 % anche per le scuole - ha sottolineato Maximiliano Bucci, produttore di 'The Base' - I pupazzi Disney sono i più cari al mondo, ma i nostri spettacoli non lo sono affatto”.
Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

lunedì 23 novembre 2009

L'affabulatore virtuale colpisce ancora

Facebook affabula, mistifica, modifica la realtà da vero professionista della comunicazione. Certo. Ma non solo. In alcuni casi Facebook fa molto di più. E’ talmente perverso che la capovolge. Mette i piedi al posto della testa. E lo fa a tal punto che Nathalie Blancard, ventinovenne canadese depressa, come per magia in quel castello di sabbia virtuale appare invece felice e sorridente. Almeno così si vede dalle foto da lei stessa ha pubblicato sul social network più famoso del mondo. Foto che la ritraggono immortalata mentre assiste divertita a uno spettacolo di danzatori Chippendale, lo strip-tease maschile reso celebre dal film britannico ‘Full Monty’ o mentre festeggia il suo compleanno, prende il sole su una spiaggia esotica e passa il tempo con le amiche.
Tutti momenti di gioia che sarebbe un delitto chiamare stati di ‘felicità’ e che ad ogni modo non provano in alcun modo che la ragazza non soffre di depressione. Eppure quelle foto le sono costate addirittura la sospensione dell’assegno di malattia che da diversi mesi la compagnia assicurativa ‘Manulife’ le erogava, visto che un anno e mezzo fa Nathalie era stata costretta a lasciare il lavoro all'Ibm di Bromont perché le era stata diagnosticata una profonda depressione. Tutta colpa di Facebook, quell’affabulatore virtuale disinibito e spregiudicato che filtra la realtà con le sue lenti deformanti. Ma ancor di più dei signori ispettori della compagnia assicurativa che, come si suol dire, hanno colto la palla al balzo. Ora resta solo una domanda: ma siamo proprio sicuri che questa ragazza sia davvero ‘felice e sorridente’ come appare lì, nelle foto pubblicate e incriminate? Probabilmente la vera risposta a questa domanda interessa a pochi. Cioè solo a chi le vuole bene veramente.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 17 novembre 2009

Riflettori spenti sul web

Quel groviglio di fili neri era un covo di vipere striscianti. La tastiera un ammasso di vermi incandescenti e saltellanti, che le mordevano di continuo i polpastrelli ogni volta che scriveva. Il monitor un drago con la bocca di fuoco e lo sguardo di ghiaccio. La rete? Un malefico labirinto esistenziale.
Ansia. Tutto questo provocava in S. un profondo senso di ansia.
E poi fastidio e insofferenza. Ogni volta che accendeva quel maledetto computer e si collegava a internet, le si elettrizzavano i capelli, il colorito diventava giallastro, gli occhi spalancati e spauriti. E a S. sembrava di ritrovarsi a navigare all'improvviso in mare aperto. Immagini a pioggia, link uno dopo l’altro, milioni di siti e un fiume in piena di informazioni impossibile da gestire, leggere, comprendere. E se un bel giorno buttassi quel dannato pc dalla finestra? Se un bel giorno me ne sbarazzassi per sempre?, pensava. Di certo avrebbe spento la luce su una realtà parallela inquietante, che la costringeva a confrontarsi col mondo. Sarebbe stato un gesto di volontario suicidio o di autentica rinascita? Probabilmente la seconda. Anche se S. non riusciva a immaginare fino a quando sarebbe riuscita a frenare la curiosità di immergersi di nuovo fino al collo in quel mare di caos e apparente modernità. Laddove comanda un click e vai dove vuoi, esci da te stesso per entrare in altre dieci, cento, mille vite. Tutte sconosciute, tutte maledettamente lontane, tutte inconsistenti e inafferrabili come l’aria.

Era dopo aver navigato epr ore che agli occhi di S. qualcuno svelava l'arcano. Chissà per quale incomprensibile ragione la gente provava gusto a navigare per ore intere e poi alla fine, esausta, a spegnere tutto e scoprirsi ancora più sola con se stessa e più confusa di prima, senza un abbraccio, senza vedere e sentire nessuno intorno. Era come immergersi nella folla e a un tratto sprofondare in un deserto.
Quella sera S. avvertì tutto questo in maniera talmente forte che quasi non le arrivava più il respiro. Voleva chiudere subito l’accesso a quel mondo irraggiungibile, irreale, artefatto, per sentirsi di colpo più leggera. Ma soprattutto per tornare a essere finalmente se stessa. Per farlo doveva eliminare nel cestino tutta quella zavorra considerata indispensabile per stare coi piedi ben piantati per terra, per dirsi cittadini del futuro, gente attrezzata alle sfide tecnologiche del III Millennio. Se poi col cuore gonfio di solitudine, la mente priva di idee, l'anima svuotata dalle emozioni, lo sguardo alienato, poco importa. Tutto era appeso al sottilissimo filo di un'illusione maniacale : quella di credere di sapere tutto ciò che accade nel mondo, di pensare di riuscire a entrare in contatto davvero con gli altri, di essere sempre informati su tutto, accerchiati da un popolo virtuale incompreso e irrisolto, affamato di notizie e di umanità. Senza accorgersi che in realtà, navigando per ore con quel maledetto computer, l'unica cosa che era riuscita a fare bene era stata entrare in contatto con una realtà mistificante. Ora era tutto chiaro. Ora S. vedeva d'un tratto l'immagine riflessa. La sua. E quella di nessun altro. E la vedeva stretta e soffocata da un insopportabile e perverso gioco di specchi che si divertono a riflettere ombre deformanti. [/…]

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 9 novembre 2009

Cara Creatività, ritorna a casa che non è tardi

Giusy Ferreri canta Rino Gaetano, Ornella Vanoni canta Biagio Antonacci, Gianni Morandi canta Alan Sorrenti, Ricky Gianco canta Luigi Tenco, Sergio Endrigo e Fabrizio De Andrè, perfino Enzo Iacchetti, che di professione non fa proprio il cantante, canta Giorgio Gaber. Che cosa sta succedendo ai cantanti di casa nostra che, quando non rispolverano il loro antico e (più o meno) glorioso repertorio, si rifugiano in parole e musica dei loro tanto decantati grandi colleghi? Sempre più nostalgici o in piena e irreversibile crisi creativa? Probabilmente, considerati i tempi annacquati, sbiaditi, slavati, è più probabile la seconda ipotesi.
Ti prego, mi presti una canzone?, sembra essere la disperata richiesta di chi, come Vanoni, Gianco, Morandi, il successo lo ha avuto ma ora fa un po’ fatica a mantenerlo oppure di chi come Giusy Ferreri, esplosa come una bomba nella discografia italiana, deve in tutti i modi evitare discese ardite.

