domenica 31 agosto 2008

Stavolta restare a galla non serve. E' molto meglio affondare

Un progetto del comune di Catania, finanziato dal ministero dell’Interno: City Lab “Natura senza barriere”. Un obiettivo ben preciso: permettere ai disabili di praticare le immersioni subacquee. E di farlo esattamente allo stesso modo dei normodotati. Perché i disabili non sono “soggetti inferiori”. Martino Florio (41 anni, in carrozzella) e Benedetta Spampinato (24 anni, non vedente) vivono la disabilità non come un limite. E lo hanno dimostrato coi fatti che, come sempre, valgono più di mille parole.

Mica un semplice tuffo dove l’acqua è più blu. Quella di Martino Florio e Benedetta Spampinato è stata un’immersione subacquea in piena regola. A metà mattina, nel molo sud del porto di Aci Trezza, i due (l’uno in carrozzella, l’altra non vedente, entrambi record del mondo rispettivamente con -51 metri e con -47) si sono inabissati nei fondali marini, per estraniarsi dal mondo e gustare fino in fondo l’atmosfera salina di un’altra realtà, fatta di pesci, relitti, magici fondali che hanno il sapore del mistero.

Ha tutti i contorni di una fiaba di Andersen, la giornata conclusiva di City Lab, “Natura senza barriere”, progetto del comune di Catania finanziato dal ministero dell’Interno (dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione – fondo Lire Unrra 2007) e realizzato con la supervisione della prefettura di Catania (all’immersione era presente anche Anna Maria Polimeni, viceprefetto vicario). Partner dell’iniziativa, il comune di Aci Castello, attraverso il consorzio dell’Area marina protetta.

Un corso di 138 ore, iniziato a giugno, che ha visto una serie di istruttori guidare, nelle fluttuanti scorribande sott’acqua, i disabili. “Perché è bello sentirsi parte di uno spazio in cui potersi muovere in totale libertà, dove-specialmente per noi disabili- non ci sono più barriere”, racconta Benedetta, un attimo prima di salire sul gommone che l’avrebbe portata in alto mare. “Sì, è così. Anch’io sott’acqua mi sento totalmente libero”, spiega Martino.

Gioca in casa l’assessore al City Lab, Sebastiano Arcidiacono: “Sono nato ad Aci Trezza ed è bello rivedere i suoi fondali ripopolati di pesci. Ho un bellissimo rapporto col mare, quando mi immergo vado solo in apnea”. Un fragoroso plauso all’iniziativa, quello di Raffaele Stancanelli, arrivato al porto in giacca e cravatta. “Potevate dirmelo che dovevo salire anch’io sul gommone. Sono uno sportivo, mi sarei vestito adeguatamente”, scherza. E, subito dopo, la cravatta se la snoda davvero.

Riguardo al progetto, sottolinea il nuovo primo cittadino etneo: “Già nel corso della mia esperienza di assessore alla famiglia, ho sperimentato che e risposte semplici sono la cartina di tornasole per accertare il grado di civiltà di una comunità”. Poi, anticipa: “ Uno dei miei assilli è quello di riuscire a sanare le difficoltà che ci sono per pagare gli arretrati nei servizi sociali”. Al termine del corso, ai partecipanti è stato rilasciato il brevetto HSA (Handicapped Scuba Association) Dive Buddy, valido in Italia e all’estero.

Il progetto ha avuto un leit motiv nobile. Permettere anche ai disabili di godere delle bellezze che la natura ci offre e di praticare uno degli hobby più emozionanti, quello della subacquea, senza alcuna discriminazione, ma proprio come fanno i normodotati. Tant’è, in questi casi, molto meglio precipitare nei sensuali abissi marini. La regola di restare a galla a tutti i costi per non affondare, stavolta non vale.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 30/08/2008

venerdì 29 agosto 2008

Barack Obama e il suo telegenico sogno di gloria

We have a dream. Che Barack Obama possa continuare a predicare bene e cominciare a razzolare ancora meglio. Perché il buon proposito esposto nel suo memorabile discorso alla nazione nello stadio Invesco di Denver, con effetti speciali degni del cinema di Hollywood, è dei più nobili: cioè che l’America riesca a tornare davvero grande e a mostrare il suo vero volto, non di certo quello messo in vetrina da George Bush. E così, dopo la pubblica benedizione della ex rivale seminata per strada, Hillary Clinton, Obama ha fatto capolino dal pulpito, neppure troppo timidamente. Tono deciso, volto sorridente e, come sempre, da copertina. Denti perfetti e bianchi come mandorle appena sgusciate, sorriso magnetico, sguardo marpione, linguaggio accattivante, come si dice “ a effetto”. Insomma, Obama è apparso con tutte le carte in regola per avere successo, nella vita come in politica. Tutto si è svolto secondo copione, essendo stato preparato con cura e studiato nei minimi dettagli.

Del resto, la politica è un grande show mediatico, negli Usa ancora più che a casa nostra. E, si sa, ogni show che si rispetti, se è ben fatto, deve saper tenere incollati gli spettatori per l’intera durata. In questo caso, così è avvenuto. Certo, anche per merito di un team di lusso, che ha ben guidato l’unico candidato democratico in lizza alle presidenziali, che ora si sta allenando a percorrere gli ultimi chilometri in vista del possibile traguardo. Perché la Casa Bianca è sempre più vicina e, paradossi del III millennio, potrebbe davvero essere abitata per la prima volta da un nero.

Un discorso, quello di Obama a Denver, attesissimo, che ha messo in luce le linee programmatiche di una politica all’insegna della discontinuità netta con il candidato uscente, colpevole di aver “ indebolito l’economia e offuscato l’immagine degli Stati Uniti nel mondo”. E già, offuscare l’immagine non è roba da poco. Anzi, è una vera tragedia, specie per uno come Obama, che in questa agguerrita campagna elettorale all’ultima dichiarazione, sull’immagine ha puntato davvero tutto.

Il suo avversario, il repubblicano John McCain? Beh, secondo Barack, se venisse votato lui, sarebbe come consegnare a Bush un terzo mandato. Ma, dal punto di vista umano, nessuna condanna: “ Non è un uomo cattivo, è solo che non riesce a cogliere la portata dei problemi del Paese, magari non li conosce bene”. Ironia sferzante, senza mezzi toni, nell’ultimo (si fa per dire) atto di una guerra combattuta a suon di telecamere, slogan, populismi vari e una serie di colpi bassi mediatici.

Ad ascoltare l’afro-americano, nello stadio Invesco di Denver, c’erano 80.000 persone. E le televisioni di tutto il mondo. C’era perfino Walter Veltroni, l’Obama de’ noantri, o quantomeno uno che gli vorrebbe assomigliare dal primo pelo fino all'ultimo.

In fatto di economia e di politica estera, Obama ammicca gli eventuali elettori con un secco no alla dipendenza degli States dal Medioriente in fatto di petrolio. In dieci anni, l’obiettivo dovrebbe essere realizzato.


Immancabile, poi, 45 anni dopo, il suggestivo richiamo al sogno di Martin Luther King. Che in bocca a Obama diventa un auspicio possibile a vivere in libertà, ma sempre con l’obbligo della dignità e del rispetto reciproco, per far tornare grande l’America. Dovrà accontentarsi chi si attendeva l’ennesima utopia idealistica, o peggio, un deciso e inequivocabile "vogliamo di nuovo il mondo ai nostri piedi" .


Ecco, alla fine Obama tutto sommato si è limitato a esprimere un sogno realistico. Segno dei tempi. E i tempi cambiano. Non sarà che gli Usa (certo, è ancora presto per dirlo) hanno un po’ ridimensionato la loro urticante vena megalomane?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 25 agosto 2008

Pietrangelo Buttafuoco- Edoardo Bennato: un moderato incontro di boxe

Sarà che c’era caldo, molto caldo, sarà che la pietra lavica del Castello Normanno di Aci Castello era ancora infuocata dal sole che di giorno la penetra in profondità, sarà che Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore e presidente del teatro Stabile di Catania, stavolta aveva il bavaglio spalmato di miele ed Edoardo Bennato si era abbandonato al pieno relax di una sera di fine estate, travolto dall’onda di un glorioso passato da guerriero del rock, eversivo e controcorrente.

Sarà per tutto questo che l’attesissimo secondo appuntamento de “La fortezza del libro”, organizzato grazie al prezioso contributo del sindaco di Aci Castello Silvia Raimondo, da un vivace duello all'ultima domanda si è presto trasformato in un'amabile conversazione en plein air. E, alla fine, il pubblico è stato premiato con un lieto fuori programma: tre celebri brani (“Abbi dubbi”, “Sono solo canzonette” e “Il gatto e la volpe”), suonati live dallo stesso Bennato con tanto di chitarra, tamburello e fisarmonica. La stessa che lo accompagna fin dagli esordi, quando scalciava nel cortile Bagnoli, ai Campi flegrei, “l’Afghanistan di Napoli, dove ci si ribella a qualsiasi cosa, perfino alla napoletanità”, dice. Non ha cambiato pelle.

