sabato 30 aprile 2011

Kate e William: nozze catartiche

E’ vero. Le teste coronate hanno stancato. E i loro fasti e insipidi scandali, pure. Ma ne siamo davvero sicuri? Forse sarebbe bene rispolverare il beneficio del dubbio. Perché il matrimonio del secolo tra William e Kate è stato seguito, solo in Italia, da 9 milioni di telespettatori. Per non parlare delle migliaia di teste e di braccia che si agitavano lungo il tragitto del corteo reale per salutare gli sposi. E di tutti quelli, due miliardi in tutto, che hanno seguito la cerimonia dal resto del mondo attraverso le dirette web. A corredo del matrimonio reale, varie feste e celebrazioni nelle colonie britanniche e in tutto il pianeta.



Lui, l'erede al trono, emozionatissimo e in preda all'incanto amoroso, come da protocollo in divisa militare. Lei, Catherine Elizabeth Mountbatten-Windsor, nata Middleton, è ora la nuova duchessa di Cambridge, moglie del principe William. Per diventarlo ci sono voluti 9 lunghissimi anni di fidanzamento. Ma è soprattutto la carta vincente dei Windsor per un radicale cambio d’immagine. Stavolta si gira davvero pagina. Il volto vagamente malinconico di lady D. lascia il posto a un volto fresco, sorridente e sicuro. Kate è solida, paziente. Non lascia spazio alla minima incertezza. E’ la sicurezza fatta persona. Portamento impeccabile. Bellezza vera. Sorriso scolpito in faccia dall’inizio alla fine della cerimonia, da quando scende dalla Bentley lucida come uno specchio, a quando entra a Westminster portata per mano dal padre Michael, da quando attraversa lentamente la navata dell’abbazia a quando raggiunge il sedile rosso davanti all’altare, accanto a William, che invece l’emozione ha fatto diventare rosso peperone.


Deluso chi si aspettava un po’ più di emozione da parte della sposa. Un eccesso di aplomb britannico? Qualcosa di più. Noi? Tutti a buttare l’occhio, anche solo per qualche istante, su quel velo lungo tre metri, per sbirciare nel sogno che diventa realtà, nella fiaba a colori, nella felicità di sangue blu. E a quel bacio sul balcone. Pure quello non troppo strappalacrime. Tutti lì a criticare il cedimento di stile giallo limone della regina Elisabetta, tutti lì a imitare il caritatevole saluto ai sudditi sognanti e partecipi di una gioia non loro. La mimesi aristotelica si compie. L’identificazione purifica. Grazie agli sposi, per averci concesso il beneficio del sogno e averci illuminato di una luce fiabesca, seppur riflessa. I have a dream: sognare di meno.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

lunedì 25 aprile 2011

William e Kate: nozze al sangue blu. Ma la regina Elisabetta riveli il ‘reale’ motivo dei grandi assenti

Un matrimonio reale in piena regola. La regina Elisabetta non concede sconti a chi non ha un briciolo di sangue blu, escludendolo dalla lunga lista degli inviti. Eccetto Kate, s’intende. Concederle un’eccezione è d’obbligo. Lei, figlia di due ex dipendenti della British Airways, ora milionari dopo aver fondato la Party Pieces, società di accessori per le feste venduti per corrispondenza. Lei borghesissima ma anche straamata dal popolo inglese. Tant’è da suggerire alla regina l’astuta mossa populistica. Sarà lei la futura regina d’Inghilterra, amata tanto quanto la sfortunata lady D.

Chi saranno allora gli invitati alle ormai imminenti nozze tra Kate e il principe William?
Se ci saranno David e Victoria Beckam, sul sangue blu qualche altra eccezione la regina deve averla fatta. Ma non si capisce con quale criterio, se poi sono stati esclusi i nobili Aosta e Savoia. Facile da intuire, neppure la duchessa di York varcherà la soglia dell’abbazia di Westminster. In compenso, tra le teste coronate d’Europa, ci saranno Carlo di Borbone con la moglie Camilla, i marchesi Frescobaldi, l’attore Hugh Grant, il re dell’Arabia Saudita Abdullah Bin Abdul-Aziz, la regina Sofia di Spagna con il figlio Felipe e la moglie Letizia, il principe Alberto di Monaco con la promessa sposa Charlene e le famiglie regnanti di Norvegia, Svezia e Danimarca.