Eppure per fortuna chi crea ancora meraviglie c’è. Gianna Nannini, per esempio, che di creatività ne ha da vendere. E non contenta del successo di 'Giannadream', il nuovo album uscito lo scorso marzo, e dei suoi tre singoli estratti ‘Attimo’, ‘Maledetto ciao’ e ‘Sogno’, si dedica alla composizione di brani per le colonne sonore dei film, da ‘Riprendimi’ di Anna Negri a ‘Viola di mare’, la storia d’amore lesbo ambientata in Sicilia, film prodotto da Maria Grazia Cucinotta.
Gianna, meravigliosa creatura artistica. E gli altri? Coraggio, riaccendete la lampadina e reinventatevi le idee, il lampo di genio, il colpo d'occhio, la magica ispirazione. Di notte, di giorno, in camera, per strada, in ogni dove. Purché ritornino. Appello rivolto anche a Baglioni, Venditti, De Gregori, da troppo tempo in stand by, accasciati sugli allori.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 7 novembre 2009

Snobbati a Cannes, "Gli abbracci spezzati" di Pedro Almodovar dichiarano l'amour fou all'Italia

Amore innanzitutto. Amore con la A maiuscola. Ne 'Gli abbracci spezzati' di Pedro Almodovar, il 17esimo film del regista spagnolo considerato da molti l'erede di Luis Buñuel, nelle sale italiane dal 13 novembre, di amori ce ne sono almeno due: l'amour fou, che devasta e distrugge e l'amore tra genitori e figli. Per non parlare poi di quello per il cinema. "E' solo dopo aver finito il film che ho capito quanto fosse stata forte la proiezione del mio amore per il cinema in questa pellicola. Al cinema devo molto. Negli anni '50 in Spagna tirava una brutta aria e l'unica cosa che mi manteneva in vita era proprio la realtà cinematografica, un universo parallelo, il solo nel quale ci si poteva rifugiare. Crescendo poi ho capito che il cinema perfeziona la vita", dice il regista alla presentazione italiana del film a Roma, accompagnato dalla protagonista femminile, l' inseparabile Penelope Cruz.

Prodotto da El Deseo e distribuito dalla Warner Bros Italia, 'Gli abbracci spezzati', presentato con successo allo scorso Festival del Cinema di Cannes, combina il dramma alla commedia e ruota intorno all'amore folle che nutrono per Lena (Penelope Cruz) il cineasta Mateo (Harry Caine) e suo marito, il broker Ernesto Matel (Josè Luis Gomez), che diventa produttore di cinema per concedere a sua moglie il capriccio di essere attrice. Ossessionato dalla gelosia, colloca suo figlio sul set, a girare un making of della pellicola. Fra i due contendenti, un passato ridotto a un puzzle di pezzi rotti, il cui segreto è noto solo a Judith (Blanca Portillo).

Il film è un omaggio al cinema del passato. All'interno, come in un gioco di scatole cinesi, ci sono altre pellicole del regista. Particolarmente presente è 'Donne sull'orlo di una crisi di nervi', la commedia che girano i protagonisti del film, in omaggio alle muse almodovariane Chus Lampreave, Rossi de Palma e Kiti Manver. Così come accadeva in 'Volver', non manca un tributo al cinema italiano, a 'Viaggio in Italia' di Roberto Rossellini. Al suo quarto film con Almodovar, Penelope Cruz svela il segreto della magica sintonia col regista: "Ci siamo conosciuti che avevo 13 anni. Molto è cambiato da allora. Il nostro rapporto di amicizia è cresciuto tanto. Ed è così bello perché, pur conoscendoci a tal punto che la mattina, se ci guardiamo negli occhi, capiamo già di che umore siamo, non abbiamo mai perso il senso del limite. Io sono l'attrice e Pedro è il regista. Tra noi c'è un gran rispetto"."Penelope è paranoica - dice Almodovar - ti chiede ossessivamente di dirle sempre la verità. Sì, è vero, siamo proprio una coppia felice - scherza - La nostra relazione si basa su due cose: la verità, appunto e la mancanza di sesso".

Penelope Cruz, vincitrice del Premio Oscar come miglior attrice non protagonista col film di Woody Allen, 'Vicky Cristina Barcelona', che sarà una delle protagoniste di 'Nine', il musical ispirato al celebre '8 e mezzo'' di Federico Fellini, in uscita nelle sale di tutta Italia dal 15 gennaio 2010, non nega che interpretare il ruolo di Lena è stato davvero impegnativo: "Lena è tre personaggi in uno. La chiave è stata vivere le emozioni lì sul momento, anche se abbiamo trascorso due mesi a parlare, discutere con tutti gli altri attori. Il mio personaggio non è una vittima, né tantomeno si sente sottomessa. Solo in due momenti è davvero se stessa: all'inizio e alla fine del film. Per il resto, recita la propria vita".

Un ruolo perfetto per l'attrice, musa ispiratrice di Almodovar: "Penelope è viscerale - dice il regista - Tutto ciò che fa sul set lo rende reale. E poi ha una grande forza interiore e allo stesso tempo una vulnerabilità incredibile, quasi infantile. E' questo contrasto che la rende perfetta per interpretare donne così, che hanno sofferto molto ma che non hanno ancora smesso di combattere". "Alcune scene - spiega Almodovar - le abbiamo girate volutamente senza troppo aiuto della tecnologia. Il making of è un omaggio al cinema tangibile, dove tutto si tocca. Quando posso, per alcune cose preferisco lavorare artigianalmente. A volte la tecnologia fa perdere emozione. Per me già è stato un dramma arrivare in albergo e ritrovarmi a dover aprire la porta della mia camera con la scheda elettronica al posto delle chiavi…”.

Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 4 novembre 2009

Stop, dimenticatevi l'iperattivismo carrierista. Ora è tempo di riprendersi la vita

Tenere il piede premuto sull'acceleratore e andare a 200 all'ora dopo un po' stanca. Meglio allora frenare di botto e cambiare vita. Simone Perotti, 43 anni, l'ha fatto. E dopo aver esercitato con la massima diligenza la complicata professione di manager per ben 19 anni, un bel giorno ha mollato tutto. Ha lasciato Milano e oggi si ritrova a vivere a La Spezia, a respirare l'odore del mare, a scrivere, navigare, sistemare barche, vendere le sue sculture e soprattutto a rispondere fino alle 4 di mattina alle migliaia di email che ogni giorno gli arrivano.

Niente più stipendio, almeno non più quello di un tempo, né il ruolo sociale che essere manager gli garantiva. Piena rinuncia anche ai vantaggi del mestiere, come per esempio il fatto di non aver mai comprato un telefonino in vita sua, o di non aver mai pagato un collegamento Internet. Simone Perotti in 'Adesso Basta' (Chiarelettere, pagg. 195, € 14,00), ha deciso di raccontare a tutti la sua esperienza, divenuta ormai un vero e proprio fenomeno sociale. Il libro, presentato nella sede romana dell'Associazione della Stampa Estera alla presenza dell'autore, di Maarten van Aalderen, presidente dell'associazione e del sociologo Domenico De Masi, è già alla sua terza ristampa, e in 20 giorni ha già venduto 20.000 copie.

"Questo libro - spiega Perotti - sta vendendo più di Umberto Eco. Sarà perché inquadra un fenomeno generazionale. Tutti quelli della mia età, venuti dopo i capelli lunghi e l'isola di Wight, hanno vissuto un'adolescenza malata, che imponeva lo studio, ottimi risultati in tempi brevi, un lavoro invidiabile, soldi, successo, carriera. E ora, dopo aver ottenuto tutto questo, ci ritroviamo col mal di stomaco e abbiamo deciso di fare outing. E' un malessere, questo - prosegue l'autore - che coinvolge chi ha un'età compresa tra i 35 e i 50 anni , per intenderci tutta gente che ora sta messa proprio male". Lavorare stanca, per citare Cesare Pavese. "Le aziende ti spremono senza alcuna pietà - sottolinea - e ti mettono alla porta al primo sbaglio. Tirano talmente tanto la corda che alla fine si spezza. Nel senso che arrivi a un punto in cui non ce la fai più a continuare così e senti che vuoi finalmente perdere tempo".

Sì, proprio così, poter finalmente perdere un po' di tempo nel fare ciò che piace. "La prima cosa che ho fatto il primo giorno di non lavoro - racconta Perotti - è stata una lunghissima passeggiata in giro per Milano in una giornata di sole. E' stato bellissimo, ho provato un meraviglioso senso di leggerezza. Certo, se pensi che dopo questa scelta, in famiglia sei decisamente più impopolare, che alle 9 del mattino sei completamente solo perché i tuoi ex colleghi sono tutti in ufficio e, se li chiami, neppure ti rispondono, o ripensi alla tua inseparabile scrivania, o peggio, che hai molti meno soldi in tasca, un po' ti viene da chiederti: e se mi ritrovassi tra due anni morto di fame a piangere dietro la porta dell'azienda? Meglio non pensarci troppo. M'inventerò comunque qualcosa da fare".

Non proprio d'accordo sull'abbandono totale del proprio lavoro, Domenico De Masi dà all'attuale perdita di senso causata dalla realtà lavorativa alienante in cui ci ritroviamo immersi fino al collo una risposta diversa: reagire con l'otium creativo. "Ci sono manager che conoscono i propri figli solo dalle foto che hanno sulla scrivania. Bisogna a tutti i costi liberarsi da questa condizione di schiavi, tornando a progettare il proprio futuro, prendendosi il tempo necessario per riflettere e recuperando disperatamente il senso delle cose".

Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

martedì 3 novembre 2009

Da Vip (Very Important Person) a Vnp (Very Normal People) il passo è breve. Le celebrities ora hanno sete di normalità

Aspettate un momento. Tutti fermi. Qui c’è qualcosa che non quadra, i conti proprio non tornano. Le celebrità invidiate da tutti, osannate, piene di privilegi, che nuotano nel lusso, navigano nell'oro e nello sfarzo, poste spesso e volentieri su un' inafferrabile nuvola di benessere, sono stanche del successo, della fama, di una vita assediata dai paparazzi e tormentata dalle urla di milioni di fan, dalla ferocia del gossip, dall'assillo degli autografi e di spostamenti continui, dalla cura sfrenata della propria immagine, dalle strumentalizzazioni di stampa e dintorni.

Johnny Depp rimpiange quando era il signor nessuno e ora ha tanta voglia di fare il papà ("è questa l'unica cosa che mi fa sentire davvero uomo", dice), e di vivere in campagna, Robert Pattinson, da domani in copertina su ‘Vanity Fair’, dal 18 novembre al cinema con 'New Moon', il secondo capitolo della saga di Twilight, diretto da Chris Weitz, sostiene addirittura che da quando è il totem delle teenager di mezzo mondo non riesce più a uscire con una ragazza, Richard Gere confessa che la sua àncora di salvezza è stata la moglie Carey Lowell, oltre al buddismo, e infine Laura Pausini si dice stanca di viaggiare, desiderosa di metter su famiglia e incredula nel ritrovarsi a 35 anni senza sapere né come si sta a casa ad occuparsi dei tormentati affari domestici, né che cos’è l’Ici.

Le star sono in crisi? Di certo non economica. A tasche piene, si risponde con la noia della solita minestra e del qualcos'altro da fare. Insomma, ora vorrebbero riprendersi la vita, anzi una vita normale. Pizza, fichi, tarallucci fatti in casa e, dopo qualche giorno, magari un attacco di depressione acuta. Contenti loro…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 2 novembre 2009

Il pianto dei poeti è solo canto


Ruba a qualcuno la tua forsennata stanchezza
o gemma che trapassi il suono
col tuo respiro l'ombra che sta ferma
di fronte ad un porto di paura
quel trascendere il mitocome se fosse forzatamente azzurro
o chi senza abbandono
che non sanno che il pianto dei poeti
è solo canto.
Canto rubato al vecchio del portone
rubato al remo del rematore
alla ruota dell'ultimo carro
o pianto di ginestra
dove fioriva l'amatore immoto.

Quale miglior modo per ricordare Alda Merini se non con i suoi stessi versi che valgono più di mille parole con le quali si riempiranno in questi giorni le pagine dei giornali. Grazie in eterno, grazie da tutti coloro che proprio in questi versi si rifugiavano, cercando risposte alle proprie assillanti domande o semplicemente un po’ di consolazione all’umano vivere e soffrire.