La faccia ruvida da cattivo ragazzo ce l’ ha ancora, e la schizofrenia (come lui stesso la definisce), anche. “Perché il rock è soprattutto questo-dice- abbattere i luoghi comuni, scardinare le regole, cambiare le carte, che non significa confondere le idee, ma anzi resettare”, precisa. Oggetto del contendere è “Così è se vi pare” (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 207, € 16,50), un libro scritto dall’amico d’infanzia Aldo Foglia, che-come rivela lo stesso Bennato- gli è costato la fine di un’amicizia (“certe cose proprio non doveva scriverle, non perché non siano vere, ma perché non volevo che saltassero fuori”). “Ma lui ha un dono- sottolinea Buttafuoco, richiamando un lusinghiero giudizio di Francesco De Gregori – si lascia attraversare dalle emozioni che con la sua chitarra amplifica e così riesce ad arrivare in qualsiasi angolo, a fermare tutti (intere città, generazioni)”.

Quella chitarra, oggetto cult dei musicisti, divenuta oggi sempre più evanescente: “Che fine ha fatto tra gli adolescenti?”, si chiede a voce alta Buttafuoco. “Beh, a me serviva senz’altro per rimorchiare le ragazze”, ribatte senza troppi giri di parole Bennato. Che poi, rivolgendo lo sguardo su se stesso, si sofferma sulla sua filosofia di vita : “Sapete, io ho un problema: sono fuori da ogni stereotipo del rock, non ho mai fumato neppure una sigaretta, non faccio uso di droga, né di additivi di alcun genere. Insomma, sono un diversamente abile”, scherza.

Bennato va controcorrente anche sul fronte della politica. Laddove tutti cercano riparo all'ombra di una falsa e posticcia ideologia, lui ha sempre risposto e continua a rispondere picche. Tant’è che Buttafuoco gli fa notare che, certo, sarebbe stato chic essere di sinistra. Ma Bennato non cede, è un cane sciolto “a incasellarmi proprio non ci riesco”. Del resto le patenti qualche volta si rifiutano. Con coraggio, audacia, ma accade anche questo. Specie se si vuole provocare, scuotere.

Il libro, corredato da un cd, è condito al pinzimonio da tre inediti “particolarmente eversivi”, dice Buttafuoco. “Quando nel ’73 ebbi la patente per fare questo mestiere, mi invitavano ai festival di Lotta Continua, dell’Unità, ma erano situazioni particolari. Io feci subito capire che la mia bandiera era quella del rock e dell’eversione”, chiarisce Bennato. “Arrivano i buoni, brano rappresentativo dell’epoca, parlava di una società senza servi né padroni. Quel pubblico era esaltato e del tutto asservito a una mancanza di idee, ma non era stupido. Il messaggio arrivava.
Ma chi l’avrebbe detto che i cattivi erano poi così tanti”.

“Tanto, tu potevi parlare. Ti avevano dato la patente dell’egemonia culturale, quella per cui tutto è possibile”, interviene Buttafuoco, con aria serafica. “Sono un eversivo, ma anche un rinnegato. Devo protestare contro tutti e contro tutto, ma essere come Peter Pan, fuori dagli schemi e qualche volta anche dalla realtà”. Ma questo fa parte del gioco. “A chi è in mala fede, dico: non preoccupatevi, dopo tutto le mie sono solo canzonette”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 26/08/2008

domenica 24 agosto 2008

Cambio di guardia alla direzione de L'Unità Travaglio ruggisce contro Veltroni

Altro che maschilismo. Altro che discriminazione del gentil sesso. Il futuro è in mano alle donne. Sono loro ormai a portare i pantaloni, dentro e fuori casa, a tracciare le linee guida tra le lenzuola e fuori dal letto, insomma, a condurre il timone. E Renato Soru, il presidente piddino della regione Sardegna, nuovo editore de L'Unità, fresco di nomina, deve averlo capito, se ha deciso di affidare la direzione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci a Concita De Gregorio, ex repubblichina (nel senso del quotidiano “La Repubblica”, il giornale sul quale scriveva fino a ieri).

Scelta azzeccata secondo molti, un po’ meno per Marco Travaglio che, come al solito, vorrebbe far luce fino in fondo sulla liquidazione del direttore uscente Antonio Padellaro.“ Dal comunicato della proprietà - spiega Travaglio - non riesco a capire quali siano le ragioni per le quali Padellaro debba andar via. La parola multimedialità non mi dice niente e, anzi, mi fa venire l'orticaria. Sostanzialmente non viene spiegato nulla, fermo restando che la scelta rientra nelle prerogative dell’editore. È preoccupante che il disegno avviato tre anni fa con la cacciata di Colombo e rimasto incompiuto per la continuità garantita dalla direzione Padellaro, venga ora completato. Il problema non riguarda Concita De Gregorio, che è un'ottima giornalista e che mi auguro faccia benissimo, ma quello di capire i motivi per cui Padellaro debba andar via».

Travaglio fa risalire la decisione del cambio di direttore a un lavoro «negli ultimi tre mesi sottotraccia e negli ultimi tre giorni alla luce del sole» direttamente ai vertici del Partito democratico e in particolare al suo segretario Walter Veltroni. Tutto parte dall'intervista rilasciata da Veltroni al Corriere della Sera dopo l'acquisizione dell'Unità da parte di Renato Soru. Veltroni già allora «auspicava un "direttore donna". Perché, si chiede Travaglio, il segretario di un partito avanza la proposta di un cambio di direzione di un giornale che «non appartiene né a lui né al suo partito»? Secondo il giornalista è il completamento di un «disegno avviato nel 2005, quando Furio Colombo fu defenestrato dopo mesi di mobbing praticato da ben noti ambienti Ds, insofferenti per la linea troppo autonoma, troppo aperta, diciamo pure troppo libera del giornale».

Il mondo della politica, da Pollastrini a Gentiloni, da Di Pietro a Capezzone, ha ringraziato Padellaro e augurato buon lavoro alla nuova direttrice. Ma chi è Concita De Gregorio? Nata a Pisa nel 1963, è cresciuta a Livorno. Si è laureata in Scienze politiche e ha iniziato a lavorare nelle radio e nelle tv locali toscane, passando poi al Vernacoliere e al Tirreno, dove per otto anni ha fatto la spola tra le redazioni di Livorno, Lucca e Pistoia. Nel 1990, finalmente il grande salto: approda a La Repubblica di Eugenio Scalfari, per occuparsi di cronaca e politica interna. Nel 2002 pubblica “Non lavate questo sangue”, diario dei giorni del G8 a Genova e un racconto per la rivista letteraria di Adelphi. Nel 2006 esce per Mondadori “Una madre lo sa”, tra i finalisti al premio Bancarella 2007, in cui racconta la fatica di essere madri (tra le altre cose, è madre di tre figli).

Segni particolari: un volto semi sorridente, un’aria discreta e composta, un tono di voce caldo e pacato.

Ma soprattutto, la De Gregorio è una delle poche donne che è riuscita a sedersi sulla poltrona della direzione di un giornale. Un lusso che prima di lei si sono potute concedere in poche. Il caso più recente riguarda il Secolo d’Italia, attualmente diretto da Flavia Perina. Più indietro negli anni va ricordato il tentativo di Pialuisa Bianco di risollevare le sorti dell’Indipendente (1994) e, in tempi ormai remoti, va ricordata l’esperienza di Matilde Serao al Mattino.

Nomina politica? Certo. Riscossa dell’esercito delle femministe in calore del III millennio? Neanche a parlarne. Anche se c’è da dire che ultimamente la “questione femminile” è diventata una cosa seria, perfino più seria dell’eterna e irrisolta “questione meridionale”. E il volo d'aquila delle donne naturalmente votate al comando o impantanate nel carrierismo isterico sta di gran lunga svilendo il volo radente delle sempre più esili eredi di Penelope (spesso per necessità, ma a volte anche, perché no, per vocazione), tutte casa, chiesa e palestra, il cui regno è il focolare domestico. Dunque, uomini, attenti, di voi potrebbe restare appena qualche traccia un po’ blanda e biodegradabile. Potreste fare davvero una brutta fine. Accartocciati e gettati via come un vecchio foglio di giornale.

