mercoledì 26 maggio 2010

Josè Mourinho, mastino dei Baskerville, conquista le donne. Ma solo come amante

La donna italiana è denim. Si smacchia facilmente, non si stira, è versatile e tiene bene in tutte le stagioni. Proprio come il tessuto jeans, che quest’estate sarà il vero protagonista di abiti, scarpe, borse e accessori. Ma la donna italiana è denim soprattutto perché riuscirebbe a farsi stropicciare senza fare una piega. A patto che a farlo sia uno come Josè Mourinho, la star del calcio italiano, il semidio del goal, il prototipo dell’uomo vincente e di successo. Ma soprattutto di carattere. Ecco perché da oggi Mourinho è anche l’amante ideale, la meravigliosa creatura capace di accendere la miccia nell’immaginario erotico femminile, uno dei pochi veramente capace di risvegliare i desideri proibiti delle italiane. Lo rivela un sondaggio commissionato dal settimanale “Diva e donna” all'istituto Euromedia Research. Alla domanda 'Che ruolo vorrebbe che ricoprisse nella sua vita?', il 48 per cento delle italiane ha risposto: "L'amante". Perché "ha una personalità irresistibile. E' un vero maschio", ha detto il 35,6 per cento delle intervistate, nella fascia tra i 25 e i 44 anni.

Così dopo una Coppa Italia, lo scudetto e la Champions League, c’è un altro tiro a segno per l’allenatore dell’Inter, ormai prossimo al Real Madrid. Il 29,2 per cento delle signore, su un campione rappresentativo della popolazione femminile italiana, dai 18 anni alle over 65, lo ha incoronato "il più sexy del mondo dello sport". Scorza dura e cuore tenero? Si spera, ma non troppo. In fondo la regola di “Teorema” è sempre valida e profondamente vera: “prendi una donna, trattala male”. E lei… Cadrà disperatamente ai tuoi piedi. Proprio come conferma il risultato di questo sondaggio. Anche se le donne italiane hanno precisato: Mourinho col suo caratteraccio e con le sue sfuriate, gioca bene nel ruolo di amante, mica in quello di marito/compagno. Le donne italiane saranno pure denim, ma solo nel mondo dei sogni…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 19 maggio 2010

Renzo Bossi, il Peter Pan della politica nordista. E non chiamatelo raccomandato. Al massimo, trota

Meglio un giorno da trota che cento da delfino. Renzo Bossi, il figlio del senatur,
amorevolmente definito dal papà “la sua trota” gioca a fare il duro, il puro, l’antitaliano, il politico, quello che ce la fa. A sostenere il peso di un padre che lo guida mano per mano nella selva dorata della politica, che lo candida a soli 22 anni al consiglio regionale della Lombardia. A professare una sola fede, quella per il federalismo. A cambiare le carte in tavola, smentendo di aver nominato Eliana Cartella, che sarebbe stata vista con Mario Balotelli, come sua fidanzata, a riprendersi da una sonora tripla bocciatura alla maturità che fece insorgere l’Italia intera, e a recuperare agli occhi dell’opinione pubblica iscrivendosi misteriosamente in un’Università straniera.

Il padre lo ha definito la sua trota, è vero. Meglio che delfino. La trota naviga in acque dolci e tranquille, non è soggetta a complessi d’inferiorità tipici del rapporto allievo-maestro, né tantomeno a ritorsioni dell’ultima ora, accetta di buon grado i rimproveri e le pacche sulle spalle e pure qualche sberla. E così l’erede politico del leader fondatore della Lega Nord, ovvero il suo amato figlioletto, con fare disinvolto, timbro impostato, rinnega l’Italia e inneggia alla Padania, ma poi dimostra disinvoltura nel godere dei privilegi offerti da Roma ladrona, come quando in tempi non sospetti accettò di fare l’assistente parlamentare, per intenderci il cosiddetto “portaborse”, del deputato europeo della Lega Francesco Speroni e pare che si mettesse in saccoccia qualcosa come 12.000 euro, che non fanno mai male.

Il figlio del senatur è giovanissimo ma ha già le idee molto chiare: alla consegna del tapiro d’oro da parte di Valerio Staffelli di Striscia la notizia ha risposto sicuro di sé e pronto a difendere la sua privacy. Ora, dopo essersi schermito da parecchie critiche e qualche sberleffo, con la stessa espressione del padre stampata in faccia, un volto da vero guerriero, affina le armi e punta sul carattere. Ergendosi a paladino dei “figli di…” inevitabilmente raccomandati (non è colpa loro, poverini), favorevoli ad assecondare le poche bizze di un destino già tracciato, ma sforzandosi di dimostrare a tutti i costi che le proprie qualità. Oltre gli sponsor. Per fare schiattare così d’invidia la folta schiera dei denigratori. Se poi si bruciano le tappe e si arriva alla ribalta viaggiando su una corsia preferenziale senza troppi esami da superare, poco importa. C’è sempre tempo per dimostrare qualità e merito. Non è questa la priorità. L’Italia non è certo un Paese meritocratico. E la Padania neppure.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 17 maggio 2010