Tra i membri del Parlamento ci sarà il primo ministro britannico David Cameron e consorte. Nessun capo di Stato. Grandi assenti il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la moglie, Nicolas Sarkozy, gli ex premier laburisti Tony Blair e Gordon Brown. Ma nella lista sono presenti invece due ex premier conservatori: Margareth Thatcher, la Lady di Ferro, che però ha declinato l'invito per ragioni di salute, e John Major, che invece sarà presente.

A rendere la cerimonia del matrimonio del secolo decisamente più pop provvederanno Mr Bean, ovvero Rowan Atkinson, il regista Guy Ritchie, ex marito di Madonna, Elton John e il compagno David Furnish; il campione di rugby Gareth Thomas, il campione di nuoto olimpico Ian ‘Thorpedo’ Thorpe e il cantante Joss Stone. Un tocco di eleganza e stile saranno garantiti dalla presenza vellutata du Valentino e del fotografo italiano Mario Testino, autore delgli scatti ufficiali del fidanzamento.
Non solo Vip. Tra gli invitati sono previsti anche esponenti e direttori di istituti benefici, come Bryn e Emma Parry, fondatori della charity ‘Help for Heroes’, e Charlie Mayhew, ceo della charity ‘Tusk Trust’.

E allora i conti non tornano. Che la racconti a qualcun altro, Elisabetta II, la favola bella dell’esclusione di Obama & Co. per motivi di sangue blu. I rumours sollevati da questa discutibile scelta ci stanno tutti. Si attende però la giusta e soprattutto reale (nel senso di vera) motivazione di queste grosse e ingiustificate esclusioni, visto che quella del sangue blu, dopo aver letto la lista, non è proprio credibile. E poi, gli assenti non devono averla presa troppo bene. Nelle loro vene non scorrerà sangue blu, però il sangue non è acqua…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 19 aprile 2011

Grande Fratello 11: finale a sorpresa. Vince Andrea

E alla fine il ribaltone c'è stato. Il Gf 11 l'ha vinto a sorpresa Andrea Cocco, scavalcando così Ferdinando, il favorito, che comunque ha incassato il 49 per cento dei voti dei telespettatori. Italo-giapponese, garbato, discreto, elegante, pacato, sensibile. Ha vinto l'esatto contrario di tutto ciò che il Gf ha rappresentato per sei mesi nella casa più spiata d'Italia. Se rissa, sangue e litigi continui hanno vestito da capo a piedi il programma, insieme a toni accesi, linguaggio colorito, pose scomposte, il televoto alla fine ha rivelato la stanchezza del pubblico per questo stile di comportamenti. Ha vinto la pecora nera del gruppo. Nessuna nota stonata. Bensì l'unica nota intonata di una melodia troppo urlata. Ma soprattutto un chiaro segnale per autori e organizzatori del casting. I toni vanno abbassati. Il pubblico si è stufato di coatti orgogliosi e di bulli sgrammaticati di periferia.

Meglio i toni soft di Andrea che le sguaiate invettive di Guendalina e la violenza sconcertante di Emanuele. Il vincitore del Gf adora leggere, ascoltare la musica e vedere film. Si reputa fondamentalmente "un buono", ma non tollera "le cattiverie gratuite, il menefreghismo, non saper riconoscere la bellezza nelle piccole cose e nella gentilezza delle persone, dando tutto per scontato". Questo era il suo identikit sul sito ufficiale del Gf. Talmente gentile e romantico che a Margherita all'inizio del corteggiamento dava quasi fastidio.
"Andrea Cocco è la dimostrazione - ha detto la Marcuzzi durante la diretta della finale,seguita su Canale 5 da 6.620.000 spettatori (share 32,79 per cento) - che il Grande Fratello lo può vincere anche una persona equilibrata, discreta e perbene".
Una ripresa a pochi metri dal traguardo, per salvare la faccia. Questa edizione infatti è stata caratterizzata da insulti, parolacce, bestemmie, aggressività continue, con episodi al limite del grottesco. Perfino Mediaset aveva più volte punito i concorrenti con la squalifica per evitare furiose polemiche. Ecco allora che la vittoria di Andrea cade a fagiolo. E salva l'undicesima edizione del Gf dal primato in fatto di trash. C'è ancora una speranza. Se si segue questa linea, il re dei reality cambierà davvero. In meglio.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 18 aprile 2011