Ma ora che cosa succederà in redazione? Sarà guerra tra i sessi? E chi può dirlo. Certo, la questione si pone. E' questo l'esito nudo e crudo di anni di battaglie per la parità. Ma la conquista dell’emancipazione sociale e sessuale che cos’ha prodotto? Eccolo, il risultato. Il maschio ora è in netta minoranza, arranca, incespica, è in affanno. Ma soprattutto, in balia delle gonnelle. Appena ne vede una che gli sventola accanto, suda sette camicie e non sa proprio come smarcarsi.

E le donne? E' lì che affondano la lama. Mica hanno pietà di questi poveretti? Macché. Attaccano il maschio di turno, quello si cui hanno puntato (per varie ragioni) gli occhi (e non solo) proprio come fa l’apide quando morde la sua preda. Peccato che qui non si gioca ad armi pari, perché le donne sanno bene come far scivolare e cadere la preda nella loro tana, e poi cucinarsela a fuoco lento. Le donne hanno capito tutto, hanno capito come usare il loro potere di femmine disinvolte e disinibite, azzannando al momento opportuno. E dell'arrendevole dolcezza o della delicata femminilità non sanno proprio che farsene. Le donne ormai hanno capito come farsi largo in tutti i modi e colonizzare ambienti che tempi addietro erano esclusivo appannaggio degli uomini. E lo hanno capito già da tempo.

E' vero tutto questo, ma è pur vero che in alcuni casi, per la verità (si deve ammettere) sempre più rari, oltre a un paio di rassicuranti tette artificiali o oneste, di un eccitante fondoschiena e di due promettenti cosce al vento, c’è dell’altro. E la De Gregorio avrà tempo e modo per continuare a dimostrarlo. Con la sua voce calda e il suo stile giornalistico avvolgente, sì, ma soprattutto col suo sobrio abbigliamento e un comportamento ineccepibile.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 22 agosto 2008

Eugenio Bennato: la folgorante voce del Sud

Si può saltare al ritmo della taranta per ben tre ore? Direi proprio di sì. E' esattamente ciò che è accaduto a piazza S. Pietro a Riposto (Giarre), dove Eugenio Bennato, col suo piglio intarantato, si è divertito a ubriacare coi suoi musicisti e i suoi coristi etnici un pubblico di tutte le età. Musiche migranti fa anche questo. E festeggia i suoi primi dieci anni quasi di fronte al porto turistico. In una località straordinaria, dove ad ogni angolo di strada si respira l'odore del mare e sembra di assaporare il pesce appena pescato. Gli amici di Amnesty International (un saluto particolare a Simonetta Cormaci!) ne hanno approfittato per raccogliere le firme per un appello rivolto al ministro degli Esteri Frattini, per chiedere accoglienza sanitaria, economica e legale per i sempre più numerosi (ormai sono circa 4,7 milioni) sfollati e rifugiati politici iracheni nel nostro Paese (per firmare gli appelli, potete cliccare su http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/73).

Io invece ne ho approfittato (la tentazione era davvero irresistibile!) per scivolare, al termine del concerto, nel backstage e parlare un po' con l'inossidabile Eugenio Bennato ( incredibile, a parte qualche goccia di sudore, avrebbe volentieri ricominciato a suonare!!). E così, ho partorito un'intervista, che potete leggere qui di seguito. Ah, mi raccomando: il prossimo appuntamento con lui sarà dal 26 al 30 agosto a Kaulonia, in terra di Calabria.


Per fortuna ci pensa la musica a fare ciò che nessun governo sta riuscendo a fare. Per fortuna ci pensa la musica a sanare i dissidi, a rimarginare le fratture tra i popoli ormai divenute voragini, a placare le ire guerresche. E lo fa scavando un profondo canale di comunicazione, di dialogo, di scambio. E’ questa la musica popolare di Eugenio Bennato, un sound coinvolgente, avventuroso, che- come la luce bianca filtrata da un prisma che si scompone in mille colori, quelli dell’arcobaleno- sintonizza sulla stessa lunghezza d’onda l’eco frastagliata del Mediterraneo. Una colonna sonora, la sua, di chi è sempre in viaggio, del migrante che non si ferma, ma vive sempre l’ebbrezza dell’attesa di approdare in porti lontani. E Bennato è così, sempre in viaggio, senza sosta, neppure per un attimo, neppure dal palco di Musiche migranti a Riposto, rassegna giunta alla sua decima edizione. E piazza S. Pietro assiste a quasi tre ore di concerto. Un’unica tirata senza sosta che Bennato regala al pubblico (a fine serata, non sembra voler smettere di suonare) in una delle numerose tappe di un tour in giro per l’Italia. In attesa di approdare, dal 26 al 30 agosto, al Kaulonia Tarantella Festival, in provincia di Reggio Calabria, in cui vestirà i panni di direttore artistico. “Aprirò la kermesse che, nel segno della tarantella, unirà tanti linguaggi musicali diversi, con un mio concerto. Ci saranno tantissimi ospiti: Teofilo Chantre, Peppe Voltarelli, Ciccio Merolla, Raiz, Ornella Vanoni, Pietra Montecorvino, la più grande voce del Sud”. Di quel “Grande Sud” che Bennato non smette mai di celebrare e che ha omaggiato con grande generosità per tutta la serata.

“Il sud, se solo si piangesse un po’ meno addosso, riuscirebbe ad andare davvero lontano”, dice. Trent’anni di musica alle spalle, 17 dischi, una passione sfrenata per la musica popolare (Bennato nel ’69 fonda la Compagnia di Canto Popolare, all’epoca una vera scommessa, il primo e più importante gruppo di ricerca etnica e revival della musica popolare dell’Italia del sud) . Un’ inesauribile creatività che si traduce in innumerevoli progetti e un amore sconfinato per la Taranta (nel ’98 crea il movimento “Taranta power”, per ringiovanire il ritmo della Tarante rituale rivisitata in chiave moderna. La sua specialità è sviscerare fino al midollo le nostre radici, ma a una condizione: mantenere sempre lo sguardo rivolto verso il futuro. E’ questa la chiave di volta di un artista che, grazie al suo talento, è riuscito ad armonizzare passato e futuro, passando dal presente.
“Del resto, bisogna ammettere che la musica popolare sta compiendo una piccola rivoluzione in Italia”.

Cioè?
“Quella di non appiattirsi sulla perdita di identità, ma di lanciare una grande scommessa: diventare internazionale. Per esempio, esportare in tutta Europa una nuova espressione della Taranta è possibile. E devo dire che ha riscontrato anche una buona accoglienza”.
Per Eugenio Bennato, il futuro, piuttosto roseo, della musica popolare è segnato proprio da chi l’ascolta, ragazzi giovanissimi che ballano al ritmo della Taranta, lasciandosi avvolgere dalle sue sonorità, dalla sua energia. “Spesso vengono ai miei concerti portandosi dietro il tamburello, la chitarra battente”. Proprio com’è avvenuto nella gremita piazza S. Pietro di Riposto. “La musica è in crisi, è vero, ma quella di matrice popolare sicuramente no. Anzi, direi che è un boom che sta esplodendo in tutta Italia”.

Una scelta estetica netta, che ha segnato inequivocabilmente la sua forte identità artistica.
“Proprio così. Del resto, io fin dall’inizio ho amato e continuo ad amare le melodie sospese tra Napoli e il Brasile, tra la Sicilia e l’Africa del nord. Poi questo corrisponde anche a una scelta di ordine sociale. Nella società globalizzata, la perdita di identità è davvero un disastro”.

Il Sud è davvero grande?
“Sì, perché non è un concetto geografico limitato alla mia città, alla Sicilia, alla Calabria. Il Sud è un modo diverso di essere, più legati alla verità, alla vita, alla musica che accompagna la giornata. Tutto il Sud del mondo ha queste caratteristiche”.

Quindi il Mezzogiorno non è una spina nel fianco?
“Beh, nella musica non lo è senz’altro. Non dimentichiamo che gli schiavi neri con la loro musica hanno conquistato l’America. Basta pensare solo a questo per capire quanta energia c’è nel grido lacerato di un uomo del sud”.

Lei su questo palco ha cantato il Mediterraneo come metafora della vita, la melodia della dimenticanza, il migrante che si aggrappa disperatamente alla sua canzone, quella della povertà, e che su quel treno per Milano sente “una musica che batte/come batte forte il cuore/ di chi parte contadino e arriverà terrone". O di chi si porta dietro un sogno “grande come è grande il mare/che si porta i bastimenti /per le Americhe lontane".
Eugenio Bennato invece dove vorrebbe migrare?
“Dovunque è possibile farlo. Io penso che l’umanità debba viaggiare, spostarsi. Non è più possibile pensare che noi non ci interessiamo a tutte le isole del mondo, anche se magari fisicamente non è possibile arrivarci. Questo è un grande rimedio all’incomprensione fra i popoli, fra le razze, fra le lingue. La musica oggi ha un ruolo fondamentale come elemento di aggregazioe e superamento delle barriere”.

