martedì 24 giugno 2008

Il conservatorismo di sinistra ha detto sì

Un tuffo nella Capitale e... Appena atterrata, soffermo lo sguardo su un cartellone che annuncia la "Festa dell'Unità". Incredibile, la laica preghiera del direttore Antonio Padellaro in un recente editoriale, proprio dalle colonne del quotidiano che dirige, quello fondato da Antonio Gramsci, è stata ascoltata. Il quartier generale del Pd ha ubbidito, affidandosi ai cattivi umori espressi da Padellaro, fedele interprete di un malcontento che veniva dal basso. D'altronde, non potevano fare altrimenti in casa Pd, gli ex Ds, specie ora che si sono apparentati agli ex Dc, gente di poche parole, ma di sani principi. E ribattezzare la Festa in "democratica" avrebbe solo confermato che il requiem intonato rischiava di innescare una miccia pericolosa tra i nostalgici incalliti, pronti a fare di tutto per difendere il proprio credo politico. Tant'è che l'operazione si è presto rivelata un flop, magari perché siamo in Italia, e qui dalle nostre parti ci vuole tempo ad abituarsi ai cambiamenti. E così, anche se i Ds non esistono più, anche se si sono camaleontizzati in una nuova creatura, un ibrido che stenta ancora ad avere un'identità politica chiara e precisa, anche se si è formato un nuovo partito, i tradizionalisti, i nostalgici, gli affezionati alla festa non hanno mollato la presa e si sono impuntati, ottenendo stavolta un risultato ben visibile. Tutto sommato, non avrebbero poi tutti i torti, visto che per rinsaldare ogni unione un pizzico di sano tradizionalismo non guasta. E allora, l'unione innanzitutto. E le nomenclature giuste, anche. Infatti, se è vero che i Ds non ci sono più, per lo meno la tanto amata festa, quella storica, sempre uguale a se stessa, fatta di concerti, dibattiti, proiezioni cinematografiche e decine e decine di stand e di volontari, non poteva proprio rischiare di essere ribattezzata "Festa democratica". Sarebbe stato un oltraggio troppo pesante alla memoria, all'identità, alla storia del Pci di un tempo. E avrebbe annullato del tutto l'effetto-recupero, seppur velato e impercettibile, del rinnovato "Veltroni-Style", da ex buonista a uomo col broncio, deciso e incazzato.

E no, proprio no. Assolutamente no. Il popolo di sinistra, di questa sinistra smaccatamente e per precisa strategia politica antiberlusconiana, a vocazione maggioritaria, risorta all'ombra della quercia ma ancora un bel po' claudicante, che ora sta "a ferro e fuoco" con l'ala massimalista e radicale e che ama definirsi spesso laica, democratica e progressista quel tanto che basta, proprio non lo avrebbe accettato. E per mantenere vivo, anzi rinverdire, il consenso dopo le recenti pesanti sconfitte elettorali alle politiche e ancor più alle amministrative a Roma, "i capi" hanno pensato bene di puntare sul recupero della tradizione. E già, perché certe tradizioni non si possono dissolvere come polvere al vento. Eppure, viene da chiedersi: ma come? Non è nato un nuovo partito? Non è cambiato tutto? L'intera campagna elettorale non era stata combattuta all'insegna della parola "cambiamento"? Che fine ha fatto il cambiamento? Beh, con le nomenclature non si scherza. E i colonnelli del Pd sanno bene che il popolo diessino resta assai legato a questo storico appuntamento, che lo stesso Padellaro, sempre in quell'editoriale dall'emblematico titolo "Feste de L'Unità, il nome è tutto", non esitò a definire in questi termini: "Le Feste dell’Unità sono le Feste dell’Unità e non basterebbe una intera biblioteca per raccontare, spiegare, esprimere la quantità di sentimenti, di passioni, di valori che questo nome suscita. Ma dire « Festa dell’Unità » è andare oltre il puro significato identitario o politico. È quella cosa lì, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Festa dell’Unità è la cosa e il luogo. Anzi, è stato scritto non un luogo fisico ma una dimensione dell’essere. Un nome che definisce se stesso, come avviene per tutti i marchi universalmente riconoscibili, evocativi, e che nessuno si sognerebbe di cambiare".