Se ce l'hai grosso come Cyrano, il naso, respiri meglio

A naso si direbbe che con Cyrano De Bergerac la natura è stata benevola. Un naso come il suo non solo ha immortalato per sempre le sue doti da abile spadaccino tra le pieghe dell’opera teatrale di Edmond Rostand. Ma oggi, a tutti i Cyrano del 2010, copie più o meno conformi, regala addirittura qualche boccata d’aria più sana. Infatti a loro i vortici malevoli di smog, le nuvole di polveri sottili che si rincorrono nell’atmosfera, insidiando la purezza e il candore dell’aria che respiriamo, non li intaccano più di tanto. E così quel tratto somatico deturpante, antipatico, antiestetico, grande e grosso e privo di grazia non è più un difetto da correggere dal più fidato dei chirurghi estetici, ma ora sarebbe, oltre che un segno di personalità, anche un prezioso alleato contro l’inquinamento, i germi e perfino la rinite allergica.

Lo rivela una ricerca pubblicata su Annals of Occupational Hygiene. L’esperimento ha previsto la creazione, da parte di alcuni scienziati dell’Università dell’Iowa, di due nasi artificiali. Uno normale, l’altro grande il doppio. Entrambi su due teste finte. Attraverso un tubo posto nella bocca artificiale è stata poi insufflata aria che conteneva una vasta gamma delle più comuni particelle che tutti respirano abitualmente. In seguito all’esame dei risultati, gli studiosi americani si sono sentiti in grado di affermare che la testa con il naso grande aveva respirato il 6.5 per cento in meno di particelle. «Un naso sporgente offre una migliore protezione per la bocca- ha dichiarato Renee Anthony, ricercatore del Department of Occupational and Environmental Health dell’Università dell’Iowa, che ha coordinato lo studio – abbassando i rischi di infezione e rappresentando una migliore barriera contro i pollini». Tra gli scienziati c’è già chi ha cominciato a sollevare un polverone di scetticismo. Però adesso, almeno a naso, si può affermare che chi ce l’ha un po’ troppo grosso, quantomeno in fatto di salute, può dormire sonni tranquilli.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 13 maggio 2010

Marco Pannella come Lord Byron: un uomo che ha “svoltato”. Ma i parvenu ancora no

Un molesto chiacchiericcio s’insinua nell’aria rendendola asfissiante. Tutto parte dalla mansarda di Marco Pannella nel cuore di Roma. La questione è ben nota. Il nastro è stato già registrato. Il direttore del Tg5 Clemente Mimun intervista il leader radicale per il settimanale “Chi” di Alfonso Signorini. Pannella rispolvera il suo piatto forte: fave e pecorino. Poi, serve a Mimun sul vassoio d’argento un dessert appettitoso, subito assaggiato da Dagospia: “Ho avuto tre o quattro uomini che ho amato molto, ma non c’è mai stata alcuna gelosia con Mirella (la sua compagna di sempre)”. E’ la storia del cavallo bianco di Garibaldi. La scoperta dell’acqua calda. L’uovo di Colombo. E tutti daccapo lì a parlarne, a spettegolare, a criticare inorriditi. Si riarma l’ esercito di moralisti del bello e del cattivo tempo, bacchettoni per sport e per passione, aspiranti parvenu della vecchia guardia o dell’ultima ora. Perché la vera perversione è la critica moralistica.

A dirla tutta, l’outing di Marco Pannella risale a un bel po’ di tempo fa. Senza contare poi il fatto che la notizia circolava da un bel po’ negli ambienti politici. Così come si sapeva del legame tra lui e i suoi “ragazzini” radicali. Quindi quale sarebbe la notizia? Semmai che a ottant’anni suonati Pannella non si pente di nulla, si racconta, e racconta la sua passione per la vita, con quel sogno nel cassetto di un’alternativa liberale, a suo parere ancora possibile. Eppure è da giorni che non si parla d’altro: della sua bisessualità dichiarata. Mica della sua speciale amicizia con Benedetto Croce, dei suoi storici digiuni, delle numerose battaglie per il divorzio e i diritti civili, cose anch’esse ben note, ma che non farebbe male ricordare soprattutto alle nuovissime generazioni. E invece? Tutti a parlare della sua bisessualità. Solleticando la pruderie gossippara che banalizza tutto alla questione dei gusti e degli orientamenti sessuali. Vecchia storia già feconda nell’antica Grecia (Socrate e Platone, Saffo e le sue allieve del tiaso, ecc.). Ma tale da rendere improvvisamente l’animale politico di aristotelica memoria un’icona di trasgressione, il totem della perversione, il santo protettore dell’ambiguità.

