giovedì 11 ottobre 2012

Il fattore H? Solo un lontano ricordo



In una parola: diversi. Ma non per questo emarginati. Perché oltre la soglia della cosiddetta “normalità” c’è un mondo. Un altro mondo. Basta solo iniziare a guardarlo con gli occhi di chi sa che i diversamente abili, dentro e fuori dalla scuola, meritano di potersela giocare fino in fondo quella imprevedibile e allettante partita che si chiama vita. Patrizia Aminta Infantino se n’è accorta già da un po’. Proprio passando tra i banchi. E ha deciso di parlarne in un libro, “Alunni speciali. Apprendere l’inclusione a scuola”(pagg. 116, € 14, 50), edito da La Meridiana. Un libro scritto con la mente, ma soprattutto col cuore.

Come nasce l'idea di scrivere questo libro?

“In qualsiasi gruppo, famiglia, classe, angolo di vita c’è qualcuno che è stato o si sente escluso. E’ la pecora nera; è un qualcuno che aspetta di essere incluso e, più di altri ha bisogno della spinta propulsiva che lo rimetta al suo posto. Ha bisogno e vuole essere integrato. Ognuno di noi ha le proprie pecore nere; parti sconnesse, che sfuggono, che non approviamo, che giudichiamo e che aspettano di essere viste. Hanno bisogno e vogliono essere integrate. Il libro nasce dalla necessità di far comprendere ai colleghi quanto l’inclusione di un ragazzo con bisogni educativi speciali arricchisca il percorso di tutta la classe e la diversità del singolo arricchisca la forza del gruppo. Quanto l’inclusione sia necessaria e può essere appresa a scuola.
Nelle classi dove entra la pedagogia speciale c’è un riconoscimento della propria individualità che in altre classi manca. Nell’alchimia che nasce nel tener conto dell’aspetto sociale, affettivo e cognitivo del ragazzo, l’insegnamento diventa olistico e l’insegnante impara a valorizzare le diversità che ci caratterizzano: praticamente vengono potenziate tutte le intelligenze e non solo quella linguistica o matematica, tutti gli stili di apprendimento e non solo di quello analitico ed è operando verso una conoscenza metacognitiva, ma anche meta emozionale, che individua tutte le emozioni e impara a trasformare le qualità negative in positive”.

Da quanti anni insegni ai ragazzi speciali?

“Ho insegnato Scienze Motorie per trent’anni appassionandomi a tematiche riguardanti il senso della malattia, la psicosomatica, la medicina cinese, lo shiatsu, la postura…. Poi, un bel giorno il mio percorso di precariato scolastico mi ha assegnato tre casi di ragazzi speciali che hanno rapito il mio cuore. Ho preso la laurea specialistica all’insegnamento delle Attività di Integrazione e Sostegno all’università veneta Cà Foscari e ho lasciato le Scienze Motorie per amore della valorizzazione delle ‘pecore nere’. Adesso sono cinque anni che mi dedico con passione all’inclusione attraverso l’insegnamento”.

Qual è la mission di un prof. oggi?

“La missione è credere in ciò che si fa. Quando si opera nel campo del sociale occorre studiare ma soprattutto occorre mettere la testa al servizio del cuore. Creare pace con se e tra se con il mondo, saper educare e lasciarsi educare, arricchirsi con la cultura propria e altrui potrebbero essere gli obiettivi della vita di chi crede nell’ insegnamento olistico. In questo testo si vuole riconoscere quanto l’unicità del singolo valorizzi la forza del gruppo e quanto sia utile sfruttare questa forza per incrementare il miglioramento personale”.

Nell'applicazione della didattica speciale quali difficoltà concrete può incontrare un prof. in classe?


“Ancora oggi mi batto per far superare ai colleghi e alle famiglie l’idea che il gruppo dei normodotati non abbia nulla da guadagnare a svolgere attività che normalmente non vengono inserite. I benefici che i compagni normo-dotati possono trarre dalla condivisione sono molteplici: arricchire la comprensione dell’altro; abolire i preconcetti sulla disabilità demolendo le barriere interpersonali; superare le paure nei confronti dei disabili ottimizzando il concetto di sé, aiutando l’altro, acquisendo tolleranza, incrementando la sensibilità e la solidarietà; imparare a valorizzare e riconoscere le abilità operative dei compagni che palesano difficoltà nei confronti delle discipline curricolari; scoprire le qualità e le ricchezze che derivano dalle nostre stesse diversità”.