Il Sud è un’espressione molto complessa, che racchiude in sé tante realtà. Quali sono le differenze che le balzano subito agli occhi tra i vari angoli del sud Italia (Calabria, Sicilia, Campania, ecc.)?
“La Calabria, per esempio, seppure così disastrata, ha una fortissima tradizione musicale. Mentre Napoli e la Sicilia si sono un po’ troppo turistizzate, sono abbellite da troppi fiocchetti. Certo, qui ci sono senz’altro personaggi straordinari come Alfio Antico, musicisti di grande spessore, però spesso il folclore siciliano non è moderno, ma è decisamente troppo macchiettistico, oleografico. Mentre in Calabria invece vedi queste ragazze vestite in nero che sono davvero l’espressione del nostro flamenco”.

Ultima domanda: la sua Napoli, a cui stasera ha voluto dedicare “Tammurriata nera” di Roberto Murolo, e la “munnezza”. Una resurrezione a nuova vita è possibile?
“Io sono nato a Napoli e le devo tanto. Nonostante tutti i suoi problemi, resta una città aperta, con una grande vitalità. Credo che potrebbe fare grandi passi in avanti, ma deve smetterla di frignare e lamentarsi”.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

martedì 19 agosto 2008

Questa sera si recita a soggetto

E' una delle coppie più paparazzate del pop melodico italiano, in particolar modo della canzonetta strappa lacrime per cuori infranti o in preda al furor d'amor. E se ogni coppia non fosse diversa dall'altra e in sé unica e irripetibile, potrebbero quasi essere definiti Romina e Al Bano dei giorni nostri. Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo in qualche modo riescono sempre a stupire il loro pubblico. Se non proprio per originalità e arguzia, quantomeno per il loro buon cuore (vedi il recente salvataggio di sette persone in mare, al largo di Capo Tindari, località in provincia di Messina, dov'è affondato un piccolo cabinato su cui c'erano cinque bambini con padre e madre, tratti in salvo dallo yacht su cui i due cantanti stanno trascorrendo alcuni giorni di vacanza) e una profonda attitudine al più smaccato populismo. Leggete un po' che cosa si sono inventati per meravigliare la platea indisciplinata di una piazza siciliana, nel corso di una delle puntate del tour estivo di un popolare show siciliano.
L'articolo è stato pubblicato su "La Sicilia" del 18/08/2008.


La vita è tutta una sorpresa. Lo spettacolo però non è da meno. E’ proprio il caso di dirlo. E così può accadere che una sera d’estate, durante uno show all’aperto, all’improvviso e al di là di ogni previsione piombi sul palco Gigi D’Alessio per unirsi attraverso le note di “Un nuovo bacio” alla sua metà Anna Tatangelo, che aveva appena iniziato a cantare il brano. Il piacevole e romantico “fuori programma” è accaduto sabato sera, a Spadafora (Me), nel corso di una puntata di “Insieme Tour Estate 2008”, la versione estiva del programma condotto da Salvo La Rosa. La serata si è svolta all’interno della manifestazione “Mareventi”, organizzata dall’assessorato regionale al turismo, con la direzione artistica di Antonio Di Stefano.


Ma si sa, il fascino dell’ inatteso è intramontabile, e stavolta il pacco non nascondeva fregature ma, al contrario, al suo interno custodiva un prezioso regalo per il pubblico in piazza. Poche sequenze, accompagnate da grande stupore e meraviglia. Entrano in scena Caneba e Giuseppe Castiglia. Poi, per onorare la collaudata formula en plein air di due comici e un cantante, esce allo scoperto Anna Tatangelo, per cantare i suoi più grandi successi. Il conduttore Salvo La Rosa annuncia “Un nuovo bacio”. Fin qui, tutto regolare. Arriva il momento di intonare il famoso motivetto che sancì ufficiosamente la liaison d’amour dei due cantanti, prima che uscissero allo scoperto. Parte la musica, sono appena le prime note.


La Tatangelo inizia a cantare. Ma un estroso genio della lampada sembra aver deciso di far materializzare D’Alessio, che si avvicina a lei di spalle, raggiungendola sul palco. Il pubblico, ben quindicimila presenze in piazza, va in delirio, sotto il palco c’è un vero e proprio assalto, il conduttore resta a bocca aperta. “Mi sono ritrovato Gigi a un palmo di naso”, ha raccontato divertito il conduttore Salvo La Rosa: “Giusto il tempo di abbracciarmi e poi hanno iniziato subito a cantare insieme. Certo, nella vita succede di tutto, ma una cosa del genere non mi era ancora capitata”. Come dargli torto, visto che questa è stata davvero una sorpresa al quadrato (né il sindaco di Spadafora, Giovanni Giaimis né l’on. Santi Formica, vice-presidente dell’Ars, né Salvatore Tolomeo, storico organizzatore dello spettacolo, ne sapevano niente).


Gigi D’Alessio ha motivato questa sorpresa come un atto di affetto sincero nei confronti di “Insieme”, del suo team e di Antenna Sicilia, a cui è profondamente legato. Tant’è che, appena può, fa volentieri una capatina nel salotto televisivo più popolare della Sicilia (ricordiamo che quest’anno “Insieme” il 12 giugno ha salutato il suo pubblico proprio con la celebre coppia, protagonista dell’ultima puntata). E non ha perso l’occasione di farsi avanti perfino durante le sue vacanze alle Eolie, proprio insieme alla fidanzata, reduce da un salvataggio memorabile. Ma D’Alessio con “Insieme” ci ha preso gusto e ieri sera è stato il protagonista di un’altra serata del tour estivo del programma a Siracusa, con Toti e Totino ed Enrico Guarneri (Litterio). Il tour animerà le piazze siciliane fino a settembre. Si spera, con altre piacevoli sorprese. Perché, si sa, in certi casi è molto meglio restare a bocca aperta, che a bocca asciutta. E allora, lunga vita alle sorprese e a chi le ha inventate.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 14 agosto 2008

Se la politica va di traverso...

…Questo è uno di quei rarissimi casi in cui si finisce per non strozzarsi. E per fortuna, visto che perire per soffocamento non è certo una morte tra le più dolci. E così, pur essendo un organismo politico di traverso, cioè bipartisan, la commissione Amato, sulla falsariga della commissione Attali, sembra avere già le idee chiare e promette di riuscire a procedere a gamba tesa. Senza arrancare, senza fiato corto, con una falcata ampia e un passo lesto. In breve, è successo che Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio socialista e fino a pochi mesi fa ministro del Governo Prodi, guiderà il trasversale laboratorio di idee fortemente voluto a Roma dal sindaco Gianni Alemanno, sulla falsariga di quel frizzante cantiere di proposte politiche bipartisan abilmente creato in Francia da Nicolas Sarkozy. E indovinate un po’ come si chiamerà? Commissione per promuovere lo sviluppo della Capitale. Sarà questo il nome dell'organismo che avrà una propria sede e due diversi gruppi di lavoro bipartisan (tra i nomi, si sentono quelli di Bassanini e Marzano).

Lodevole il tentativo della destra, che ha così dimostrato coi fatti (e non soltanto a parole) di voler abbattere steccati ideologici e resistenze personalistiche, ma non solo. Anche di voler allargare davvero il proprio orizzonte di dialogo politico per favorire eventuali intese sul piano programmatico e favorire così al meglio la governabilità.

E il Pd invece, col suo quartier generale, come ha reagito? Beh, neppure un sorriso a denti stretti. Ma una smorfia quasi di disgusto. Dai piani alti del Pd fanno sapere che la decisione di Amato è puramente personale e che il sindaco della Capitale sarebbe a corto di idee.

Ma qualche mese fa, la sinistra non inneggiava al dialogo? In casa democrats sembrava essere scoppiata addirittura la “bipartisanite” acuta. Veltroni predicava l’apertura. Poi, quando finalmente il premier Berlusconi si è concesso, all’improvviso, le prove tecniche si sono arrestate. E rieccola la sinistra sguainare di nuovo l’arma ormai spuntata dell’antiberlusconismo.

Viene da chiedersi: ma come, ora che finalmente sembrano essersi calmate le acque, si grida all’inciucio, si bolla come scandaloso un accordo bilaterale che garantirebbe finalmente di governare, di prendere delle decisioni importanti e necessarie per Roma e per l’intera Italia ?