Che grande novità. Si fa finta di non sapere che la bisessualità in certi ambienti è come il prezzemolo. Diffusissima in politica, nei cenacoli letterari, tra gli scrittori, in tv, nel mondo dello spettacolo. E sempre di più. Anche se spesso chi lo è tende a nasconderlo. Pochi infatti hanno la disinvoltura di Pannella, la sua personalità. Il punto è un altro: inutile scandalizzarsi più di tanto. E’ come dire che Lord Byron è diseducativo. Lui che ebbe una moglie che probabilmente ha amato a suo modo, parecchi amori omosessuali e un disperato bisogno d’affetto. Al suo tempo volevano perfino punirlo con la forca o con la gogna, per aver commesso quella che era considerata una vera e propria offesa capitale. Oggi, nel 2010 mica siamo tanto lontani se la sessualità ambigua di Marco Pannella rappresenta ancora un caso nazionale. Per tornare a Byron, bisessualità a parte, una cosa è certa: perdersi tra le pagine di “Cielo e terra”, de “Il sogno” o de “L’assedio di Corinto” è un miracolo che si ripete sempre. A testimonianza del fatto che quella dei chiaroscuri personali è tutta un’altra storia…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 11 maggio 2010

Dammi tre parole: fiction, cuore e amore. E dal prossimo autunno Federico Moccia arriva in tv

Il grande salto? Il salto al grande pubblico? Speriamo non sia il salto della quaglia. Dal cinema alla televisione. A traghettare in tv l’amore fragile come cristallo e fresco come l’adolescenza in fiore e in piena tempesta ormonal-sentimentale di Federico Moccia ci pensa la fiction, genere sempre più appetibile anche per attori del nostro cinema come Alessio Boni (l’ornitologo svitato di “Tutti pazzi per amore 2”), che finalmente hanno deciso di non snobbarlo più. Così dal prossimo autunno, “Scusa ma…” sarà per le reti Mediaset la nuovissima serie tratta dai due film “Scusa ma ti chiamo amore” e “Scusa ma ti voglio sposare”. Federico Moccia si spoglierà del ruolo di regista per prendere in mano le redini del soggetto e occuparsi delle linee narrative. Sulla scia di Alessio Boni, Raul Bova, uno mai stato con la puzza sotto il naso, sarà anche sul piccolo schermo Alex, mentre nel ruolo di Niki non ci sarà Michela Quattrociocche, ma un’altra attrice giovane e popolare, il cui nome però è ancora top secret.

Moccia chiude il cerchio, entrando a pieno titolo nel novero del più popolare cantore dell’amore adolescenziale di contemporanea memoria. Un'istantanea sul mondo degli under 30. Un prodotto perfetto per ragazzine alle prime armi, che sanno tutto del sesso ma ancora troppo poco in fatto di educazione sentimentale. Ma forse non per spettatori poco sprovveduti e ormai abbondantemente smaliziati. Eppure si preannuncia già l’ennesimo successo di pubblico. Del resto Moccia, anche e soprattutto per partito preso, non ha mai voluto essere un “prodotto di nicchia”, di quelli per intellettuali insofferenti, esigenti, annoiati e perennemente insoddisfatti. Moccia fa il filo a un pubblico “vergine”, scarsamente “politicizzato” ma sintonizzato 24 ore su 24 sugli sfilacciamenti esistenziali, sugli scivoloni del cuore, sulla pruderie consumistica, il “mordi e fuggi” quotidiano, lle gelosie e le ripicche dell’umana miseria. Moccia è uno di loro, dei pariolini della Roma bene ma anche dei ragazzi della media borghesia cresciuti nei quartieri residenziali di ogni città d’Italia, mostriciattoli imbevuti di consumismo ed educati per bene dalla pubblicità, sfornati con lo stampino. Sono i tipi e le tipe della generazione Internet, o Y come la chiamano i sociologi, tutta web e video, quelli che si lasciano con un sms ma sono “ragazzi con un gran cuore, pieni di sogni e con tanta voglia di innamorarsi”, giura Moccia. Legittima difesa dei suoi piccoli “mocciosi”, pronti a rivedersi nell’ennesima serie tv.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 8 maggio 2010

Fiocco rosa in casa Mediaset. Dal 12 maggio arriva “La 5”, la tv-ghetto per sole donne



Strizza gli occhi alle teenager in calore e alle trentenni (es)agitate. E’ femmina. E’ rosa. A sparigliare la terna Canale5-Italia1-Rete4 ci pensa “La 5”, il nuovo canale gratuito Mediaset che dal 12 maggio inonderà col suo palinsesto 24 ore su 24 la galassia caotica e affollata del digitale terrestre.