E.O.

SIRONI, IL MIO 'PINOCCHIO' VINCE PER LA SEMPLICITA'

Il boom di ascolti non lo ha colto troppo di sorpresa. Quegli oltre 7,7 milioni di spettatori che ieri sera sono rimasti incollati davanti alla tv per seguire su Raiuno 'Pinocchio' non hanno meravigliato più di tanto il regista Alberto Sironi. "Era inevitabile. Pinocchio è come la Bibbia. Appartiene talmente tanto alla cultura popolare italiana che è paragonabile ai Promessi sposi. Io per esempio ho imparato a leggere proprio grazie a lui, attraverso l'intramontabile fiaba di Collodi".

Due, secondo Sironi, i punti forti che hanno decretato il successo della serie tv, riapparsa sul piccolo schermo dopo 37 anni dal 'Pinocchio' di Luigi Comencini: "La forza irresistibile di un cast internazionale a dir poco straordinario - spiega il regista - da Bob Hoskins a d Alessandro Gassman a Margherita Buy, a tutti gli altri, più da cinema che da tv. In questo devo dire grazie alla Rai che mi ha lasciato campo libero. E poi la semplicità della storia. Forse anche i luoghi in cui lo abbiamo girato: siamo andati a cercare l'Italia dei piccoli borghi, della provincia, quella che non compare in tv, ma c'è".

Stasera andrà in onda la seconda puntata, sempre su Raiuno, in prima serata. E 'Pinocchio' dovrà vedersela col 'Grande fratello', 'mostro sacro' della rete ammiraglia Mediaset. "Un simile confronto non m'intimorisce affatto - prosegue Sironi - anche perché il pubblico di riferimento di un reality è molto diverso dal nostro. E poi personalmente non sono uno fissato con lo share. Punto più che altro sul gradimento". Sironi sta già preparando una nuova serie per la tv, sempre per la Rai, 'L'ultima Trincea': "E' sulla I Guerra mondiale - anticipa - Ci saranno Flavio Insinna, Neri Marcorè e un giovane attore, Michele Alhaique. Dovrebbe andare in onda a febbraio, subito dopo la fine del Festival di Sanremo". Nell'attesa e' al lavoro anche sui nuovi episodi del commissario Montalbano: "Saranno incentrati sui quattro nuovi romanzi scritti da Camilleri. Finora ne manca solo uno. Camilleri lo sta ancora scrivendo e sono in attesa di leggerlo”.
Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)
Nella foto, Luciana Littizzetto (il Grillo parlante) e Pinocchio in una scena del film.

Pierluigi Bersani: geografie lessicali teme-rarissime

Il Pd ora finalmente promette bene. Per la gioia dei suoi elettori da troppo tempo stanchi e affamati di qualcosa di Sinistra. Il nuovo segretario Pierluigi Bersani un senso a questa storia cercherà in tutti i modi di darglielo, come promette dai manifesti disseminati a destra e a manca. Già a partire dal linguaggio. Si sa, la comunicazione è tutto. E Bersani lo sa. E siccome la comunicazione si fonda sul linguaggio, ha deciso di rinnovare quello verbale, creando un linguaggio nuovo che, nei discorsi, possa testimoniare fino in fondo il disegno politico di una sinistra riformista moderna, tonica e lungimirante.

E allora Bersani, all’indomani dell’elezione alle primarie, si è messo subito al lavoro, cominciando a cambiare di fatto il vocabolario politico dall’alfa all’omega. Innanzitutto non userà più la parola ‘opposizione’, bensì ‘alternativa’. “Noi vogliamo essere il partito dell’alternativa. Perché la parola alternativa – dice - contiene sicuramente il concetto di opposizione, al contrario l’opposizione non necessariamente include quello di alternativa”. Spiegazione esauriente ed esaustiva.
Ma la rivoluzione lessicale di Bersani non si ferma qui. Il nuovo segretario Pd preferisce evitare categoricamente anche la parola ‘dialogo’. Perché, a suo dire, sottintende troppe correnti alternate.

Meglio essere alternativi veri, ma senza spiacevoli e ambigui barbarismi. Mica questa è una rivoluzione campata in aria. Bersani fa le cose per bene. Tant'è che la chiave di volta per capire tutto questo fino in fondo ce la dà De Saussure: il linguaggio è quel sistema di segni, dove per segno si intende la corrispondenza tra significato e significante. Ogni volta che si utilizza una parola o un’espressione, così come si sta facendo anche in questo momento, ci si trova di fronte a un “contenitore”, il significante (la parola o l’espressione), che viene colmato da un “contenuto”, il significato (ciò che si vuole esprimere), il quale però è costruito socialmente. La relazione tra questi due elementi, il cui risultato è appunto il segno, è quindi arbitraria, socialmente costruita e frutto di un’interpretazione. Quindi operazione più che lecita.
Il nuovo segretario imprime al partito la sua linea e lo fa intingendo il suo pennello nelle tinte più forti. Insomma, si cambia. La rivoluzione piddina riparte anche dal vocabolario. Che dire, la Sinistra moderata e riformista aveva davvero bisogno di un leader così. Temerario fino in fondo.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 28 ottobre 2009