Qualche consiglio per chi insegna sostegno.


“Ci provo, senza retorica e con una mano sul cuore e l’altra sulle qualità istintive. Occorre non essere mai giudicante ne con i ragazzi e ne con i colleghi. Occorre imparare a sostenere l’altro soprattutto nella difficoltà di saper sostenere l’altro. Occorre non dimenticare mai i momenti in cui noi stessi ci siamo sentiti esclusi, rifiutati, eliminati e non dimenticare mai a integrare ogni più piccola parte di noi anche quelle che rifiutiamo.
Chi insegna sostegno è prima di tutto insegnante di attività integrative. La parola ‘sostegno’ è diventata un’etichetta anche per le famiglie, in realtà noi siamo tutor che operiamo per facilitare l’inclusione”.

Il segreto per volare alto a scuola?

“All’interno della scuola urge l’inserimento di figure semplici, ‘di cuore’ e specializzate che operino per una didattica inclusiva, cooperativa e metacognitiva che dia valore ed input alla motivazione intrinseca che è la sola che accresce la curiosità e senza la quale non può esistere il progresso”.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

martedì 22 maggio 2012

Pizzarotti e pizzicotti al Pd (ma anche al Pdl) da Beppe Grillo. Meglio se con le note di Al Bano




Ci vorrebbe Al Bano. A festeggiare in musica la vittoria delle 5 stelle di Beppe Grillo a Parma con Pizzarotti, l’homo novus della politica made in Italy. Magari tra le note di Felicità in versione solista. Ma in realtà con un’eco di piazza. Chi infatti sarebbe più adatto a incarnare i buoni propositi di rinascita e di risanamento sociale dei grillini di Albano Carrisi da Cellino San Marco? Grillo e Al Bano uniti da una parola chiave: la piazza. Entrambi uomini di piazza. Quell'agorà luogo di compravendita nell'antica Roma, l'antica wall street e il termometro commerciale e che oggi serve a misurare il consenso. La stessa che applaude con estrema facilità l’anti-Bersani che rompe le uova nel paniere al Pd, ma un po’ a tutti i partiti, grida al popolo che applaude infervorato, come mosso dal furor delle migliori tragedie di Seneca. E’ il vento polupista, lo stesso che agita le canzoni accorate di Al Bano nelle piazze, magari durante le sagre di paese.


E se Nina Zilli ha spodestato Fiorella Mannoia come nuova icona musicale della sinistra, adesso tocca proprio all’ex consorte di Romina Power incarnare, musicalmente parlando, la vocazione studiata e mirata di stampo nazional-popolare di Beppe Grillo. E così Federico Pizzarotti, project manager dell’Information tecnology, faccia pulita e uomo qualunque, che fin da piccolo ha sempre voluto cambiare il mondo, ben si unisce alla poetica nostalgica di Al Bano, cantore della parabola umana e delle disgrazie del cuore, dei buoni sentimenti e dell'Italia che vuole cambiare. L’incoronazione dovrebbe avvenire con un atto solenne, in pompa magna. Perché Albano ha una storia pesante alle spalle. E’ un cantante di successo. E la gente lo sa bene. Tant’è che lo ama e lo acclama. Proprio come fa con Beppe Grillo, il nuovo uomo della Provvidenza, sceso in terra a lavare i mali di una galassia politica marcia e malata di corruzione.
L’investitura grillina è stata ricevuta involontariamente da un deus ex machina speciale: Pier Luigi Bersani, che Grillo dal suo blog non esita a ritenere quasi morto (“Chiamate un’ambulanza per un TSO. C’è un pollo che si crede un’aquila”).
E intanto, in attesa dell'ambulanza, semmai dovesse arrivare,  Al Bano canta. “Felicità, è tenersi per mano, andare lontano... [...] E' un bicchiere di vino con un panino". E la gente così si sente meglio. E canta insieme a lui di una felicità che forse non c’è ma che ci manca. Nonostante Grillo continui a strombazzare col microfono a palla tutti i mali della politica e continui a strillare da un pulpito che ai benpensanti ancora oggi convince poco.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 13 maggio 2012