E stupisce che le critiche arrivino proprio dal Pd, e da Piero Fassino, ministro ombra degli Esteri, che in una lunga intervista sul Corriere della Sera confida a Maria Teresa Meli che “se il dialogo bipartisan è invocato per qualsiasi cosa si tramuta per forza in caricatura”.

Che cosa succede? I conti non tornano. E se uno come Amato, personalità seria, decide di accettare, qualche motivo valido ci sarà. Macché. Fassino piuttosto lancia un allarme: “Un conto è perseguire l’intesa bipartisan sulle riforme costituzionali e istituzionali, perché è così in tutte le democrazie moderne, un conto è invocare la ricerca di un’intesa sulle grandi scelte di politica estera, come sta avvenendo in questi giorni sull’Ossezia, altra cosa, assai meno giustificata, è invocare l’intesa bipartisan su qualsiasi politica, da quella economica alla riforma dello Stato sociale, dalla politica della sicurezza alla riforma della giustizia, perché se si deve essere d’accordo su tutto, allora tanto vale proporre il governo di unità nazionale”.

Probabilmente il Pd ha paura di uscirne ancora più fragile, ancora più instabile, ancora più claudicante. Intanto, la commissione Attali se ne frega e a zoppicare proprio non ci pensa nemmeno un po’.

Una cosa è certa: se son rose fioriranno. E poi, nomen omen. Non a caso Attali è garanzia di creatività politica e istituzionale. Speriamo piuttosto che questa sua dote porti bene anche all’Italia e a Roma, dove proprio qualche giorno fa lo stesso Attali rilevava assenza di una vera “classe creativa”, uno dei tassi di natalità più bassi al mondo occidentale (44 pensionati su 100 attivi), investimento in tecnologie vecchie, tasso d’impiego tra i più bassi d’Europa. Le soluzioni al ristagno? Una seria politica di integrazione degli immigrati e l’innalzamento dell’età pensionabile. Temi bipartisan, appunto.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 11 agosto 2008

Quell'immensa solitudine dei numeri primi

Arriva con un'aria un po' svagata, gli occhi come accecati dall'immensa luce siciliana. Si ferma a parlare e scrive dediche a ogni passo. Quasi tutti hanno il suo libro in mano. E' il 10 agosto, siamo al Castello Normanno di Aci Castello. Paolo Giordano probabilmente non ha ancora preso coscienza di essere diventato all'improvviso, per l'esattezza da quando ha vinto il premio Strega, la rivelazione editoriale dell'anno. Dall'incontro, è venuta fuori un'intervista, che pubblico qui di seguito, apparsa su "La Sicilia" l'11/08/2008.

Accade così. Alice e Mattia sono come due numeri primi gemelli. Sempre a un centimetro dal contatto. Eppure divisi. Due esistenze, le loro, che si sfiorano, ma non si compenetrano mai fino in fondo. Ed esprimono solitudine, “La solitudine dei numeri primi”(Mondadori, pagg. 304, € 18,00). Lei è una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci. Una mattina di nebbia fitta finisce fuori pista, spezzandosi una gamba. Lui è un bambino molto intelligente, che decide di abbandonare la sua gemella Michela, ritardata, perché la sua presenza lo umilia nei confronti dei suoi coetanei. Entrambi esprimono un disagio con cui diventa sempre più difficile convivere e che segnerà irrimediabilmente le loro vite.

Il romanzo in questione finora ha venduto quasi 600.000 copie e ha vinto il premio Strega, per la quarta volta in assoluto a uno scrittore esordiente. Parliamo di Paolo Giordano, capelli biondi e occhi blu come il mare che circonda il Castello Normanno di Aci Castello, dove ha presentato il suo libro. E’ torinese, ha appena 25 anni, una laurea in Fisica e un dottorato di ricerca con borsa di studio. Prima di lui, solo Flaiano nel ‘47, La Capria nel ‘61 e Barbero nel ’96 erano arrivati a tanto.

Insomma, tutto si poteva pensare, ma non che lei invadesse in modo così netto il campo minato della letteratura, accaparrandosi un premio che nell’albo dei vincitori vanta nomi d’eccellenza del nostro panorama letterario, come Cesare Pavese, Alberto Moravia, Elsa Morante, Giuseppe Pontiggia. Mica si sente a disagio?
“Diciamo che tendo a non rapportarmi troppo coi nomi di questo elenco. Non ne sarei nella condizione e oltre tutto sarebbe un po’ paralizzante. Posso dire che ci si sente con molta fiducia addosso e con l’acquisita consapevolezza di essere uno scrittore”.

Com’è nato il libro? Aveva già un copione in testa oppure sono stati i personaggi che hanno condotto il gioco, aprendo di volta in volta prospettive nuove e imprevedibili?
“Onestamente, prima di iniziare a scrivere il libro, non credevo che potesse accadere, lo trovavo uno snobbismo da scrittori. E invece mi sono accorto che i personaggi mi hanno trascinato, specialmente nella prima parte. Io mi sono limitato soltanto a prenderli per mano e a seguirli in ciò che facevano. Anche se poi, inseguito, sono dovuto intervenire a mettere un po’ di ordine”.

Leggendo il romanzo, si ha l’impressione che cresca tra le mani. Pagina dopo pagina, la storia si fa più complessa, i protagonisti passano dall’infanzia alla fanciullezza e parallelamente a questo anche i ragionamenti e la scrittura si fanno via via più articolati. Si è ispirato alla sua vita oppure racconta fatti e situazioni che nella realtà non ha mai vissuto?
“Il romanzo è costituito da una serie di episodi, raccattati un po’ dovunque. I fatti della mia vita ci sono, ma sono quelli più trasfigurati. Mi sono rifatto in gran parte a episodi accaduti a persone che conosco bene, amici e amiche che mi hanno raccontato molte cose”.

Roberto Cotroneo, scrittore, giornalista e docente di scrittura creativa alla Luiss, sostiene che si scrive per sedurre il mondo. Qual è il suo rapporto con la scrittura?
“Il mio rapporto con la scrittura è stato un amore che ho stentato molto a riconoscere. Per me all’inizio la scrittura era qualcosa con cui avevo paura di misurarmi. Comunque, per quel che mi riguarda, non c’è nessuna funzione terapeutica che, anzi, ritengo estremamente dannosa. Ora la scrittura è diventata una voglia di apertura all’esterno, un vero e proprio ponte che mi permette di comunicare col resto del mondo. In questo caso, mi ha permesso di esprimere un profondo disagio interiore di alcune persone, che altrimenti non sarebbe stato possibile comunicare”.

E quello con la tradizione letteraria?
"Sono un esterofilo. Leggo David Foster Wallace, Raymond Carver, Michael Cunningham".

Lei ha frequentato due corsi esterni della scuola Holden, dove ha incontrato Raffaella Lops, che è diventata suo editor e agente. Secondo lei i corsi di scrittura creativa servono?
“Certo, ma non tanto per individuare le tecniche. Direi che sono necessari perché rappresentano il primo modo per confrontarsi con qualcuno,visto che la scrittura è un’attività in cui sei molto solo con te stesso”.

Veniamo al rapporto tra i giovani e l’editoria. Tra i due c’è un buon feeling?
“Direi di sì. C’è tanto spazio per i giovani e per idee brillanti e originali. Il mio non è un caso dell’altro mondo. Sono arrivato fin qui senza lunghe attese e senza particolari agganci”.

E’ vero che quando il suo editor Mondadori Antonio Franchini l’ha chiamata per dirle che le aveva cambiato il titolo (l’originale era “Dentro e fuori dall’acqua”), lei si è arrabbiato moltissimo?
“Sì (ride), in un primo momento ho perfino fatto fatica ad accettarlo. Ma poi mi ha spiegato che in certe cose devo affidarmi e quest’altro titolo avrebbe funzionato di più”.

Si sta preparando una versione cinematografica del romanzo. Immagino che ora il suo telefono squillerà con maggiore frequenza. Ha già un altro romanzo in testa?
“ A fine anno uscirà un mio racconto ambientato in Congo, dove sono stato qualche mese fa, all’interno di una raccolta edita da Feltrinelli per il progetto di “Medici senza frontiere”. Descrivo la giornata tipo di un medico francese che lavora laggiù. E poi, sì, un altro romanzo voglio scriverlo. Ma con calma. Ho già in mente un personaggio, ma la storia non c’è ancora”.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 9 agosto 2008

Com'è facile cedere alle lusinghe del mare. Anche se inquinato

Cari amici, come vedete dalla foto (sono io in versione balneare), alle mie fughe marine proprio non rinuncio, e per fortuna ci pensano loro a colorare la mia estate grigio-cemento, a forza metropolitana. Intanto, vi segnalo una notizia sul mare, purtroppo sempre più inquinato.