Patty arriva in Italia con musica, canti e balli

L'aria da adolescente un po' smarrita che gioca ancora con le bambole l'ha già persa da un po'. La dura legge del successo le ha imposto di crescere in fretta. Anche se lei assicura: "No, non mi sono montata la testa. Il successo non mi ha cambiato. Sono rimasta coi piedi per terra, così come mi ha insegnato a fare la mia famiglia". Laura Esquivel, 15enne argentina innamorata del canto da quando di anni ne aveva 7, a vestire i panni di Patty ci ha preso gusto. A tal punto che ormai, con quelle inseparabili trecce, gli occhiali formato televisore e un sorriso vagamente impertinente, porterà dal 16 dicembre la serie tv culto per ragazzi, appunto 'Il mondo di Patty', che l'ha resa famosa in tutto il mondo, in forma di musical nei palasport delle principali città d'Italia.
Il tour debutterà al Palasharp di Milano, con la regia di Toto Vivinetto e Daniele Cauduro e le coreografie di Rary Lo Cicero e Thomas Signorelli.
Le musiche saranno tratte dalla colonna sonora originale del telefilm. La produzione italiana del musical è affidata alla Società italiana Poltronissima, che nel 2005, con Mas Music Arts & Show, il Centro Internazionale di Formazione per lo Spettacolo, ha lanciato il genere 'Family show' grazie alle precedenti produzioni 'Winx Power Show', 'Scooby Doo Live on Stage' e 'Winx On Ice'. I biglietti dello spettacolo sono già andati a ruba.
Più divina o populare? "Decisamente pop - dice Laura Esquivel - Amo stare tra la gente e trascorrere interi pomeriggi con le mie amiche del cuore Sofia e Camilla. Passeggio tra le vetrine dei negozi, ma non sono di quelle che comprano tutto con estrema facilità". La popolarità non rappresenta per lei un problema né tantomeno sembra infastidirla: "Quando mi fermano per strada, mi piace, mi diverte. Senza il pubblico non siamo niente e ai nostri fan dobbiamo una certa riconoscenza".
La teenager più famosa del pianetam, se la fermi per strada e ci parli, appare come la ragazza della porta accanto, semplice e amichevole e ci tiene a presentarsi senza quell'atteggiamento da diva che, dati i brillanti risultati della serie tv, volendo, potrebbe anche permettersi. Infatti quando nel 2008 'Il mondo di Patty' arriva in Italia e passa da Disney Channel anche a Mediaset, che la trasmette tutti i pomeriggi su Italia1, ottiene il 16% di share. Patty e i suoi amici in breve tempo sono diventati popolarissimi anche sul web: il sito internet conta circa 40.000 visite al giorno. Centinaia i messaggi lasciati dai fan: "Leggo tutto, anche se non sempre ho il tempo di rispondere", spiega Laura. "'Il mondo di Patty' porta con sè un messaggio per tutte le ragazze che vogliono a tutti i costi vestirsi da dive: siate simpatiche. Ciò che conta davvero è la persona".
Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

martedì 27 ottobre 2009

Sbugiardato Pinocchio. E ora non gli resta che il naso...

Luciana Littizzetto sbugiarda Pinocchio: "In realtà è uno figo. Perché è curioso di tutto, ficca il naso dovunque e non passa intere giornate attaccato alla playstation. E questo è molto trasgressivo. Non capisco solo una cosa: come mai alla Fata non hanno messo i capelli turchini mentre a me hanno piazzato in testa due antenne di ferro grosse così". La comica torinese, il Grillo Parlante del film tv diretto da Alberto Sironi, che riporta sul piccolo schermo la fiaba italiana più famosa al mondo scritta da Carlo Collodi, ricorda ancora quando collezionava le figurine del 'Pinocchio' di Luigi Comencini, in cui a interpretare Mastro Geppetto era Gino Manfredi e nei panni della Fata Turchina c'era un'avvenente Gina Lollobrigida. Sono passati trentasette anni da allora e il regista Alberto Sironi non si è sottratto alla coraggiosa impresa, avvalendosi della sceneggiatura di Ivan Cotroneo e Carlo Mazzotta. Così, domenica 1 e lunedì 2 novembre, in prima serata su Raiuno, torneranno le avventure del burattino-bambino che impara a essere figlio, a crescere e a scoprire il mondo.

'Pinocchio' è una coproduzione Rai Fiction-Lux Vide-Power prodotta da Matilde e Luca Bernabei. Alla presentazione ufficiale di stamani all' Auditorium 'Parco della Musica' di Roma c'era il cast italiano quasi al completo. Pinocchio è interpretato da Robbie Kay, scelto tra centinaia di casting: "Non parlavo italiano, è stato difficile entrare nel ruolo. Lo ammetto - scherza - sono anch'io come lui. Ma credo che qualche bugia la diciamo tutti". Mastro Geppetto, doppiato da Massimo Ghini, è interpretato da Bob Hoskins, che torna a lavorare per la televisione italiana dopo aver interpretato Benito Mussolini in 'Io e il duce' di Alberto Negrin e il Papa Giovanni XXIII con la regia di Ricky Tognazzi. Violante Placido è la Fata Turchina, "una dea che protegge Pinocchio ma lo fa camminare anche con le proprie gambe". Thomas Sangster è Lucignolo, Maurizio Donadoni fa Mangiafuoco, Bianca D'Amato è Elisa e Wenanty Nosul L'Editore. Joss Ackland interpreta il ruolo di Mastrociliegia e Alessandro Gassman sarà Carlo Collodi, "un omaggio allo scrittore di uno dei libri più letti e conosciuti al mondo", spiegano gli sceneggiatori Ivan Cotroneo e Carlo Mazzotta.

Il film è stato girato tra Roma, Viterbo e la Tuscia. Per il Villaggio di Pinocchio è stata scelta Civita Castellana. Le musiche originali sono firmate dal Premio Oscar Jan A.P. Kaczmarek, che da anni lavora a Hollywood. "Noi siamo il Gatto e la Volpe, parliamo insieme, siamo una cosa sola. Ci proviamo a fregare, ma non siamo mica bravi come i casalesi. A noi alla fine ci va sempre male", spiegano Toni Bertorelli (la Volpe) e Francesco Pannofino (il Gatto). "Qui siamo riconoscibilissimi. Oggi il gatto e la volpe si aggirano un po' dovunque, ma a differenza della fiaba di Collodi, non si fanno mica riconoscere. Spesso te li ritrovi davanti e non te ne accorgi nemmeno".

Elena Orlando per Adnkronos (elyorl@tiscali.it)

lunedì 26 ottobre 2009

Il red carpet? Tutti lì, sulla cresta dell' orda

Il red carpet. Due parole magiche bastano e avanzano ad accendere l’immaginario collettivo dei tanti cinefili e amanti della mondanità. Tutti lì come cavallette, occhi spalancati e bava alla bocca, gli spettatori deliranti e i giornalisti di tutte le testate, accalcati in massa proprio a due passi dalla ‘zona rossa’. Sognanti e magari anche un po’ invidiosi, o semplicemente col cuore gonfio di ammirazione. Tutti lì, pronti a strillare, ad acclamare, a rubare uno sguardo o un’indiscrezione dal divo più atteso o a strappare un autografo da incorniciare o far vedere agli amici la sera a cena. Tutti lì, quasi sulla linea di confine di quel tanto ambito tappeto rosso, una passerella inondata di flash, calcata con un certo portamento dai grandi divi del cinema e dagli attori del momento, vestiti dalle migliori griffe. Sorrisi e pose costruite, artefatte, pensate e studiate ad arte per catalizzare l’attenzione dei fotografi. Quanto di più lontano da autenticità e naturalezza.