Il sogno "comico" di Cesare Cremonini


Ultimamente si spara le pose. Un po’ come se fosse un attore. Sarà che ne “Il cuore grande delle ragazze” di Pupi Avati ha recitato davvero, da protagonista al fianco di Micaela Ramazzotti. E a recitare ci ha preso gusto. Ma il momento della verità prima o poi arriva. E per l’ex Lunapop sempre a bordo della vespa 50 special il momento della verità è quello della musica. In cui le emozioni prendono forma attraverso le parole infarcite di melodia, in un inestricabile intreccio di poesia e modernità. Proprio come ne “La teoria dei colori”, il nuovo album, il quarto, del cantautore bolognese classe 1980 ma con all’attivo già tre album di successo e numerosi riconoscimenti, per un totale di dieci anni di carriera. Un incontro precoce quello di Cesare Cremonini con la musica. A sei anni, la prima lezione di piano. Cantautore già a 14 anni: “Studiavo Chopin e Beethoven – racconta - poi per Natale mio padre mi regalò un disco dei Queen. Mi accorsi che c'erano riferimenti alla musica classica in così tante loro canzoni che chiesi alla mia professoressa di farmi studiare Bohemian Rhapsody. Ne fu contenta! Tre anni dopo, mentre ero in vacanza con i miei genitori, scrissi Vorrei, la mia prima canzone”.



Poi, il gruppo “Senza filtro” insieme ad alcuni suoi compagni di classe. L’incontro con Walter Mameli, che diventa il suo produttore artistico e manager. Ma soprattutto la straordinaria voglia di esprimere tutto il suo talento. Prima, con i Lunapop, poi da solista.
Nel 2000 vince il telegatto come rivelazione dell’anno e il Festivalbar col brano “Qualcosa di grande”. Tutto con un leitmotiv di fondo inequivocabile: l’originalità. Non c’è niente che Cesare Cremonini non faccia senza un’ impronta personale forte, marcata e più che mai caratterizzante. Ed è proprio questa la sua cifra, che lo rende sempre unico e inimitabile. Cesare Cremonini parla, e lo fa attraverso la musica, ma anche i libri, come quando pubblica per la Fazi Editore “I nostri ponti hanno un’anima, voi no – Lettere ai politici. E scrive articoli sui principali quotidiani italiani.



Ride, scherza, partecipa alle feste mondane, ai mega raduni. E nel 2009 con nonchalance intasca il premio History alla carriera ai Trl Awards. Non si ferma mai, aggiorna di continuo i suoi follower su twitter, gli racconta i suoi stati d’animo, gli rende note le sue variegate geografie interiori e le sue riflessioni sul mondo. Ma soprattutto li aggiorna costantemente sulle registrazioni del disco. Un disco con 11 brani inediti, tra cui “Tante belle cose” scritto per la colonna sonora dello spettacolo teatrale "Tante belle cose" (regia di Alessandro D'Alatri) e "Amor mio" scritta per il film di Edoardo Gabbriellini "I padroni di casa" interpretato da Gianni Morandi, Elio Germano e Valerio Mastandrea. Adesso è in vetta alle classifiche il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, “Il comico (sai che risate)”. Perché Cesare Cremonini tutto avrebbe fatto nella vita, tranne che il militare: “Gli applausi in un teatro hanno un suono particolare, ti piovono addosso come un temporale improvviso. Ma la cosa più emozionante è stata riuscire a far scoppiare a ridere il pubblico con una battuta. È un sogno che mi portavo dietro fin da bambino, quando all'asilo mettevo tutti i miei compagni di giochi sulle scale e cercavo di farli ridere rendendomi ridicolo”. Un sogno chiamato canzone. E un valido escamotage grazie al quale gli si perdona tutto. Perfino quelle pose da attore degli ultimi tempi, egocentriche sì, ma con fair play. Altrimenti, sai che risate...