Il Grande Fratello ha le ore contate. E la vittoria di Ferdinando pure


Il cavallo bianco di Garibaldi. Chiedersi, a poche ore dalla finale, chi vincerà il Gf 11 è farsi una domanda retorica. A discapito del mancato effetto sorpresa. Tanto al Gf i copioni sono già scritti, i destini segnati, le sceneggiature note. Nulla viene lasciato al caso. Merito del certosino lavoro dei diligenti autori del programma. Quindi inutile chiederselo, tanto la risposta è quella: vincerà Ferdinando, il figlio del boss, il ragazzo leale e prodigioso, esempio di un riscatto convincente e calzante. Sul piano mediatico, certo. Più che una reale questione etica. Ma ci sta anche questo, nel calderone scorticato del Gf, dove tutto evapora in fretta, senza lasciare traccia. Ben venga una valida ragione per nobilitare il reality più sbracato e nullafacente della tv. Ma ancora molto seguito.


Lui, Ferdi, si prepara a godersela tutta, la sua vittoria. Per dare un segnale forte all’Italia. Certo. Lui, di Salerno, cresciuto respirando l'aria inquinata e malsana della criminalità. Lui con le spalle larghe e un coraggio da vendere, virtuoso a tal punto da impuntarsi a seguire la retta viae a non smarrirla, perché poi un giorno avrebbe dovuto raccontarla in tv condividendo il suo buonsenso e la sua onestà con milioni di telespettatori. Lui così spontaneo da non permettersi mai una sbavatura emotiva, una parola di troppo, una rissa mal tollerata dai tanti fan che lo hanno incoronato fin dalle prime puntate in cima alla classifica delle preferenze. Lui, il ragazzo perbene con la faccia e la fedina penale pulita, il fidanzato ideale, l’innamorato fedele della sua Angelica.


Casto e puro, Ferdinando, non ha dato in pasto alle telecamere la sua love story, astenendosi seppur a fatica da amplessi troppo rumorosi. E, telecamere permettendo, ha mostrato sempre carattere. Ce ne fossero come lui, in un mondo vestito di opportunismo. Bravo Ferdinando, hai meritato la vittoria. Quasi certa, salvo ribaltoni last minute. E gli spettatori, televotandoti, hanno dimostrato di voler dare un segnale etico forte e deciso al Paese. Meglio di un programma politico, di un manifesto elettorale. E il Gf, facendoti vincere, ha mostrato di farsi portavoce della celebrazione assoluta del bene, dell’esaltazione della virtù e di una vita da vero eroe. C’è ancora una speranza. Nonostante tutto. Che l’Italia possa risorgere? Che non sia la solita retorica populista di un falso e scenografico cambiamento? Macchè. La sola speranza è che Ferdinando non si monti troppo la testa, salendo in un Olimpo di cartapesta. Ad ogni modo, onore al merito: quello di essere stato il giocatore mediaticamente più convincente e strategicamente più bravo.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 16 aprile 2011

Non è mai troppo tardi… per ripensarci


Vox populi vox dei. E alla fine gli umori negativi di molti hanno fatto spegnere definitivamente i riflettori sul controverso reality della rete ammiraglia Mediaset “Non è mai troppo tardi”, che avrebbe dovuto sdoganare docenti precari alle prese con un’audace e coraggiosa rieducazione alla cultura di alcuni vip. Il mondo della scuola si era indignato, gli studenti avevano protestato, già si gridava a un’indecente ridicolarizzazione degli insegnanti. Cortocircuito mediatico, impopolarità dilagante, strilli e pernacchie. E ancora non era andata in onda nemmeno una puntata. E allora? Inversione di marcia, con tanto di delusione da parte di chi a una cattedra scolorita e sbilenca aveva preferito una telefonata per poter subito partecipare. E sebbene il reality tenga in fatto di ascolti, stavolta la materia era davvero troppo impopolare. E si rischiava un flop. Meglio non rischiare, non indignare, non provocare una categoria le cui apprensioni e angosce sono a un livello da bollino rosso.


