domenica 29 marzo 2009

“Scrivo a Silvio. Così gli metto la pulce nell’orecchio…”

E’ la festa di Silvio. Nell’ultimo dei tre giorni del congresso fondativo del Pdl alla Nuova Fiera di Roma, quello che sancisce il foedus indissolubile con Fini, malgrado qualche querelle di ordinanza, è Silvio il dominus incontrastato, il Cavaliere senza paura che ufficializza la nascita di un grande contenitore di moderati, ma anche di riformisti, borghese e insieme popolare e perfino interclassista. Tutto un altro sapore rispetto all’annuncio del ’94, quando l’imprenditore di successo graziato da Bettino Craxi (ricordato più volte il secondo giorno dalla figlia Stefania nel corso del suo intervento) prometteva agli italiani di impegnarsi in prima persona per cambiare davvero volto all’Italia. Stavolta, un sapore meno acerbo e decisamente maggioritario (si punta al 51 per cento) per un partito che – dice Berlusconi – non si accontenta mai e sopravviverà a chi l’ha fondato.
Ora si guarda al presidenzialismo. Si guarda all’Europa, con la mira di diventare il primo gruppo all’interno del Ppe. E si guarda al futuro, con un’attenzione rinnovata nei confronti dei giovani. L’aveva detto Daniele Capezzone il giorno prima: il Popolo della libertà sarà anche un partito facebook, un partito in cui i giovani potranno esprimersi con i loro abituali mezzi di comunicazione (internet su tutti). Poi, a sorpresa, l'annuncio della sua personale candidatura alle Europee.

L’emozione non tradisce il premier in nessun passaggio del suo lungo discorso, nessun tremolio nelle mani che ogni tanto girano i fogli. Quasi due ore ininterrotte sul palco, senza il minimo segno di cedimento. Spalle forti, sorriso di plastica, Silvio Berlusconi parla di federalismo, rinnova le piaghe alla sinistra (dov’è il loro leader?), ricorda quando i comunisti attentarono a quella che avrebbe dovuto essere la grande stagione delle riforme, sbriciolando il difficile processo di ammodernamento che ora invece si intende compiere (e stavolta Massimo D’Alema sembra essere davvero d’accordo).
Nel giorno della consacrazione del re, scettro e corona arrivano anche dal pronto entusiasmo di migliaia di braccia di militanti che sventolano le bandiere del Pdl. Berlusconi inneggia più volte alla libertà, è sicuro di sé, emoziona e commuove, sa a ogni pausa come colpire al cuore dei suoi elettori e simpatizzanti. Al di là di ogni regola, l’unica regola è una sfrontata e disinibita ostentazione di sicurezza, mostrare il pugno duro, saper tenere in mano il timone del comando. E cavalcare l’onda del momento, ovvero di un’epoca senza arte né parte, in cui si respira il vuoto e la più totale omologazione.
Meglio un nuovo Napoleone, il self-made man di successo agli specchietti per le allodole, meglio Silvio o, al limite, una pantera di lunga militanza come Gianfranco Fini, ai Veltroni e ai Franceschini di turno, che - scandisce il premier - altro non fanno che salvare il salvabile di una sinistra ormai allo sbando.

Berlusconi ammirato, osannato, oppure delegittimato, invidiato. Berlusconi sempre e comunque ruba la scena a tutti. E, in un modo o nell’altro, riesce sempre a far parlare di sé. A essere nel cuore o a stare sullo stomaco. Forse perché proprio non resiste e, a un tratto, invita le dame della sua corte (l'angelica Prestigiacomo, la dura Meloni e la gentildonna Carfagna) a mettersi in prima fila accanto a lui sul palco per cantare alla fine l'inno di Mameli e promette: "Vi porteremo fuori da questa crisi per il bene di tutti").
Tanto, l’importante è che se ne parli. E alla fine se ne parla ovunque se, proprio nel giorno della consacrazione, a pochi chilometri dalla Fiera di Roma, c’è chi pranza al tavolo di una trattoria dei Castelli romani e, tra un abbacchio e un sorso di grappa, nomina con amici e parenti Silvio e la sua festa.
-“Che peccato, Silvio è unico, è simpatico, ma alla gente dà molto meno di quello che può offrire. Ora gli do 7, ma potrebbe raggiungere un voto più alto. Se solo evitasse di fregare sempre tutti, sarebbe molto meglio. E’ un vero peccato. Io l’ho votato perché è l’unico che ha le palle ed è per questo che mi arrabbio. Eppure io qualcosa per lui la devo fare. Devo assolutamente mettergli la pulce nell’orecchio. Gli devo scrivere una lettera che voglio fargli recapitare. Voglio che legga il mio consiglio. Voglio che pensi: porca miseria, questo qui ha ragione!”.
Mi volto per un istante, gli sorrido e gli confesso che arrivo proprio dal congresso e che faccio la giornalista praticante.
Poi, gli chiedo: “Allora, questa lettera la vuole mandare davvero?”. E lui: “Certo, signorina, mica scherzo? A proposito, lei che è giornalista, mi dice a chi la devo mandare?”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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