Si tratta di San Leone, località balneare del litorale agrigentino. Nauseanti chiazze di liquami hanno fatto capolino tra le onde. Ma non è una novità. Infatti già dall'inizio della bella stagione sono state numerose le segnalazioni in merito, provocate dal malfunzionamento dei pennelli che scaricano a largo i reflui fognari precedentemente depurati.


Solo la scorsa settimana il comune di Agrigento, in seguito alla segnalazione dell'Asl, aveva proibito la balneazione nella porzione di mare antistante il lido della pubblica sicurezza. In quella occasione il sindaco Zambuto aveva puntato il dito contro la Girgenti Acque, accusando l'ente di una mancata tempestività nella riparazione delle perdite dei pennelli a mare, chiedendo entro 48 ore la riparazione delle perdite.


La Girgenti Acque, dal canto suo, aveva risposto che gli interventi venivano effettuati, ma che lo stato dei pennelli era ormai tale da non consentire il loro buon funzionamento. Insomma, si gioca a rimpiattino. Ma nel frattempo, agli agrigentini e ai turisti potrebbe non restare alle narici il sapore di mare e di sale, quanto piuttosto quello di fogna.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 8 agosto 2008

A quella stella cadente ho affidato il mio destino...


"Che le stelle della notte fossero ai tuoi piedi, / che potessi essere meglio di quello che vedi, / avessi qualcosa da regalarti,/ e se non ti avessi uscirei fuori a comprarti. / Stella di mare, tra le lenzuola, la nostra barca non naviga, vola!” ("Stella di mare", Lucio Dalla).

Un omaggio di Stella mattutina al 10 agosto, notte di San Lorenzo e alle sue splendide stelle cadenti che riusciremo a vedere e a cui affideremo i nostri desideri.


Ma anche ai sogni ancora da realizzare, a tutti quelli che in queste notti si saranno amati, scambiandosi l'anima. E a chi vorremmo tanto amare, ma non ce lo permette.


Baci brillarelli

giovedì 7 agosto 2008

Quando il ministero pastorale si unisce all'impegno sociale

Qui di seguito, pubblico una mia intervista - apparsa su "La Sicilia" del 7/08/2008 - a padre Ignazio Mirabella, da otto anni parroco in trincea nella chiesa di San Gaetano alla Marina. Grazie, padre Ignazio. Puoi fare ben poco, e lo sappiamo. Ma ti siamo grati perché sai guardare il mondo con occhi nuovi e lotti per dare un futuro ai tuoi bambini, che poi ti vogliono molto bene. Siamo con te! Perché noi, ai "fiori del male" rispondiamo coi fiori di pesco (in foto, peccato che non possiate sentirne il profumo).


Si chiama padre Ignazio Mirabella, da otto anni è il parroco della chiesa di San Gaetano alla Marina. Cioè da quando l’allora arcivescovo di Catania Luigi Bommarito lo convocò e gli chiese espressamente di “risollevare un quartiere“. E da allora padre Ignazio, una onorata carriera diplomatica alla commissione vaticana “Giustizia e pace” gettata alle ortiche, non fa più le vacanze, e si è gettato a capofitto in un’impresa difficile, complicata: rieducare con umiltà, amore e dedizione i bambini e i ragazzi della Civita. Non usa gli altoparlanti, eppure ogni volta che parla la sua voce si fa sentire. Tanto che nel 2006 la sua scelta di non fare uscire il Santo dalla chiesa per la tradizionale processione nel quartiere “perché non vuole sentirsi un pezzo di legno in balia di calia e semenza, di palloncini e botti chiassosi” sollevò un polverone. Ha denunciato a gran voce il bullismo quando ancora non ne parlava nessuno. E ora, dopo due anni trascorsi in sordina, si riaffaccia alla finestra con la voglia di spendersi contro la piaga della dispersione scolastica, continuando la collaborazione col convitto “Cutelli”, potenziando le numerose attività ricreative pomeridiane, culturali e di gioco. Ma soprattutto,rivolgendo alle istituzioni competenti, proprio nel giorno della festa di San Gaetano, un messaggio a chiare lettere.

“Vorrei lanciare un appello all’Ufficio scolastico provinciale, e alle istituzioni della nostra città, perché si attivino nell’arginare il fenomeno attraverso azioni concrete. Ormai è un problema grave, troppi ragazzi non vanno a scuola. Il percorso pedagogico è a rischio. Si bivacca, si va tutto il giorno in giro. E poi si finisce nella droga, nell’alcool, nell’ostinazione malata a comprarsi i vestiti firmati. E’ tutta colpa dell’Occidente”.
Cioè?
“L’Occidente che sperpera denaro, che venera il consumismo, insinuando nella testa dei suoi malcapitati seguaci l’idolatria nei confronti dei beni materiali. Ecco allora che i nostri ragazzi farebbero di tutto per comprarsi l’ultimo modello di scarpe”.

Parliamo di sicurezza, un tema a lei molto caro. E’ aumentata di gran lunga la percezione del rischio da parte dei cittadini, così come sono aumentati gli scippi e le rapine. Per arginare il problema, il governo ha conferito maggiori poteri ai sindaci e ha predisposto l’esercito sul territorio. C’è chi dice che siamo tornati ai tempi del fascismo. Lei che cosa ne pensa?
“Credo che si debba insistere molto sul fronte della sicurezza. Non è possibile che i bambini vedano per le strade ciò che non dovrebbero mai vedere”.

Lei propone una rieducazione civica in piena regola. E se poi invece le famiglie non collaborano?
“Dico sempre: parliamone. Il dialogo è alla base di tutto. Io vedo soprattutto promesse non mantenute da parte di gente molto ricca che poi non ha fatto un bel niente”.

Per esempio?
“Qui alla Civita si dovevano realizzare palestre, campetti da gioco, luoghi ricreativi e d’incontro. Ma non è colpa di nessuno. Questo è un quartiere troppo antico”.

Lei appartiene a quell’illustre categoria di sacerdoti che da sempre interpretano il loro ministero pastorale innanzitutto come impegno civile, in mezzo alla gente. Non le capita mai di sentirsi solo nelle sue battaglie e incompreso?
“Sì, certo, mi accade e un anno e mezzo fa volevo perfino mollare. Ma c’è la fede. Veda, la fede non può essere staccata dalla vita, dal pianto di un bambino, dalla solitudine di un vecchio, dalla disperazione di un padre che non ha più un lavoro per campare se stesso e la propria famiglia. Lo sa che le medicine non mutuabili che servono ai bambini, le pago io? Altrimenti, se l’immagina che cosa succederebbe?”

Che cosa le dà più fastidio dei suoi parrocchiani?
“Non sopporto quando si vuole essere senza Dio e senza Stato. Come dire:senza spessore spirituale e condivisione civica. Ecco, allora ci rimango molto male, perché vedo tanti immigrati che vengono qui per studiare, per acquisire un titolo di studio con tanti sacrifici. Ma ci rimango male anche quando la politica tradisce la sua vera vocazione, cioè quella di essere al servizio di tutti”.

L’appello alle istituzioni lo ha rivolto. E ai suoi parrocchiani invece che cosa dice?
“Bisogna far loro capire che siamo noi i protagonisti della storia che si evolve e non possiamo demandare neppure al presidente della Repubblica il riscatto della nostra esistenza, del nostro quartiere, della nostra città.Quando si pensa che il Bene debba arrivare solo dall’alto, e non si percepiscono i propri doveri, si sbaglia molto”.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 6 agosto 2008

Lo sfrenato trasformismo di Marco Cavallaro

Da "Il commissario Montalbano" allo spettacolo teatrale "Pericolo di coppia", fino ad approdare all'esuberanza di Neil Simon con la commedia "Risate al ventitreesimo piano", che da dicembre porterà in giro per l'Italia. Insomma, dalla tivù al teatro, dal serio al faceto, dalla realtà al sogno della rappresentazione scenica. Mica male, se pensate che il 22 luglio ha ricevuto il meritato "Premio Charlot Giovani". Marco Cavallaro è uno, nessuno e centomila. Ma solo artisticamente parlando?... Piccola curiosità: fuori se lo filano più che in Sicilia. Come quasi sempre accade, tranne rare (ma rare) eccezioni, nemo profeta in patria.