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 30 aprile 2012

Belèn ha una nuova corona



Tolto un Corona se ne fa un altro, di nome Stefano De Martino. Si fa per dire. Perché il nuovo fidanzato di Belèn Rodriguez, il ballerino di Amici ex di Emma, potrebbe essere soltanto l’ennesima pedina di un’ operazione di marketing studiata nei minimi dettagli proprio da Fabrizio Corona. Primo indizio: il blog che si è aggiudicato l' esclusiva del primo bacio tra Belén e De Martino sarebbe di un amico del fotografo che ama girare senza patente. Altra stranezza: la maglietta indossata da De Martino nelle prime uscite pubbliche, un marchio legato al fotografo beccato a pagare in autogrill con banconote false. Senza tralasciare un terzo elemento: i due, quando vengono fotografati, hanno tutta l’ ara di chi sa benissimo di essere l’oggetto di un servizio fotografico.



E se tre indizi fanno una prova, per dirla con Sherlock Holmes, le probabilità che la love story più cliccata e paparazzata del momento sia tutta una montatura pubblicitaria ideata dalla mente diabolica di mister Corona si fanno sempre più alte. A soffrirne sarebbe comunque lei, Emma, cornuta sì ma non certo mazziata dai suoi fan, pronti a fare un tifo da stadio per lei proprio ad Amici e a fischiare Belèn e il suo trastullo senza remissione di colpa.
Il risultato? Maria De Filippi si imbarazza, Emma risorge in classifica scalzando la rivale storica Alessandra Amoroso, De Martino ne guadagna in immagine, anche con qualche punto di sutura a causa dell’incidente in moto proprio insieme a Belèn, che si conquista una nuova corona: quella del primato in classifica in fatto di click. La showgirl argentina infatti è ora la più cliccata in assoluto sul web. Tutti i siti internet e i giornali d gossip le dedicano servizi e copertine.



Meglio di Kate Middleton e di Laetitia Hortis, che fanno la spesa trascinando carrelli come le donne comuni, a lei invece,costantemente in posa per i paparazzi, i fedelissimi maggiordomi portano i pacchi e le tengono l’ombrello. Belèn è proprio una regina. Le basta sculettare un po’ con gli stiletti affusolati di Roberto Cavalli o un paio di shorts attillati per scatenare l’inimmaginabile. Rai e Mediaset se la contendono. E le trasmissioni televisive fano a gara per averla come ospite. Ogni sua scivolata su una buccia di banana, vedi la farfallina di Sanremo, diventa una scivolata glam. Ogni cosa che fa è sacra. Tanto che ora perfino il suo nuovo divertissement sentimental-pubblicitario con De Martino le viene perdonato in nome dell’enorme simpatia che gli italiani nutrono spudoratamente nei suoi confronti. Perché se c’è lei in tv, l’audience sale. Lo spirto si accende. L’elogio del nulla si risveglia. L’immagine della donna-oggetto rifiorisce come il mandorlo in fiore in primavera, il gossip vola basso ma vende un sacco. E così in quel magico mondo dello show-biz, sono tutti felici, paparazzati e contenti. Alè! (Si fa per dire...)  

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 31 marzo 2012

Maria De Filippi su giovani e lavoro batte Mario Monti. Lui con l' art. 18 li licenzia, lei con "Amici" li fa lavorare