Si è da poco concluso il Festival Internazionale del Film di Roma, festa pop e chic allo stesso tempo, sopravvissuta al dopo Veltroni, nata per essere decisamente più pop di quella di Venezia, considerata fin troppo apparecchiata con lustrini e paillettes.
Non ho mai capito quale fascino abbia il fatto di stare lì per ore a elemosinare un briciolo di qualcosa, non si sa bene poi che cosa. Per non parlare poi della monotonia del solito rituale: interminabili file per accreditarsi o per acquistare un biglietto, e seguire poi una proiezione senza capirci niente, tra una folla di gente che chiacchiera di continuo e commenta qualsiasi cosa, oppure prendersi a spintonate per entrare in sala e seguire un incontro col pubblico, con la consapevolezza di tornarsene a casa quasi sempre senza essere riusciti a soddisfare fino in fondo la propria curiosità. Mai un colpo di scena, mai un 'fuori onda', mai un interessante 'dietro le quinte'.

A un anno di distanza, mi ritrovo a leggere della Festa del Cinema di Roma sui giornali e a seguire qualcosa in tv. Nient’altro che questo. Mi sono rifiutata categoricamente di andarci. E se qualcuno me l’avesse imposto, ci sarei andata decisamente controvoglia. Eppure soltanto un anno fa, mi sono messa l’abito bello, i tacchi alti, ho raccolto i capelli in un delicato chignon e ci sono andata, anche con un certo entusiasmo. E se ci ripenso, mi viene pure da ridere. Le novità più interessanti tra film e documentari? Preferisco scoprirle per conto mio, come e quando voglio. E soprattutto godermele fino in fondo. Senza flash, senza calca, e senza precipitarmi su quel red carpet sempre più asfissiante.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 24 ottobre 2009

La D’Addario o Natalì? Ovvero una scelta di campo

Piero Marrazzo docet. Il vortice mediatico che nelle ultime ore ha portato alla luce le ombre dell’ormai ex governatore del Lazio, rivela come minimo due cose. La prima: che la missione perversa della femme fatale si è esaurita: i maschi ora vogliono altro, vogliono i trans. La seconda: il moralismo a sinistra vacilla e a fronte di una questione morale se ne apre una sessuale. La destra preferisce ancora e sempre ‘a mala femmena’, quella dall’aspetto e dalle caratteristiche fisiche fin troppo inequivocabili. La sinistra invece va oltre, non si accontenta e alle femmine in tiro e pitonate preferisce due tette e, in mezzo alle gambe, qualche altra cosa. Se è questa la condizione della modernità riformista e democratica, allora viene da dire molto meglio il "vecchiume" berlusconiano e cavalleresco.
Ma c’è di più. Scegliere di trascorrere una notte con Patrizia D’Addario piuttosto che con Natalì implica una scelta di campo. Nel senso che ora potrebbero anche nascere altri due partiti: quello dei femminari tradizionalisti e cavalieri e quello degli alternativi disinvolti e trans-oceanici. Ma non di certo perché guardano con ammirazione Barack Obama…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

Il Grande Fratello e l'ansia di stupire anche a Natale

Quest’anno il ‘Grande Fratello’ festeggia dieci anni con un’edizione valanga e un prete che si affaccerà alla porta del reality di punta di Canale5 , celebrando la Messa del 25 dicembre nella casa più famosa d’Italia.
Tutto è pronto. Lunedì si parte. La conduttrice Alessia Marcuzzi, con qualche centimetro di capelli in meno e pochissimo trucco sul viso si dichiara molto contenta di presentare questa edizione auto celebrativa, e, si spera, non troppo autoreferenziale, che “riserverà – dice - come sempre grandi sorprese e novità”.

Natale con i tuoi è fuori discussione. Quest’anno per la prima volta i concorrenti passeranno Natale e Capodanno in diretta nella casa e la loro resistenza verrà messa a dura prova. L’edizione, più volte definita no limits perché durerà fino a febbraio, perché no limits sarebbero anche alcune storie dei concorrenti, così come la panchina lunga dei 40 papabili selezionati per avere pronte eventuali riserve in un periodo di programmazione così lungo, vedrà due puntate speciali di prime time la sera di Natale e quella di Capodanno, in cui entrerà nella casa una donna che ha deciso di diventare uomo e «vive la sua storia in maniera tormentata».

Ci saranno l'imprenditrice sarda Daniela Caneo, lo studente cattolico Alberto Baiocco di Vasto, che si dice ancora illibato, l'eccentrico George di Foligno, un bodyguard pugliese di nome Massimo, la 19enne Carmen di Bagheria, sommelier di sala con una storia difficile alle spalle (entrambi i genitori scomparsi, il padre suicida), e altri. Nella prima puntata entreranno 20 concorrenti, ma alla fine della stessa resteranno in 16. La casa dove verranno rinchiusi i concorrenti sarà moderna, a contatto con la natura e orientata a Sud, verso il sole, così che possa riempirsi ogni giorno di luce. La struttura è stata completamente riprogettata, con alberi, prati, spazi ampi, pareti di cristallo, che dovrebbero aiutare i concorrenti a sentirsi meno reclusi e più vicini alla natura. Un incentivo per i concorrenti ad assumere un comportamento più naturale e con meno artifici. Sforzarsi di stupire a tutti i costi è una pessima idea.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 23 ottobre 2009

Donne con la gonna, il tacco e l'affanno

Il fiato è corto. E la coperta pure. Le donne troppo in carriera sotto quale cielo potranno mai ripararsi se non quello di Rai Fiction di Fabrizio del Noce? Se poi si tratta di Claudia Gerini (Agnese), Micaela Ramazzotti (Giovanna), Antonia Liskova (Miranda) e Tosca D’Aquino (Costanza), ‘Le segretarie del sesto’ di Angelo Longoni, la nuova fiction in onda domenica 25 e lunedì 26 ottobre in prima serata su Raiuno, realizzata da Edwige Fenech che spera di replicare il successo delle isteriche e smarrite ‘Commesse’, il gioco si fa duro. A colpi di tacco 12 e rossetti sbavati, pochette dei trucchi a portata di mano e mille casini per la testa.

