lunedì 26 ottobre 2009

Il red carpet? Tutti lì, sulla cresta dell' orda

Il red carpet. Due parole magiche bastano e avanzano ad accendere l’immaginario collettivo dei tanti cinefili e amanti della mondanità. Tutti lì come cavallette, occhi spalancati e bava alla bocca, gli spettatori deliranti e i giornalisti di tutte le testate, accalcati in massa proprio a due passi dalla ‘zona rossa’. Sognanti e magari anche un po’ invidiosi, o semplicemente col cuore gonfio di ammirazione. Tutti lì, pronti a strillare, ad acclamare, a rubare uno sguardo o un’indiscrezione dal divo più atteso o a strappare un autografo da incorniciare o far vedere agli amici la sera a cena. Tutti lì, quasi sulla linea di confine di quel tanto ambito tappeto rosso, una passerella inondata di flash, calcata con un certo portamento dai grandi divi del cinema e dagli attori del momento, vestiti dalle migliori griffe. Sorrisi e pose costruite, artefatte, pensate e studiate ad arte per catalizzare l’attenzione dei fotografi. Quanto di più lontano da autenticità e naturalezza.

Si è da poco concluso il Festival Internazionale del Film di Roma, festa pop e chic allo stesso tempo, sopravvissuta al dopo Veltroni, nata per essere decisamente più pop di quella di Venezia, considerata fin troppo apparecchiata con lustrini e paillettes.
Non ho mai capito quale fascino abbia il fatto di stare lì per ore a elemosinare un briciolo di qualcosa, non si sa bene poi che cosa. Per non parlare poi della monotonia del solito rituale: interminabili file per accreditarsi o per acquistare un biglietto, e seguire poi una proiezione senza capirci niente, tra una folla di gente che chiacchiera di continuo e commenta qualsiasi cosa, oppure prendersi a spintonate per entrare in sala e seguire un incontro col pubblico, con la consapevolezza di tornarsene a casa quasi sempre senza essere riusciti a soddisfare fino in fondo la propria curiosità. Mai un colpo di scena, mai un 'fuori onda', mai un interessante 'dietro le quinte'.

A un anno di distanza, mi ritrovo a leggere della Festa del Cinema di Roma sui giornali e a seguire qualcosa in tv. Nient’altro che questo. Mi sono rifiutata categoricamente di andarci. E se qualcuno me l’avesse imposto, ci sarei andata decisamente controvoglia. Eppure soltanto un anno fa, mi sono messa l’abito bello, i tacchi alti, ho raccolto i capelli in un delicato chignon e ci sono andata, anche con un certo entusiasmo. E se ci ripenso, mi viene pure da ridere. Le novità più interessanti tra film e documentari? Preferisco scoprirle per conto mio, come e quando voglio. E soprattutto godermele fino in fondo. Senza flash, senza calca, e senza precipitarmi su quel red carpet sempre più asfissiante.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

2 commenti:

Andrea Tricomi ha detto...

Chi l'ha detto che il pubblico cerca autenticità e naturalezza? Non capisco tutto questo accanimento contro l'innocuo, direi un po' inutile, Festival capitolino. Una curiosità. Posso sapere dove vedrai le novità più interessanti tra film e documentari? Ciò che viene mostrato nei festival è il Cinema Invisibile!

In Italia si producono film e opere prime con soldi dello Stato, visti e distribuiti prevalentemente solo nei festival e che raramente arrivano nelle sale.
A me ha stupito la visione di “Valzer” del 2007, regia di Salvatore Maira, incredibile film girato con un lunghissimo piano-sequenza, interprete la brava Valeria Solarino: a distanza di due anni una sola copia è stata ospitata in molti festival internazionali, in poche fortuite sale italiane, qualche cineforum ( trailer film ).

La mancanza di una distribuzione affidabile dei film italiani fa sistema accanto alla compresenza di un cinema parassitario assistito (parole di Brunetta), a un incompreso e bistrattato cinema indipendente, all’assenza o all’inesistenza di un circuito di cortometraggi troppo frammentario e affidato alle iniziative locali, numerose, ma di scarso prestigio.

Secondo lo storico del cinema Gianni Canova la “spettorialità” è la condizione fondamentale della nostra esistenza: “siamo tutti spettatori, consumiamo 600mila immagini artificiali al giorno e che cosa facciamo quando guardiamo un film, cosa ci fa una immagine in movimento quando la intercettiamo?”

I giornali italiani troppo attenti ai contenuti hanno gravi responsabilità - continua ancora il professore Canova - perché non indagano sull’importanza della “produzione del senso”: “come mi lavora dentro un film, un corto o un lungo? Che immaginario mette in circolazione? Che bisogni sociali e individuali soddisfano? Il Cinema ti obbliga a pensare quello che vedi, la televisione ti consente di vedere sempre e solo ciò che già pensi” (per vedere tutto l'intervento di Canova cliccare qui)

A cosa serve la critica acida sull’artificiosità patinata della confezione, sul chiasso della gggente, sulla mondanità graffiante-griffante?
Bisogna evitare di emulare quei critici affetti dalla “sindrome del capolavoro” che anni fa teorizzò Aldo Grasso. E non dimentichiamo di considerare che il Cinema è cultura sensoriale, è crescita cognitiva, è creatività contagiosa, è libertà psicomentale .

Dunque abbasso i “red carpet film”.

I colpi di scena? Aneddoti? Fuori onda? Dietro le quinte? L’indiscrezione? Sono strategie del gossipparo o di un aspirante gossippaiolo!!!! Un giornalista dovrebbe cogliere, per dirla con Händel, il “trionfo del tempo e del disinganno” (Der Triumph der Zeit und der Enttäuschung.

Stella mattutina ha detto...

Vabbè, insomma, ti piace la festa. :-) E.