Morto un papa, se ne fa un altro. E in casa Mediaset ora si pensa al nuovo programma di Elena Santarelli, che andrà in onda da martedì in prima serata su Italia 1, “Plastik-Ultrabellezza”. In perfetta linea coi tempi, un esercizio di stile per affrontare un’ eventuale operazione di chirurgia estetica senza troppi rimpianti. L’apparenza è tutto, l’immagine va curata e lucidata per bene, imbellettata e confezionata con cura. E la conduttrice che ci tiene a sottolineare la sua autoironia e intelligenza, testimonierà in prima persona che farsi il fisico richiede estremo sacrificio declinato in ore di palestra, massaggi e cure di bellezza. E se il complesso per un difetto ti rovina l’esistenza allora ben venga l’intervento. Ma solo se è ciò che si vuole davvero. Piccolo particolare: l’imperfezione ci rende unici.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 13 aprile 2011

Bufera sul reality Mediaset: la scuola dà spettacolo


Cornuti e mazziati. I precari della scuola sotto i riflettori tv, in pasto alle ballate folk e all’emotività lampo “mordi e fuggi” da reality. Il reclutamento da parte di Canale 5 dei prof. dalla penna rossa per un programma in cui dovrebbero trasmettere un po’ di “virtute e conoscenza” a quei bruti dei Vip ha scatenato una vera e propria bufera. Soprattutto per l’invito ammiccante e tentatore del promo: un futuro tranquillo, in palio dieci anni di stipendio. Roba da far tremare le vene ai polsi per un impiegato statale che stenta ad arrivare alla fine del mese . L’agenzia Dire chiarisce ogni eventuale dubbio: “Siamo andati ad indagare e abbiamo scoperto che sarebbe intenzione delle reti Mediaset la messa in onda di un reality show nel quale vengano coinvolti anche i docenti precari. Ci sono già indiscrezioni sui conduttori: Nicola Savino e Barbara D’Urso, quest’ultima, addirittura, nei panni della preside”. Ma voci di corridoio parlano di Alfonso Signorini e Federica Panicucci.


E se la tentazione potrebbe essere forte per i poveri prof. dalle cattedre sempre più risparmiose e traballanti, la Cgil Scuola va giù pesante: “Dopo le offese da parte del premier alla scuola statale, arriva l’offesa da parte delle sue reti a lavoratrici e lavoratori precari che hanno contribuito finora ad assicurare il diritto all’istruzione, sotto costante attacco da parte di quelle istituzioni che dovrebbero invece garantirlo”. Ancora più severo il giudizio del Cps (Coordinamento precari scuola) : “Sul momento siamo stati favorevolmente colpiti, ma poi l’amara sorpresa: prima la politica riduce alla fame i precari della scuola, poi arriva il reality show che ha l’unico scopo di sfruttare la disperazione per denigrare i precari della scuola rendendoli fenomeni da baraccone”.


La mobilitazione si è estesa a macchia d’olio e ha lambito perfino le sponde di Facebook, dove è nato un gruppo contro il reality che si dichiara “disgustato, anche se il programma garantirà un mucchio di ascolti”. Per la verità un filo di prevenzione traspare. Chi l’ha detto che sarà un circo dove quei sfigati dei professori verranno messi in ridicolo e, strumentalizzati, vestiranno i panni di tanti clown? Potrebbe essere anche una bella occasione per attirare la giusta attenzione su una categoria bistrattata, sempre più strattonata e messa all’angolo. L’importante è che i precari siano veri e non attori-comparse come nel tribunale di Forum. Per il resto, se un prof. tenta di rimpinguare le sue casse, sognando per una volta una vita tranquilla, sarebbe opportuna un po’ di senecana clemenza.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 10 aprile 2011

Tutto in un istante...


