domenica 29 giugno 2008

Ma che c'azzecca il magnaccia?

"Caro Beppe, ci sono momenti nella vita delle nazioni in cui i cittadini devono fare delle scelte. Momenti in cui non si può più fare finta di niente e continuare a credere che, in fondo, nulla veramente cambierà. Le leggi che continuamente vengono proposte dal nuovo Governo sono un attentato alla democrazia. Cosa distingue un primo ministro di una democrazia da un dittatore? Il vero tratto distintivo è l’impunità assoluta del dittatore. Quando Silvio Berlusconi l’avrà ottenuta l’Italia sarà, a tutti gli effetti, una dittatura". Il leader dell'Italia dei valori, il battagliero ex pm molisano Antonio Di Pietro è seriamente preoccupato. E ora ha deciso di rivolgersi a Beppe Grillo. Il suo umore si attorciglia come cartavelina appallottolata tra le mani. Gli occhi gli escono fuori dalle orbite, il timbro della voce si alza di tono e si fa rauco e concitato. Il "dipietrichese", vulgata personal-popolare che ne ha fatto negli anni un esemplare più unico che raro, s'infiamma, colorandosi di espressioni che definire idiomatiche sarebbe eufemistico. Il solito giustizialismo contornato di moralismo e fermezza salta ancora una volta fuori con un balzo felino, vomitando sul premier Silvio Berlusconi un ruspante allarmismo. Ma quale lotta di potere tra politica e giustizia? Altro che conflitto d'interessi! "La sicurezza dei cittadini, tanto sbandierata in campagna elettorale da Berlusconi e dalla Lega, è sacrificata all’interesse del presidente del Consiglio", scrive Di Pietro nell'accorata lettera indirizzata al comico genovese. E, a sorpresa, in anteprima assoluta, annuncia: "L’otto luglio a Roma dalle ore 18:00 in Piazza Navona, in contemporanea con l’iter di approvazione della legge sulle intercettazioni, l’Italia dei Valori insieme a esponenti della società civile ha indetto una manifestazione per la libertà di espressione e per la giustizia". Proprio mentre Walter Veltroni sonnecchia all'ombra del Pd, stiracchiandosi in attesa di idee più brillanti da mettere in campo per ripartire, Di Pietro sembra farne le veci e risvegliare i toni dell'opposizione. Un fiume in piena, la sua filippica, che offusca del tutto la dichiarazione veltroniana, peraltro prevedibilissima, che "il dialogo con l'opposizione si è interrotto". Ma c'è di più. La ruvida protesta va avanti a oltranza da almeno un paio di giorni. E ieri ha raggiunto il suo momento più alto, sublime, quando l'ex pm se ne esce con un parolone grosso, attribuendo al premier che segnala telefonicamente a Saccà qualche starletta depressa in crisi di astinenza da esibizioni televisive in Rai, l'appellativo di "magnaccia". Chiedere scusa? Non se ne parla nemmeno. E a nulla è valsa la preghiera del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad abbassare i toni. Di Pietro non ci sta e scalpita. E' fatto così. Non usa mezzi termini. Anzi, ne inventa sempre di nuovi, per rinverdire il giardino della nostra amata lingua. E, quando si parla di giustizia, s'infervora, alza la voce, si anima, gesticola, suda, si fa pallido, cambia perfino i connotati del volto. Come quando con la toga nera, in tribunale, negli Anni Novanta ha fagocitato un'intera classe politica senza neppure passarsi mezza mano sulla coscienza. Ha ripulito le mani dei politici, sbattendoli in galera, ma soprattutto consegnando all'opinione pubblica un'immagine della Prima Repubblica da urlo e sberleffo. Ma in quel caso, non era colpa sua. I politici gli avevano semplicemente lanciato un assist che lui ha subito calciato. Perché il suo motto sembra essere "la legge è uguale per tutti". Ma se sei un uomo politico e vieni colto con le mani nel sacco, le manette scattano prima, e senza remissione di peccato. Di Pietro è inflessibile. Peccato che a un certo punto abbia deciso di tradire la giustizia con la politica, scendendo in campo in quel lontano 1996, quando Romano Prodi lo chiamò nel suo governo come ministro dei Lavori pubblici, anche se l'avventura durò soltanto sei mesi. Ma era solo l'inizio di un'avventurosa carriera politica. Con Berlusconi sempre nel mirino. Infatti, gli accesi botta e risposta col premier non sono una novità per l'ex leader del pool milanese di "Mani pulite". Chi non ricorda quando, durante una puntata di Porta a porta, lo stesso Silvio Berlusconi mise in dubbio la validità della laurea conseguita da Di Pietro, sostenendo che gli era stata data dai servizi segreti? Per tutta risposta Antonio Di Pietro ha pubblicato sul suo blog la pergamena del titolo di studio, con tanto di commento polemico: "Io parlo con i fatti, non con menzogne o allusioni. Lo dimostra la laurea in Giurisprudenza conseguita il 19 luglio 1978. Lo stesso anno in cui il Presidente del Consiglio si iscrisse alla P2". Replica secca, per uno abituato ad affondare sempre il dito nella piaga e a esprimersi fuor di metafora e non proprio come ci insegna l'Accademia della Crusca. Ma, tornando ai fatti dell'ultima ora,visto che-ad un'attenta lettura- non c'è nulla di nuovo sotto il cielo delle intercettazioni pubblicate in questi giorni dai giornali- siamo proprio sicuri che stavolta la piaga sia davvero sanguinante? O non si tratta invece dell'ennesima messa in scena shakespeariana del "molto rumore per nulla"?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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