Se il privato va giù, meglio far finta di essere super professionali. Se il capo se ne va, meglio competere con gli alti dirigenti della compagnia assicurativa in cui si lavora, per la sua successione. Tanto “la sorellanza è ormai un’utopia. Oggi le donne si fanno la guerra. In un mondo lavorativo sempre più competitivo e feroce, hanno assunto tutti i peggiori difetti degli uomini”, spiega il regista Angelo Longoni. La sceneggiatura è di Laura Toscano, scomparsa proprio l’ultimo giorno di riprese, e di Franco Marotta. Ad affiancare le quattro protagoniste ci sarà Franco Castellano, che torna a interpretare Romeo, l’ex dipendente del negozio di abbigliamento in ‘Commesse’, questa volta disoccupato in cerca di un impiego.

"Questa fiction è un vero miracolo, perché siamo riuscite a realizzare davvero una sorellanza che ci ha portato a lavorare in armonia, senza che nessuna di noi prevaricasse sulle altre", commenta Tosca D'Aquino, che interpreta il ruolo di Costanza, donna forte e altera, a tratti manipolatrice, ma in realtà molto fragile. Ma da questa fiction come ne esce fuori l'universo femminile? "Secondo me non c'è una grossa distinzione tra uomini e donne - afferma Claudia Gerini, che interpreta il ruolo di Agnese, sempre col rossetto sbavato e sull'orlo di una crisi di nervi - Se non quella che in un mondo lavorativo ancora purtroppo maschilista, noi donne siamo pagate di meno. La verità è che siamo esseri superdotati".La competizione tra donne? "A dire il vero - racconta Antonia Liskova - io mi sono sempre trovata meglio con le donne. Penso che tra un uomo e una donna ci sia molta più competizione. E poi, finiamola una volta per tutte con questo falso buonismo. Chi l'ha detto che siamo tutti buoni? In realtà, in ognuno di noi si nasconde la sana cattiveria di arrivare”. Decisamente anti 'Stil novo': per nulla angeliche e spietate fino in fondo. E per gli uomini, più croce che delizia.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 20 ottobre 2009

Geografie lessicali mucciniane...scombinatissime

La fiducia è preziosa. Darla a tutti sarebbe come regalare le perle ai porci.
Gabriele Muccino se ne guarda bene
. “Non ho fiducia nel governo Berlusconi. Se dovessi scegliere e mi dicessero che non c'è un'alternativa a sinistra, allora punterei su Fini. Se dovessi scegliere a sinistra farei fatica, perché la sinistra mi ha deluso. Ma i miei valori non sono, né saranno mai, di destra”. Così rivela il bravo e talentuoso regista e produttore cinematografico a "Chi", il settimanale diretto da Alfonso Signorini, in edicola domani.
Muccino replica anche al ministro Renato Brunetta, che si scagliò contro alcuni registi che prendono finanziamenti pubblici per i loro film: «Un attacco basso», lo definisce. Proprio oggi che Fabrizio Del Noce, alla presentazione ufficiale a palazzo Madama del progetto ideato dalla giornalista del ‘Corriere della Sera’ Emilia Costantini, ha definito senza troppi giri di parole i registi cinematografici dei “mantenuti di Stato”.

Poi però, a un certo punto, dice: "Voglio essere commerciale. Se faccio un film che costa sette milioni di euro devo incassarne di più, non voglio mandare in bancarotta nessuno e mai un mio film è stato finanziato con i soldi dello Stato. E lo dico a Renato Brunetta”. Ma forse Muccino non sa che proprio quel Silvio Berlusconi che bolla come non degno della sua fiducia, è stato l’inventore ‘nobile’ della tv, guarda caso, commerciale. Sì, proprio di quel ‘commerciale’ che Muccino bolla come un ignobile virus da evitare. Peccato che il lessico non sia un’opinione. E commerciale vuol dire commerciale. In televisione come nel cinema. Ma evidentemente per Muccino c’è una sostanziale inspiegabile differenza…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 19 ottobre 2009

Tremonti filologo riscopre i miti del passato

Evviva il posto fisso. Certezza intramontabile dei nostri padri, pilastro delle umane sorti e progressive. “Il posto fisso è la base sulla quale costruire un progetto di vita e la famiglia, in quanto la mobilità lavorativa non è un valore di per sé”. Parola di Giulio Tremonti, uno che di economia se ne intende. “La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no. C'è stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile”. Ce ne siamo accorti. Da un po’ di tempo non si può più progettare un bel niente. I trentenni vagano smarriti tra un colloquio di lavoro e l’altro, un contratto a progetto e uno stage completamente gratuito.

Le parole di Tremonti al convegno organizzato dalla Bpm hanno molto incuriosito il segretario della Uil, Luigi Angeletti: “Tremonti parla come se fosse un nostro iscritto. Non so se gli farà piacere, ma è così”. Conversione intrepida a un sindacalismo alla Di Vittorio? Chissà... Intanto, si attende che le aziende rispondano…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 15 ottobre 2009

Rutelli ci ripensa. Perché nel Pd nessuno lo pensa

Francesco Rutelli schifa il Pd. Lo denigra, lo disprezza, lo etichetta come un fantasma. In poche parole: Pd uguale a esperimento politico fallito. Che cosa resta di un partito più volte definito sull’orlo di una crisi di nervi? Un partito in crisi, appunto, che attende il “Salvatore” (chi sarà tra Bersani, Franceschini e Marino?...).

Ma a Rutelli ormai non frega più niente. Avvezzo al ripensamento profondo e 'radicale', nel senso che prima era uno dei pannelliani, poi divenne un democratico e poi ancora un fervente cattolico che non si riconosce più in un partito che lo ha sbattuto miseramente in panchina, alla fine si è stufato.
Proprio lui che tanto credeva nel progetto, che l’aveva venduto al marketing opinionista come la sola e unica speranza di un reale riformismo moderno e innovativo per il nostro Paese. Qui non è più questione di correnti, né tantomeno di spostamento dell’asse al centro piuttosto che a sinistra.