Sapeva che prima o poi quel semaforo sarebbe scattato. Quella luce rossa sarebbe diventata verde. E tutto sarebbe tornato come prima. Sapeva che questo sarebbe successo magari proprio nell’attimo in cui tutto sarebbe potuto ancora succedere. In fondo, i loro sguardi si erano incontrati per caso. Proprio lì, a quel semaforo. Due vite talmente diverse, due colori in contrasto, due perfetti sconosciuti, lì a fissarsi negli occhi. Due linee parallele che per un attimo deviano improvvisamente il loro percorso e si ritrovano a incontrarsi in un punto. Ma quell’istante c’era e poteva rappresentare la chiave di volta di quell’inspiegabile attesa. L’attesa di qualcosa che si respirava nell’aria, si percepiva nell’atmosfera, si avvertiva nell’animo. Perché non era così assurdo che in quell’istante potesse accadere davvero qualcosa. Quante cose accadono in un istante. Si viene concepiti, ci s’innamora, si muore, si sorride in un istante cambiando del tutto l’espressione del volto, si versa una lacrima che scende lenta sul viso. Tutto questo avviene in un solo istante. E allora perché non sperare che in quell’interminabile istante qualcuno dei due non potesse attraversare di corsa, raggiungere l’altro, afferrarlo, farlo suo almeno per un istante. Per quel solo istante. Poi tutto sarebbe cambiato. Il semaforo sarebbe tornato verde e improvvisamente il piede sull’acceleratore e le mani sullo sterzo sarebbero stati i complici di un tristissimo addio. E sarebbe arrivata l’angoscia. E un senso di smarrimento. E la sensazione che la terra tremasse e non ci fosse un solo valido motivo per tornare alla vita sgualcita e sudata di un istante prima.


E allora molto meglio non viverlo quell’istante. Ma come si fa a impedire che le cose succedano? Come si fa a forzare così tanto la mano? A spegnere una fiamma che si è accesa? La voglia di vivere quell’istante è più forte di ogni altra cosa. Di ogni altro impegno. Di ogni ritardo sulla tabella di marcia di una giornata frenetica. E sentire che negli occhi dell’altro c’è lo stesso identico desiderio apre un orizzonte di luce impossibile da evitare, un senso di gioia improvviso che si espande nelle vene e fa ribollire il sangue. In fondo sarebbe bastato un solo attimo perché quelle vite che si erano improvvisamente incrociate, sfiorate e legate per qualche inspiegabile ragione con un invisibile filo rosso dai finestrini aperti delle loro auto potessero scoprire che cosa c’era davvero al di là di quell’orizzonte. E capire se avrebbero potuto scrivere da qualche parte le pagine della loro storia. Ma proprio in quell’istante scattò il verde. Una tempesta di clacson li scosse, risvegliandoli da quel sogno. E rimise ordine tra le tessere sparse e agitate di quel puzzle senza immagini. I piedi sull’acceleratore e le mani sullo sterzo fecero riprendere a entrambi il timone delle proprie esistenze stropicciate come panni consumati e sgualciti. Quel bellissimo sogno durato un istante si era dissolto nel vento tiepido di primavera.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 9 aprile 2011

Ma com'è bello qui, ma com'è grande qui, ci piace troppo ma... Non è la Rai


Un colpo al cuore per le femministe più agguerrite. L’evento televisivo più allettante per milioni di teen ager. Quando il 9 settembre 1991 va in onda per la prima volta su Canale 5, “Non è la Rai” di Gianni Boncompagni approda nel palinsesto delle reti Fininvest (oggi Mediaset) con un immediato effetto boomerang. Fior di opinionisti si pronunciano in merito, a destra, a sinistra, al centro. Tv trash? L’apologia delle nuove lolite? Di volgare non c’era nulla. Le ragazze sgambettavano avvolte in un velo di fondotinta spalmato con parsimonia per coprire a stento qualche brufolo, con appena un filo di gloss sulle labbra, in tutine aderenti e gonnelline a balze.