Pubblico di seguito una mia breve intervista a lui, apparsa su "La Sicilia" del 5/08/2008

“Il mio mestiere? Una magnifica illusione. E io sono un illuso cronico. Mi illudo sempre delle cose belle”. L’incanto non tradisce nemmeno per un attimo Marco Cavallaro. Nato a Giarre 32 anni fa, da sette vive a Roma, dove fa l’attore (ha interpretato Tortorella nella fortunata serie tivù “Il commissario Montalbano”), lo sceneggiatore, il produttore (da due anni ha creato, insieme all’amico scenografo Federico Marchese , la società di produzione “Esagera”. Vedi sito www.esagera.com). Ha fatto la gavetta al Teatro Stabile di Catania. E il suo blog, nato un po’ per gioco, è frequentatissimo, soprattutto perché lui ama raccontare i dettagli del suo mestiere da insider. Lo scorso 22 luglio, tra le imponenti colonne ioniche del tempio greco di Paestum, ha ricevuto un importante riconoscimento, il primo a livello nazionale, ovvero il “Premio Charlot Giovani”, giunto al suo ventesimo compleanno, grazie allo spettacolo “Pericolo di coppia”, da lui scritto e prodotto, con la regia di Claudio Insegno.
“Con quasi 600 repliche, abbiamo girato in lungo e in largo l’Italia, portando in giro i drammi della coppia, quelli in cui tutti noi ci riconosciamo. Ma, nonostante le difficoltà, si va avanti lo stesso. Per fortuna c’è il lieto fine”.

Qual è il rischio maggiore per una coppia?
“Direi la monotonia”.

E la sua vita di coppia invece come va?
“(Ride) Beh, direi bene. Ho analizzato talmente a fondo i problemi di coppia che ormai conosco quasi tutte le situazioni e so come uscirne fuori. Come dire, conosco tutti i trucchi”.

Ora, che cosa sta preparando per il suo pubblico?
“Intanto, continueremo a portare in giro “Pericolo di coppia”. E poi, sto producendo “Risate al ventitreesimo piano”, un’esilarante commedia di Neil Simon sulla tv spazzatura. Poco prima di Natale, inizieremo la nuova tournée di cinque mesi e verremo anche in Sicilia. E forse a Catania”.
Nel suo curriculum c’è teatro, ma anche televisione. All’appello manca solo il cinema.
“Già, proprio non mi vuole… E dire che ho appena scritto una sceneggiatura per un film, ed è anche piaciuta, però non so ancora come andrà a finire. Da questo lavoro è nato "Parola d’onore", il mio ultimo libro, in uscita a ottobre”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 4 agosto 2008

L'irresistibile fascino della trasparenza


Cari amici, l'altra sera il quotidiano "La Sicilia" mi ha spedito come inviata a San Giovanni La Punta, uno dei paesi alle pendici dell'Etna. Aria sana, un'autentica boccata d'ossigeno a pieni polmoni, direi una piacevole, seppur temporanea, fuga dal caos catanese...

Ma soprattutto, la gioia di un incontro. Quello con Leo Gullotta, a cui è stato consegnato, nell'Anfiteatro comunale, il premio "Turi Ferro", giunto ormai alla sua terza edizione.

Leo, grazie per la bella serata. Grazie per la tua amicizia, semplicità, umanità e per averci ricordato che la diversità è ricchezza e che bisogna avere il coraggio di essere diversi. Sei la dimostrazione vivente di come si può arrivare al successo partendo da zero. Senza essere figli d'arte, né figli di papà. Senza essere raccomandati, né ricchi, né furbi. Senza essere imbroglioni, disonesti, arraffoni, ecc, ecc. Insomma, per dirla in breve, con tanta fatica e dedizione, e grazie al proprio talento e alla propria tenacia. E di come poi, una volta arrivati al successo, si può restare se stessi, rimanendo fedeli ai propri valori e coi piedi ben piantati a terra, senza tirarsela affatto.

Pubblico qui di seguito, l'articolo che ho scritto sulla serata, apparso su "La Sicilia" del 5/08/2008. Nelle foto, Leo Gullotta e io insieme a Ida Carrara, moglie di Turi Ferro.


Un adorabile cruccio, ma soprattutto un seme aureo da spargere senza risparmio su chiunque avesse la fortuna di assistere a qualcuno dei suoi spettacoli. Questa fu la sicilianità per Turi Ferro. Ma non per la Sicilia, troppo spesso prigioniera di chichè infarciti di folclore e ormai sempre più argomento banale e semplicistico, denigratorio e a tratti perfino irriverente. E non a torto, quando si allude a una sicilianità malata, discriminante, che limita e castra. Quella che ci fa sentire al centro del mondo, e ci impedisce di guardare al di là di un orizzonte, il nostro, piccolo e meraviglioso.

Ecco perché Leo Gullotta preferisce iscriversi alla schiera di quei siciliani che, pur amando moltissimo la loro terra, si ostinano a guardare al di là di quell’orizzonte, quanto meno per cercare di capire che cosa c’è. E lo sottolinea dal palco dell’Anfiteatro di San Giovanni La Punta, mentre la consorte di Turi Ferro, Ida Carrara, anche lei attrice (sarà la protagonista di uno spettacolo della prossima stagione dello Stabile, un omaggio alle più note scrittrici del ‘900), gli consegna in mano il pesantissimo premio dedicato al marito, che l’assessorato comunale al Turismo e allo spettacolo ha organizzato con cura per il terzo anno consecutivo. E lo fa alla presenza di 2000 persone che lo applaudono con affetto quasi ad ogni parola pronunciata dal palco con la consueta familiarità e simpatia che lo caratterizzano.

“Un premio che quest’anno va a Leo Gullotta perché è un attore che si è formato alla scuola di Turi Ferro e ne ha saputo raccogliere l’eredità, attraverso una straordinaria poliedricità, che gli permette di passare con estrema disinvoltura dal comico al tragico, e attraverso lo spessore umano, che lo rende un uomo davvero straordinario”, scandisce Sara Zappulla Muscarà, docente di Letteratura italiana all’Università di Catania e appassionata studiosa di Turi Ferro e del suo teatro, che ha espresso la motivazione del premio.

Un premio dunque all’attore e all’uomo Gullotta, che non manca di ricordare il suo incontro fatale col celebre attore conterraneo, agli esordi di quella che poi si sarebbe rivelata una fortunata carriera: “Avevo 14 anni e sono entrato allo Stabile per pura curiosità, restandoci poi dal ’61 al ’72. Allora, sapete, non c’erano i mezzi di comunicazione di oggi. E, come una spugna, ho iniziato ad assorbire quell’acqua, un’acqua sana, pulita e onesta. L’acqua che sgorgava dall’insegnamento di Turi Ferro e dalla disciplina di Mario Giusti, l’allora direttore del Teatro”, ricorda Gullotta, non senza un filo di emozione. Lui, ultimo di sei figli, nato e cresciuto al Fortino di Catania, un quartieraccio. Eppure il padre pasticciere lo ha mandato subito a scuola, a differenza di tanti suoi più sfortunati compagni di gioco.

“I miei mi hanno insegnato tre cose molto importanti: il rispetto per i diritti degli altri, non dare facili giudizi ed essere onesti”. Ed è proprio l’onestà il più alto valore che Turi Ferro gli ha trasmesso: “Lo ricordo come una persona onesta nel lavoro e nella vita, e molto esigente”. Esigente ai limiti del perfezionismo. Ma andava bene così. Visto che oggi siamo arrivati all’estremo nell’altro senso: “C’è una totale mancanza di disciplina e di studio. Si è convinti di poter arrivare subito al successo, si va troppo di fretta e ci si monta subito la testa. Il successo invece dev’essere innanzitutto con noi stessi, nel senso di riuscire a trovare equilibrio e serenità prima di tutto dentro di noi”, dice Gullotta, un attimo prima di passare a scherzare sui programmi televisivi, specie su quelli di costume. “L’importante è apparire, anche senza essere. Mostrare l’iPhone, anche se poi non lo si sa usare”.

Del resto, la tivù vuole stupire a tutti i costi e ammorbare le coscienze critiche. “Siamo tutti in preda a un virus. Non sappiamo più distinguere la qualità dalla banalità. Anche i politici che vanno in tivù cercano solo di farsi notare e basta. Se poi non hanno validi argomenti, poco importa”. Non dimentichiamoci che la diversità è ricchezza, e non bisogna avere paura di esprimerla. Un rapporto d’amore-odio, quello di Leo Gullotta con la televisione, che dice “siamo costretti a subire, mentre invece col cinema e col teatro per fortuna possiamo scegliere noi che cosa andare a vedere”. Reduce da due anni di tournèe con “L’uomo, la bestia, e la virtù” di Luigi Pirandello, ha appena finito di girare un film in Francia, “Quella sera”, e continuerà la sua collaborazione con gli amici del Bagaglino.