E allora, si volta pagina. Senza troppo piangere. E Rutelli, attualmente presidente del Copasir, per chi non l'avesse ancora capito, lo va a dire domani a Sky Tg24 Pomeriggio, l’approfondimento condotto da Paola Saluzzi. Al centro dell’intervista sarà il suo libro dal titolo 'La svolta. Lettera aperta ad un partito mai nato', dedicato appunto al Pd. Fra gli ospiti ci sarà Antonio Polito, direttore del Riformista, Federico Geremicca, vicedirettore della Stampa e Oscar Giannino, editorialista economico. “Ora basta. Il Pd ha tradito tutte le aspettative e non è stato in grado di dare le risposte di cui avevamo bisogno”, dice Rutelli. Un modo politicamente corretto di assestare il colpo di grazia a una sinistra sempre più in panne. Spietato fino in fondo. Ma quanno ce vo', ce vo'.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 14 ottobre 2009

Lady G ci ripensa. Da bad girl a cocca di mamma

La ‘Poker face’ di Lady Gaga era tutta una montatura. Stefani Joanne Angelina Germanotta in realtà è come Santa Maria Goretti. O quasi. Nel senso che è una brava ragazza, cocca di mamma e papà e sfigatissima con gli uomini. A briglie sciolte sul palco, tra le sgargianti note di ‘Paparazzi’, la cantautrice statunitense nel privato possiede una “rigida morale”. Parole sue, spifferate a ‘Topgirl’, il mensile Gruner+Jahr/Mondadori diretto da Annalisa Monfreda, che questo mese le dedica la copertina.

"La vera Lady Gaga? In realtà sono una ragazza adorabile”, sottolinea a sorpresa l’artista, che ammette di indossare la maschera di un personaggio totalmente costruito. “Mi comporto come Lady Gaga 24 ore su 24 perché devo, ma la vera me stessa è quella che si sente vicina al papà, alla mamma e alla sorellina. A volte chiamo mia madre e mi scuso per aver creato loro tanti problemi. La mia famiglia è la mia vita. Sono così orgogliosi di me!".

Brava figlia, santa femmina, ragazza fortunata nel senso ‘jovanottiano’ del termine. Ma la cantautrice statunitense non era una sgambettona col parruccone biondo e tre quintali di trucco spalmati in faccia, tutta sesso e alcol, un po’ gay un po’ pop? Nella vita c’è sempre un ripensamento. Ma forse Lady G. si è semplicemente accorta che in realtà era stata ”mostrizzata” dalla discografia mondiale. E si è affrettata a salvare in tempo se stessa. "Dio mi ha dato il dono della musica. Ma come tutte le persone con un dono, anch’io ho il mio tallone d’Achille. Per me il problema sono gli uomini: mi sono innamorata sul serio soltanto una volta". E anche se confessa di voler "incontrare Marilyn Manson, perché affascinante e intelligente", poi dichiara: "Ora ho troppo da fare per pensare agli uomini, non ne ho bisogno. La musica è il mio primo amore, il mio primo marito". E sui soldi? "Mi annoiano – dice - li vedo come un modo per alimentare la mia arte. Non mi interessa comprarmi un’auto di lusso. Voglio investire tutto nella mia musica. Per diventare sempre più grande". Ambizione, questa, assai trasgressiva. Resta solo un dubbio: ma perché gli uomini proprio non se la filano?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 13 ottobre 2009

Gli Avion Travel rileggono l’ ‘amico magico’ di Federico Fellini

Spero che i miei amici, unendosi insieme, riusciranno almeno a formarne uno”, dice sorridendo Peppe Servillo, voce degli Avion Travel, alludendo a Nino Rota, l’ ‘amico magico’ di Federico Fellini, a cui rendono omaggio a trent’anni dalla morte, stasera, con un concerto all’Auditorium della Conciliazione a Roma, che inaugura la quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

Consapevoli della patata bollente che Caterina Caselli gli ha messo in mano, gli Avion Travel, in compagnia dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Marcello Rota, suoneranno i pezzi del nuovo album, interamente dedicato a Rota, che uscirà il 16 ottobre su etichetta Sugar e sarà in vendita con un dvd. Nel disco trovano posto brani come ‘Parlami di me’ tratto da 'La dolce vita', un'imperdibile versione mai incisa di ‘Brucia la terra’ , contenuta nella colonna sonora de 'Il Padrino III', un testo in dialetto siciliano scritto da Kaballà, ‘Bevete più latte’ da 'Boccaccio ‘70', inno ironico e beatlesiano alla brevità della pubblicità, con la partecipazione straordinaria di Elio e le storie tese, a ‘Lo struscio’ , tratto dall'indimenticabile 'Amarcord'.

Peppe Servillo, Fausto Mesolella e Mimì Ciaramella persistono. Nel senso che non si sono ancora stancati di “tradire e tradurre” la musica d’autore in perfetto stile Avion, con esibizioni lunghissime e tutte dal vivo, anti televisive per eccellenza. Un matrimonio perfetto anche quello con l’orchestra, sulla scia di un confronto aperto con territori dello spettacolo limitrofi come il cinema e lo spettacolo che ormai coinvolge da anni il gruppo casertano. Le scene dello spettacolo di stasera saranno costruite in diretta dall’artista visuale Giuseppe Ragazzini, mixando contributi fotografici e cinematografici con la sua tecnica di video pitture animate che creano un movimento continuo di sottofondo. Nel corso della serata verranno letti alcuni documenti inediti, tra i quali la lettera in ricordo de ‘l’amico magico’ che Federico Fellini inviò il giorno della morte di Nino alla signora Silvia Blancheart, sua cugina.

"Sappiamo che rendere un omaggio come questo a un personaggio del calibro di Nino Rota è una di quelle esperienze per cui è meglio prima studiare, anche se noi siamo sempre stati autodidatti e, nonostante l'esperienza sanremese ci abbia dipinto come professori d'orchestra - sottolinea Peppe Servillo - veniamo da una provincia, quella di Caserta, in cui non c'è nemmeno il conservatorio. Stasera apriremo il concerto con quella che secondo me è la più bella canzone dell'album, 'Ai giochi addio', brano tratto dal 'Romeo e Giulietta' di Zeffirelli, in cui Elsa Morante associa la nascita dell'amore alla fine dei giochi. Tutti gli episodi che racconterò tra un brano e l'altro sono di Ennio Flaiano. Interpretare brani d'autore - conclude Servillo - è sempre un rischio. Ma noi l'abbiamo affrontato consapevoli che un po' bisogna tradire e tradurre l'interprete, magari tirando fuori qualcosa di implicito che l'autore stesso non aveva ancora svelato. Una bella sfida, che abbiamo cercato di affrontare con la freschezza e la naturalezza di Nino Rota. Un buon esercizio di memoria, che secondo noi è fondamentale. Implica un confronto ed è la premessa di un rinnovamento”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)