Il red carpet. Due parole magiche bastano e avanzano ad accendere l’immaginario collettivo dei tanti cinefili e amanti della mondanità. Tutti lì come cavallette, occhi spalancati e bava alla bocca, gli spettatori deliranti e i giornalisti di tutte le testate, accalcati in massa proprio a due passi dalla ‘zona rossa’. Sognanti e magari anche un po’ invidiosi, o semplicemente col cuore gonfio di ammirazione. Tutti lì, pronti a strillare, ad acclamare, a rubare uno sguardo o un’indiscrezione dal divo più atteso o a strappare un autografo da incorniciare o far vedere agli amici la sera a cena. Tutti lì, quasi sulla linea di confine di quel tanto ambito tappeto rosso, una passerella inondata di flash, calcata con un certo portamento dai grandi divi del cinema e dagli attori del momento, vestiti dalle migliori griffe. Sorrisi e pose costruite, artefatte, pensate e studiate ad arte per catalizzare l’attenzione dei fotografi. Quanto di più lontano da autenticità e naturalezza.
Si è da poco concluso il Festival Internazionale del Film di Roma, festa pop e chic allo stesso tempo, sopravvissuta al dopo Veltroni, nata per essere decisamente più pop di quella di Venezia, considerata fin troppo apparecchiata con lustrini e paillettes.
Non ho mai capito quale fascino abbia il fatto di stare lì per ore a elemosinare un briciolo di qualcosa, non si sa bene poi che cosa. Per non parlare poi della monotonia del solito rituale: interminabili file per accreditarsi o per acquistare un biglietto, e seguire poi una proiezione senza capirci niente, tra una folla di gente che chiacchiera di continuo e commenta qualsiasi cosa, oppure prendersi a spintonate per entrare in sala e seguire un incontro col pubblico, con la consapevolezza di tornarsene a casa quasi sempre senza essere riusciti a soddisfare fino in fondo la propria curiosità. Mai un colpo di scena, mai un 'fuori onda', mai un interessante 'dietro le quinte'.
Non ho mai capito quale fascino abbia il fatto di stare lì per ore a elemosinare un briciolo di qualcosa, non si sa bene poi che cosa. Per non parlare poi della monotonia del solito rituale: interminabili file per accreditarsi o per acquistare un biglietto, e seguire poi una proiezione senza capirci niente, tra una folla di gente che chiacchiera di continuo e commenta qualsiasi cosa, oppure prendersi a spintonate per entrare in sala e seguire un incontro col pubblico, con la consapevolezza di tornarsene a casa quasi sempre senza essere riusciti a soddisfare fino in fondo la propria curiosità. Mai un colpo di scena, mai un 'fuori onda', mai un interessante 'dietro le quinte'.
A un anno di distanza, mi ritrovo a leggere della Festa del Cinema di Roma sui giornali e a seguire qualcosa in tv. Nient’altro che questo. Mi sono rifiutata categoricamente di andarci. E se qualcuno me l’avesse imposto, ci sarei andata decisamente controvoglia. Eppure soltanto un anno fa, mi sono messa l’abito bello, i tacchi alti, ho raccolto i capelli in un delicato chignon e ci sono andata, anche con un certo entusiasmo. E se ci ripenso, mi viene pure da ridere. Le novità più interessanti tra film e documentari? Preferisco scoprirle per conto mio, come e quando voglio. E soprattutto godermele fino in fondo. Senza flash, senza calca, e senza precipitarmi su quel red carpet sempre più asfissiante.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
2 commenti:
Chi l'ha detto che il pubblico cerca autenticità e naturalezza? Non capisco tutto questo accanimento contro l'innocuo, direi un po' inutile, Festival capitolino. Una curiosità. Posso sapere dove vedrai le novità più interessanti tra film e documentari? Ciò che viene mostrato nei festival è il Cinema Invisibile!
In Italia si producono film e opere prime con soldi dello Stato, visti e distribuiti prevalentemente solo nei festival e che raramente arrivano nelle sale.
A me ha stupito la visione di “Valzer” del 2007, regia di Salvatore Maira, incredibile film girato con un lunghissimo piano-sequenza, interprete la brava Valeria Solarino: a distanza di due anni una sola copia è stata ospitata in molti festival internazionali, in poche fortuite sale italiane, qualche cineforum ( trailer film ).
La mancanza di una distribuzione affidabile dei film italiani fa sistema accanto alla compresenza di un cinema parassitario assistito (parole di Brunetta), a un incompreso e bistrattato cinema indipendente, all’assenza o all’inesistenza di un circuito di cortometraggi troppo frammentario e affidato alle iniziative locali, numerose, ma di scarso prestigio.
Secondo lo storico del cinema Gianni Canova la “spettorialità” è la condizione fondamentale della nostra esistenza: “siamo tutti spettatori, consumiamo 600mila immagini artificiali al giorno e che cosa facciamo quando guardiamo un film, cosa ci fa una immagine in movimento quando la intercettiamo?”
I giornali italiani troppo attenti ai contenuti hanno gravi responsabilità - continua ancora il professore Canova - perché non indagano sull’importanza della “produzione del senso”: “come mi lavora dentro un film, un corto o un lungo? Che immaginario mette in circolazione? Che bisogni sociali e individuali soddisfano? Il Cinema ti obbliga a pensare quello che vedi, la televisione ti consente di vedere sempre e solo ciò che già pensi” (per vedere tutto l'intervento di Canova cliccare qui)
A cosa serve la critica acida sull’artificiosità patinata della confezione, sul chiasso della gggente, sulla mondanità graffiante-griffante?
Bisogna evitare di emulare quei critici affetti dalla “sindrome del capolavoro” che anni fa teorizzò Aldo Grasso. E non dimentichiamo di considerare che il Cinema è cultura sensoriale, è crescita cognitiva, è creatività contagiosa, è libertà psicomentale .
Dunque abbasso i “red carpet film”.
I colpi di scena? Aneddoti? Fuori onda? Dietro le quinte? L’indiscrezione? Sono strategie del gossipparo o di un aspirante gossippaiolo!!!! Un giornalista dovrebbe cogliere, per dirla con Händel, il “trionfo del tempo e del disinganno” (Der Triumph der Zeit und der Enttäuschung.
Vabbè, insomma, ti piace la festa. :-) E.
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