Clima soft, una sottile ironia nell’aria e tanta voglia di intrattenere giocando. Ballo, canto e conduzione, nella terza edizione del programma - ormai passato nella fascia pomeridiana su Italia 1 - affidata a una sedicenne molto sveglia: Ambra Angiolini, che eredita il ruolo della docile Enrica Bonaccorti e dell’irriverente Paolo Bonolis. “Faccio un programma privo di contenuti, non voglio lanciare nessun messaggio. Dicono che propongo "un insopportabile clima da gita scolastica in torpedone". E allora? Cosa c'è di male? Sono d'accordo, solo che toglierei il termine insopportabile. E poi abolirei la parola volgare, perché io pretendo da tutti i miei collaboratori delle inquadrature castissime”, dice Boncompagni a “Famiglia cristiana". Con le polemiche crescono popolarità e successo e gli studi del Centro Palatino di Roma vengono assaltati ogni gorno da migliaia di ragazzine a caccia di un autografo. E poi tutti a comprare figurine, diari, dischi, quaderni, tutti con i volti più noti del programma. Yvonne Sciò, Antonella Elia, Laura Freddi, Miriana Trevisan, Cristina Quaranta, Pamela Petrarolo, Alessia Merz, Alessia Mancini, Romina Mondello, Veronica Logan, Ilaria Galassi, Claudia Gerini, Francesca Pettinelli, Emanuela Panatta, Antonella Mosetti solo alcune delle ragazze più famose del programma.


Irene Ghergo, alias miss Rottermaier, ne controllava trucco e pose. Nessuna trasgressione concessa. Altro che postribolo televisivo. Tutto era rigorosamente casto. Chi non ricorda il cruciverbone, le esibizioni canore di Pamela, i pianti in diretta, rivalità, litigi, guerre, abbracci. E qualche volta ci scappava pure qualche vera amicizia. Famoso il gioco dello zainetto condotto da un’impertinente Ambra che solleticava il pubblico con sfacciata ironia, teleguidata con l’auricolare dal regista. E, in piena campagna elettorale, alle Politiche del '94, l'azzardo disinvolto: "Dio? Sta con Berlusconi, Satana con Occhetto". Dalla fucina rosa shocking di “Non è la Rai” attinse Antonio Ricci, cambiando l’immagine della velina, meno soubrette e molto più free. L'inizio di una nuova epoca in fatto di vallette. L'era "Drive In" era morta e sepolta per sempre.


Non ci stiamo sbagliando. A volte ritornano. “Non è la Rai” vent’anni dopo riappare di nuovo sul piccolo schermo. In replica dal lunedì al venerdì dalle 15.45 su Mediaset Extra. Perché al momento nessun editore è davvero convinto di farne una nuova edizione. Un altro colpo al cuore per le femministe di oggi. Roba indegna, da scatenare l’ennesima manifestazione di piazza per difendere a spada tratta la dignità del corpo della donna. Quel corpo ampiamente usato sulle pagine di Repubblica, nei cartelloni pubblicitari, sulle riviste 'impegnate', per strada, nelle Università, nelle redazioni dei giornali, nei salotti letterari, sui luoghi di lavoro. Non da tutte, certo. Ma sicuramente da molte. Che a confronto le ragazze di "Non è la Rai" erano delle madonne…


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 2 aprile 2011

Quel clandestino di troppo...




- “Niente da fare, compare. Ormai siamo siciliani”. Era passato un anno da quando Anour e Giuseppe si erano incontrati. Sempre lì, al solito posto, in una calda mattina d’agosto. Le cinque del pomeriggio. Tutt’intorno soffiava un vento caldo, bollente, che avvolgeva i loro corpi stringendoli nella morsa febbrile dell'afa e dell' affanno. “Compa’, qua non respira. Mare, mare”, continuava a ripetere Anour, seduto con le gambe a penzoloni sulla sedia di plastica del bar, proprio all’angolo della strada che portava al cantiere. Il giallo ocra del solleone assediava col suo riverbero ogni cosa, lasciando un alone che sbiadiva i contorni di ogni oggetto su cui si posava, fino a deformarne le sembianze. “Hai visto che cos’hanno detto quegli stronzi? Sono dei capitalisti di merda. Anour, qua nessuno ci tutela. Te l’ho detto. Io sono solo uno sporco tunisino. Devo lavorare e stare zitto, calare le corna e non fiatare. E tu sei un altro poveraccio, un cornuto destinato a montare le impalcature e a salirci sopra. Lavoriamo in nero, compa’, lo capisci? Dobbiamo dargli un bel calcio e mandarli a quel paese, a questi magnacci. Ti rendi conto? Noi rischiamo per 10 euro al giorno la nostra stessa vita. E loro se ne fottono”.