Un apartheid televisiva in piena regola. Visto che il nuovo canale si rivolge a un pubblico esclusivamente femminile. Il direttore di Canale 5 Massimo Donelli spiega che il target del nuovo canale sarà quello delle donne tra i 15 e i 34 anni curiose, volitive, tecnologizzate e capaci di vincere le proprie sfide personali, ragazze normali e non veline. E invece? Testimonial de “La 5” sono proprio loro, le veline Federica e Costanza, insieme ad Alessia Marcuzzi, Geppi Cucciari, Marco Carta e all’immancabile Silvia Toffanin, che alle ultime settimane di gravidanza incarna bene il concetto di un nuovo arrivo. E a quasi un mese di distanza dal battesimo di “La 7 d”, il canale de La 7 dedicato alle donne, ecco sfornato da Mediaset un duplicato ben confezionato. La tv ghetto, quella che relega le donne al ruolo di spettatrici commosse di frivole soap opera americane, flaccidi filmetti strappalacrime, patetici talk show, e quant’altro serva a mortificare anni e anni di agguerrito femminismo, di battaglie sull’orlo di una crisi di nervi per la tanto agognata parità con gli uomini, concetto terrificante. Macché parità. Il protagonismo delle donne ha fagocitato l’universo maschile impallidendone l’immagine, relegando l’uomo al ruolo di mammo sconsolato. E se la tv è lo specchio dei tempi, un canale come “La 5” ne è la naturale conseguenza.

Questa tv a programmazione sessista e femminista potrebbe davvero aiutare gli uomini ad allontanarsi sempre di più, magari anche con un certo senso di nausea, dal mondo delle donne, acuire il conflitto tra i sessi, anche se per fortuna le quote rosa nelle liste elettorali si sono scolorite. Sarebbe bello un giorno creare un canale per uomini stanchi, annoiati, antipatici o depressi. Un canale tutto per loro.
Intanto però si pensa alle donne, per consolarle del troppo poco potere che ancora oggi esercitano, del fatto che ai vertici ci sono quasi sempre gli uomini, e in giro si respira ancora un maschilismo imperante. Ma se poi a guardare “La 5” ci scappa per sbaglio qualche spettatore maschio rimasto a casa a farsi la ceretta? Eh no, bollino rosso. Non conviene. Molto meglio cambiare canale…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 3 maggio 2010

Un nuovo Sexgate all’ombra della Casa Bianca?

Ci risiamo. La storia è ciclica, Polibio docet. E Bill Clinton anche. Dodici anni dopo, a Washington aleggia il fantasma di un altro sexgate pronto a imbrattare con tanta miseria e pochissima nobiltà le pallide mura della Casa Bianca. Lei è Vera. Ma non si sa fino a che punto. Lui è Barack e il presidente degli Stati Uniti lo fa per davvero. Insieme per una “calda notte” in albergo? Secondo il National Enquirer sembrerebbe proprio di sì.
Rapido balzo all’indietro. Obama è solo un brillante self-made –man di colore nel pieno di una promettente carriera politica. Sono i tempi della sua candidatura al Senato. La Baker, che oggi ha 35 anni portati splendidamente, all’epoca raccoglieva fondi per candidati neri e aveva pure fondato un gruppo che si occupava di questo. L’autista che portava in giro Obama durante la campagna elettorale avrebbe raccontato di aver lasciato i due in un albergo di Washington, dove la Baker però non alloggiava (in quel periodo viveva in città).

Ma non ci sono prove. Nessuna foto, nessun video. O meglio, il video ci sarebbe, grazie alle telecamere interne dell’hotel. E’ solo che alcuni «top anti-Obama operatives» offrono un milione di dollari per darlo in pasto a una stampa assetata di scandalo. Manovra politica dei repubblicani in crisi di astinenza governativa? La sacrosanta verità, che allora fece infuriare più che mai la salutista e supersportiva Michelle? Comunque Vera Baker a un certo punto aveva deciso di togliersi di mezzo, dissolvendosi come una zolletta di zucchero in un bicchiere d’acqua. Se n’era andata a lavorare come broker alla Martinica. Meglio allontanarsi dal polverone, vero o presunto che sia. Attorno a lei, un gran mistero. La voce «Vera Baker» su Wikipedia appare con un lucchetto («è bloccato l’editing») e una riga rossa a fianco dell’annuncio «stiamo valutando se cancellare quest’articolo». Ma la fuga non durerà a lungo. Internet può. Anche se chiamarsi Lewinsky 2 non dev’essere per niente esaltante…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)