Insomma, un marchio indelebile, eterno, immutabile. Altro che innovazione, neologismi, progressismi d'ogni sorta. Un sano conservatorismo non nuoce neppure al popolo che si è autoincoronato erede del Socialismo. Dunque, bando alle ciance, la tanto attesa "Festa dell'Unità", espressione più completa del vecchio che si fonde armonicamente (si spera) col nuovo, avrà un ricchissimo cartellone di concerti, incontri, dibattiti, dal 24 giugno fino al 27 luglio. E per chi, come la sottoscritta, volesse andare a farci un salto, se non altro per respirare che aria tira, dispiacerà non accontentare, almeno su questo, il platonico Padellaro che sembra essere volato nell'iperuranio quando arriva a scrivere che "questa festa non è un luogo fisico, ma - addirittura- una dimensione dell'essere". Eh, no, il luogo fisico c'è, eccome. Ed è anche di tutto rispetto: le Terme di Caracalla.


"Saremo il baluardo della Notte Bianca, nel momento in cui la giunta Alemanno ha deciso di svuotarla", assicurano gli organizzatori. Il messaggio scelto per i manifesti e' "Ciao, bella!", che compare accanto a una ragazza che si stiracchia sul letto mentre si risveglia. Guardato al contrario lo slogan diventa "Bella ciao", il titolo del celebre canto partigiano: "E' un richiamo- dicono dal Pd- ai valori del nostro partito e della nostra Costituzione, di cui quest'anno ricorre il sessantesimo anniversario".

Alla Festa prenderanno parte, nello spazio dibattiti, tutti i big del partito: dal segretario Walter Veltroni (22 luglio), a Francesco Rutelli (17 luglio), da Massimo D'Alema (3 luglio) a Pierluigi Bersani (23 luglio), fino ai capigruppo di Camera e Senato, Antonello Soro e Anna Finocchiaro (16 luglio). Spazio anche ai leader del territorio come il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti (12 luglio), e il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Si parlerà anche della Costituzione con il presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, e di esteri con Piero Fassino, di Aldo Moro e dei 40 anni che ci separano dal '68 romano. Nell'area della festa, che si estende su 25.000 metri quadrati, ci saranno 30 associazioni di volontariato e no profit, 10 punti di ristoro (7 gestiti dai volontari del Pd tra biologico, bisteccheria, fiaschetteria e pizza al taglio), uno spazio concerti allestito per 5.000 persone e una libreria (gestita da Rinascita). Tra i concerti in programma (alcuni saranno gratuiti, altri avranno un prezzo "politico"), band di rilievo nazionale e gruppi emergenti locali: Fabri Fibra (30 giugno), Modena City Ramblers (8 luglio), Gossip e Battles (9 luglio) e Shaggy.


Ora, resta solo da verificare se gli ex margheritiani, ospiti d'onore, affronteranno l'avvenimento con lo stesso coinvolgimento emotivo degli ex diessini, ospitali padroni di casa. Peccato che, per accorgersene, non basterebbe la presenza del più bravo tra i medium esistenti in tutto il pianeta. Ma poco importa. Tanto, alla fine, la prova del nove sarà questa: l'unione tra Ds e Margherita si farà più salda in futuro o finirà per essere anch'essa lo specchio dei tempi, con crisi di coppia dietro l'angolo e magari pure un divorzio traumatico all'orizzonte? Non è mai troppo tardi per chiederselo. Infatti, anche se è scoppiata l'estate, è passato il tempo in cui ci si poteva concedere il lusso di recitare la parte, per dirla con Antonello Venditti, dei "comunisti al sole".

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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