Giuseppe parlava ad Anour vomitandogli un fiume di parole addosso - “Che cosa vuoi farci? Tu ormai hai vent'anni, io l’altro ieri ne ho fatti quarantacinque. E se non porto a casa la pagnotta, mia moglie mi rifà i connotati”, gli ripeteva gesticolando a ogni parola, come a farglielo entrare meglio in testa. Anour ormai conosceva il siciliano come le sue tasche. La prima parola che aveva imparato era travagghiu. “U travagghiu ca nun avemu”, perché il loro, carpentieri pagati in nero con dieci euro a settimana, proprio travagghiu non era. Diciamo pure che ci assomigliava, ma molto vagamente. Era qualcosa per accomodare, per tirare a campare in attesa di qualcos’altro. Di un mestiere più remunerativo, che permettesse ad Anour di comprarsi una casa e di lasciare l’ostello. E a Giuseppe di sfamare un po’ meglio la sua famiglia composta da una moglie e quattro figli: due femmine e due maschi. “U niuru”, così lo chiamavano. Anour era sbarcato a Lampedusa con solo un paio di jeans e una maglietta addosso. E sulle spalle una sacca stracolma di speranze. Non era stato facile attraversare il canale di Sicilia in 100 su un gommone. Ma in fondo Anour sapeva di essere stato fortunato. Tanti, prima di lui, erano morti annegati in mezzo a quel mare. Lui se l’era cavata con un po’ di nausea, un arrivo frenetico e la faccia un po’ stralunata. Giuseppe l’aveva conosciuto per caso, in un centro di accoglienza dove lo avevano trattenuto per i soliti controlli. Era un omone grosso così, con una pancia turgida simile a un cocomero pieno d’acqua. Prima ancora di cominciare a parlare, i due incrociarono per caso i loro sguardi. Ancora non lo sapevano, ma c’era qualcosa che li legava a doppio filo: nessuno dei due aveva un lavoro.

-“Certo che sei davvero strano. Ti ho detto che quando la gente ti dice di spostarti, devi toglierti di mezzo. Punto e basta. Non devi guardarli con quella faccia da minchione. Ti fanno capire che sei uno sporco marocchino? Non cadere nel loro gioco, altrimenti ti fanno a polpette. Se solo gli fai capire che ci rimani male, non hai scampo. Sei fregato”, diceva Giuseppe mentre s’incamminavano verso il quartiere più popolare della città. Anour era appena arrivato e certe cose le doveva sapere. Quella sera girarono tutte le bettole della zona. Ormai erano avvolti dall'odore acre di calamari fritti che i camerieri cucinavano davanti alle trattorie. –“Lo sai come si fa? Ascoltami bene. Per camminare da queste parti, uno come te deve avere per forza la patente. E tu per ora non ce l’hai. Quindi puoi camminarci solo con me. L’hai visto che cos’è successo? Abbiamo appena fatto 100 metri e tutti a chiedermi: a questo chi è? Da dove viene?”. N’ travagghiu ca fa sulu soddi jè n’ travagghiu mischinu. Niuru com’a ttia”, gli gridavano dalla piazza tutte le sante mattine, quando Anour passava che era ancora l’alba e i suoi molestatori si radunavano lì, per la granita di caffè con panna e brioche. Ormai un rito. -“Dobbiamo cercarci un lavoro vero – continuava a ripetere Giuseppe con la bava alla bocca, mentre spalmava il cemento come fosse nutella - Altrimenti la gente, quando t'incontra, continuerà a dire 'Mischinu, mi fa pena'. E' questo che vuoi, la pena, il disprezzo, gli sputi caldi addosso? E poi cominceranno a dire che siamo disonesti e ci disonora, lo capisci? E a te ti fa di nuovo imbarcare per tornartene da dove sei venuto. Qua funziona così. Una cosa te la devi guadagnare sputando sangue dalla bocca, perché non c'è niente per nessuno. Per quelli come noi c'è solo la fame. ‘Sti politici di merda non sistemano più nessuno. Per un posto ti fanno crepare. Gente che per il potere si venderebbe la madre. E di noi non gliene frega un bel niente. Siamo buoni solo a dargli i voti. E poi, una volta eletti, ci danno un bel calcio nel sedere. Solo i loro comodi sanno fare. Tanto loro il culo al caldo ce l’hanno. E i loro parenti pure. Dobbiamo muoverci da soli. Ci vediamo domani, ti vengo a prendere all’ostello. Diceva mio zio, buon’anima, megghiu futtiri ca cummannari. A proposito: se non ti muovi, restiamo fottuti per davvero”. /…




Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 1 aprile 2011

Con l'affaire Borselli il Pdl ci guadagna


Corre sul filo di lana l’equilibrio instabile tra politica e spettacolo. Una contaminazione vincente, un groviglio ormai inestricabile, soprattutto all’interno del Popolo della libertà. Rino Formica docet: più che mai tempo di nani e ballerine. E voilà, soubrette mozzafiato zampillano di luce ispirata, studiano bene il copione, lavorano sull’immagine rendendola il più possibile sobria e professionale, si scrollano di dosso scollature vertiginose, ombretti sgargianti e minigonne inguinali per vestire i panni di un credibile cambiamento repentino, camaleontico ma deciso, in tailleur di raso lucido. In principio fu Gabriella Carlucci, pupilla di Enzo Tortora, reginetta di Rete 4, che nel 2001 approda alla Camera tra i banchi di Forza Italia (attualmente ricopre il ruolo di presidentessa del comitato bicamerale per l’infanzia). Poi nel 2004 tocca a Elisabetta Gardini scivolare dal tubo catodico direttamente in Transatlantico. Ora l’attrice-presentatrice è dal 2008 europarlamentare.


Nel 2006 eclatante è il caso di Mara Carfagna, passata grazie alle dritte di astuti consiglieri da telegatti e paillettes al mesto caschetto e al piglio concentrato di deputata, per poi essere nominata nel 2008 di impegnata ministra per le Pari opportunità. Infine Barbara Matera, ex attrice di fiction e signorina “buonasera” di Raiuno, dal 2009 europarlamentare nelle liste del Pdl. Presentando la sua candidatura, Silvio Berlusconi aveva commentato dicendo: « Barbara Matera è laureata in scienze politiche, me l’ha consigliata Gianni Letta, è la fidanzata del figlio di un prefetto suo amico. Ecco, ha fatto una parte in Carabinieri 7 su Canale 5, ma mai la velina”. E Antonio Ricci ci rimarrebbe male.


Il comune denominatore? Tutte in lizza per un posto al sole, ma soprattutto per la campagna pro gnocca cum cervello. L’ultima in ordine di tempo è lei, Hoara Borselli, ex compagna di Walter Zenga, ex soubrette del Bagaglino, danzatrice provetta a Ballando con le stelle, dal 10 marzo fedele collaboratrice del ministro Ignazio La Russa al ministero della Difesa. “Un affare”, lo ha definito l’entourage del ministro, alludendo probabilmente allo stipendio percepito dalla signora Borselli, 16.120 euro annui, ovvero 800 euro al mese. Pecunia non olet. Ma la causa è nobile: abbellire la politica, renderla più appetibile. Quindi la Borselli non solo ha accettato senza un attimo di esitazione, ma si è subito messa al lavoro per i 150 anni dell’Unità d’Italia e già il giorno 17 ha presentato il concerto della fanfara del Comando artiglieria contraerei dell'Esercito in piazza di Spagna. Sexy ma con garbo. Gnocca ma con la testa. I criteri di selezione naturalmente sono “a discrezione del ministero”, fanno sapere gli scagnozzi di La Russa. Meglio di così… C’è solo un curriculum meno telegenico gettato alle ortiche.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)