Abituato a vestire panni sempre nuovi, perché “l’attore è un clown che si deve saper donare a tutto e a tutti, con grande piacere e grande voglia”, e a interpretare ruoli totalmente diversi gli uni dagli altri, visto che “il medico, se cura un raffreddore, non vale meno di quando opera per una cistifellea”, tornerà in scena ancora con Pirandello, inaugurando il 14 ottobre la prossima stagione teatrale dell’Eliseo a Roma con “Il piacere dell’onestà”. Già, l’onestà, che ormai è diventata una favola. A metà serata, Gianni Bella, che di recente ha presieduto la giuria del festival di Castrocaro, selezionando in appena 20 giorni 450 giovani musicisti, rispolvera prima la sua più bella creazione portata al successo da Adriano Celentano, “L’emozione non ha voce”, e poi, la dolce e intensa “Dormi amore”, scritta sempre da lui per l’ultimo album del molleggiato. E annuncia: “Il Teatro Stabile di Catania mi ha coinvolto, comporrò le musiche di “Civitoti in pretura”.

Nel corso della serata, non sono mancati momenti di danza acrobatica con i Camutis Dance Company e la campionessa mondiale di scherma Rossella Fiammingo, e la reinterpretazione da parte di Edoardo Comis della parodia di Hitler ne “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin. In chiusura, un mini-concerto del popolarissimo Al Bano che, con la sua ugola d’oro, ha interpretato i suoi più grandi successi di oggi e di ieri, con una scaletta dettata dal pubblico. E un appello di Leo Gullotta: “Ora, dopo San Giovanni La Punta, ci attendiamo un omaggio a Turi Ferro da Catania e dal Teatro Stabile”.

Elena Orlando
(elyorl@tiscali.it)

domenica 3 agosto 2008

C'era una volta il tormentone

“Vi prego, non chiamateli tormentoni”. La preghiera di Linus, direttore artistico di Radio Deejay e fratello maggiore di dj Albertino, famoso speaker del “Deejay Time”, storico programma dance pomeridiano, arriva poco prima della partenza ufficiale dell’Estate 2008. Ebbene sì, la proposta è delle più rivoluzionarie e audaci: rinnegare senza alcun rimpianto una tradizione, ormai divenuta troppo onerosa, che ogni estate consacra in maniera ostinatamente forzata le hit più gettonate, un tempo (erano gli anni Sessanta), al mitico juke box con la sua lastra di plexiglass, oggi alla radio o nell’inseparabile iPod che ci accompagna mentre camminiamo per strada, i più frequenti motivetti che canticchiamo sotto la doccia negli afosi pomeriggi di agosto. Tanto per intenderci, del genere di “Una rotonda sul mare” di Fred Bongusto, “Sapore di sale” di Gino Paoli, “Un’ estate al mare” di Giuni Russo, “Aria” di Marcella Bella, “La mia banda suona il rock” di Ivano Fossati, “Andamento lento” di Tullio De Piscopo, “Dancing Queen” degli Abba o “Just the way you are” di Billy Joel, perfetta per un lento a prova di struscio. E molte altre. Ecco, erano questi i nostri tormentoni. Ci ronzavano nelle orecchie e s’insinuavano nella nostra mente a tal punto da sfiorare l’ossessione maniacale. Ogni sera e ogni mattina. Ogni giorno e ogni notte, lì a ritmare le interminabili vacanze al mare, in montagna oppur, per i più sfigati, in città.

Evviva Linus, che ci ha salvato, almeno per una volta, dal pericolo.

Però, a dirla tutta e a voler essere onesti fino in fondo, il tormentone ci ha riprovato ancora. Eccolo, anzi, rieccolo, con la sua bella faccia tosta, disinvolto e sfrontato quanto basta.

Così, quest'estate, che cosa ci tocca sentire a ripetizione? Beh, Give it 2 me di Madonna, naturalmente. E’ lei la regina. E ve ne sarete subito accorti. Basta aprire le radio, visitare YouTube o andare sul sto di iTunes, per ammirare le studiatissime movenze feline della regina del pop, checché se ne dica, giunta splendidamente (anche grazie a qualche aiutino artificiale) ai suoi primi 50 anni (li compirà il 16 agosto). E vedere come si attorcigli come un ragno, mentre ti fissa con fare enigmatico. Si parla del vibrante video del secondo singolo tratto dal suo undicesimo album, Hard Candy, uscito in Italia lo scorso 25 aprile, un mix di R&B, hip hop, pop e dance, prodotto da Madonna, Timbaland, Pharrell Williams, Danja, Justin Timberlake, con la collaborazione di Swizz Beatz, Sean Garrett, Akon e Kanye West, tutti nomi già affermati nel campo della produzione. Attualmente l’album ha venduto 3 milioni di copie nel mondo e 100.000 copie solo in Italia e il singolo in questione, Give it 2 me, uno dei più battuti dalle radio, ha raggiunto il secondo posto nella classifica dei singoli. Ora per la signora Ciccone si attende la performance del 6 settembre allo Stadio Olimpico (l’avevamo lasciata l’estate scorsa, nello stesso posto, appesa a una croce) .

Ma prima ancora, la sua partecipazione come regista, anche se non troppo ferrata in materia, bisogna dirlo, al "Traverse City Film Festival", in Michigan, kermesse creata dall'amico Michael Moore, dove presenterà il suo documentario "I Am Because We Are", già proiettato al Festival del cinema di Cannes. La pellicola parla della situazione degli orfani di Aids in Malawi, dove la pop star ha adottato un figlio assieme al marito Guy Ritchie. Perché per Madonna l’importante è esserci, sempre e comunque, col suo talento seppur discreto e impercettibile (non c’è ma, come dire, non ci fai caso).
E’ questa la risposta, con tutta la forza delle sue braccia scolpite da una dura e costante attività fisica, alla recente spallata del fratello Christopher, che non si è vergognato a lavare in piazza i panni sporchi e a definire la sorella meschina, falsa, interessata soltanto alla cabala, e suo marito Guy Ritchie una specie di idiota. Ma le incomprensioni, si sa, ci sono anche nelle migliori famiglie.

Tornando alle hit di quest'estate, vi sarete di certo accorti di una melodiosa romanticheria che fa “Non ti scordar mai di me […] in fondo siamo stati insieme e non è un piccolo particolare…”. Che in bocca a Giusy Ferreri, ribattezzata la nuova Amy Winehouse, sa ancora di più melodico. E lei, per l’occasione, si è fatta aiutare da Tiziano Ferro, coautore del testo, che come al solito in questi casi c’azzecca sempre, anche dal suo rifugio londinese, visto che il brano è per la quarta settimana consecutiva al primo posto nella classifica dei singoli più ascoltati.

Per chi invece non ha fissa dimora, è nomade dentro e vaga di continuo col corpo e con la mente alla ricerca di un’oasi di pace in cui approdare, c’è “Il Centro del mondo” di Ligabue, primo brano inedito del nuovo album “Secondo Tempo“, che lui stesso definisce “un inno al viaggio virtuale, al viaggio più leggero che esista”.

Se poi siete sedentari, pigri, sfaticati nullafacenti ed eterni sognatori in attesa del principe azzurro o della principessa blu che venga a rapirvi col suo cavallo bianco (destinazione ignota), “A te” di Jovanotti fa per voi. Da ascoltare mentre guardate il mare, sognando ad occhi aperti. State solo attenti a non scottarvi troppo, ché il sole è forte. Altro che plagio! Alle accuse di aver copiato "A la primera persona", canzone di Alejandro Sanz del 2006, Lorenzo risponde così: “l’ho scritta di getto, come succede spesso con le canzoni che poi arrivano al cuore della gente”. “L'ho scritta - aggiunge - seguendo un'armonia molto semplice presente in tante canzoni (é un giro armonico che dicono abbia inventato Bach)".

Resistono ancora in classifica, anche s eun po' più giù, “Underneath” di Alanis Morisette, la spilungona sexy di “Jagged little pill”, vincitrice di ben sette Grammy, e "Mercy”, il secondo singolo estratto dall'album Rockferry della cantante Duffy.

E, della serie il lupo perde il pelo ma non il vizio, non si smentisce l’inossidabile Sergio Mendes, con William & Siedah Garrett e la loro Funky Bahia, lui sì, al settimo posto in classifica. L’artista brasiliano più famoso al mondo ormai si è affidato alle mani esperte di Will I am, produttore e frontman dei Black Eyed Peas. E non tradisce le aspettative, visto che
ci ha abituato a grandi successi, orecchiabili e che ti porti dietro per molto tempo. Basti ricordare “Mas que nada”, un’evergreen da ballare dovunque e comunque.

E già, perché ballare è la nostra passione. Irrinunciabile. Basta solo lasciarsi andare e abbandonarsi senza inibizioni alle sensualissime note che ascoltiamo per piacere e per diletto.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)