Lei è decisamente meglio di Mario Monti. Ma anche dei partiti. Non c’è nessuno che ultimamente sia riuscito in un modo migliore di Maria De Filippi a investire sul merito e sul talento veri o presunti dei giovani, di cui si fa spesso un gran parlare. Lei sì che i giovani li colloca. E pure discretamente bene, ovvero in quel dorato e tanto agognato mondo dello spettacolo. Un ufficio di collocamento di gran lusso, il suo. Visto che il famosissimo talent Amici è il primo format italiano che viene venduto all’estero. A comprarne i diritti è stata la statunitense Shed Media Us Inch di Los Angeles, che lo produrrà sia negli Stati Uniti, dove è in via di produzione il pilot, sia in Gran Bretagna, dove dovrebbe essere prodotto entro il 2013. Meglio di così c’è solo… Marco Carta. Perché Maria De Filippi fa di più. Non solo dà lavoro ai giovani, ma riesuma anche i cadaveri. E così Marco Carta, come Lazzaro, si rialza e cammina. O meglio ricomincia a camminare lungo la faticosissima strada che conduce al successo. E lo fa dopo un lungo periodo di assenza. Tutti pensavano che, nonostante due vittorie importanti in tasca, quella appunto di Amici e l'altra al Festival di Sanremo nel 2009 col brano “La forza mia” , la sua stella si fosse irrimediabilmente offuscata. E invece no. La meteora ritorna. E stavolta con la voglia di diventare una vera stella del firmamento musicale. Le intenzioni sono buone. A partire da quelle della sua madrina. Maria De Filippi lo accoglierà nel serale del talent, insieme alle sue illustri colleghe, le sue preferite. E non è poco.


Adesso però arriva il momento peggiore. Quello in cui 'u scugnizzu di Cagliari col suo nuovo album “Necessità lunatica”, in uscita il 10 aprile, dovrà dimostrare coi risultati delle vendite e le classifiche che non è più soltanto un lontano ricordo. E affrontare con dignità le sfide con le colleghe più affermate di lui, in primis Alessandra Amoroso e poi Emma Marrone, reginette incontrastate dell’Amarcord di Amici, ribattezzato “Sanremino”. Ci saranno anche Virginio Simonelli e Annalisa Scarrone, il cui destino dorato sembrava ormai caduto in prescrizione. E ci sarà perfino Valerio Scanu, per chi non avesse una memoria di ferro, è quello che nella città dei Fiori, sul palco del'Ariston faceva l'amore "in tutti i modi, in tutti i luoghi e in tutti i laghi" per gentile concessione dell'altro collega-concorrente di Amici, il cantautore (bravo) Pierdavide Carone. Insomma, tutti insieme appassionatamente. L’importante è vincere? No, partecipare. Perché Amici è una squadra dove  a ognuno dei concorrenti che arriva in finale prima o poi la De Filippi una collocazione gliela trova. Altro che articolo 18, riforma del mercato del lavoro, licenziamenti facili. La vera risorsa del nostro Paese, i giovani, strattonati dalla politica ancora troppo falsa e clientelare, infarcita di promesse fasulle e mai mantenute in cambio del voto, e messa in ginocchio dalle riforme del Professore liberali più nella forma che nella sostanza, li aiuta solo lei, nostra signora di Canale 5. E di questi tempi non è poco. Molto meglio essere amici di Maria che di Bersani, Casini e Alfano. Loro promettono e non mantengono. Maria invece promette e poi mantiene. Ecco. Semmai un giorno, stanca della tv, dovesse scendere in politica, come Silvio Berlusconi nel ’94, un bel pacchetto di voti ce l'avrebbe assicurato.


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 10 marzo 2012

Nina Zilli: nuova icona musicale della Sinistra dei nostri tempi. Snob, elitaria, antipatica



Sul palco dell’Ariston si è presentata nei vaporosi e sognanti abiti della stilista Vivienne Westwood. Portamento da diva, pose studiate, stile e talento. Nina Zilli canta come Mina ma razzola molto peggio, sventolando a destra e a manca una ritrosia vecchia maniera e un sofisticato distacco. Nina Zilli si concede poco e niente al pubblico. Elitaria, selettiva, ipercritica, difficile, ultrasnob. Insomma, vuoi o non vuoi, col suo sorriso scostante e la capigliatura Anni Trenta, incarna i peggiori difetti dell’attuale sinistra di casa nostra. Non a caso larga parte di quella stessa sinistra la corteggia e ne tesse le lodi. Del resto Nina è così. Un’anima soul e una pelliccia sempre a portata di mano, come quella con cui sfilava dietro le quinte di Sanremo, come una vera sciura della Milano, anzi della Piacenza bene, quando i giornalisti, per poterci parlare dovevano fare un voto come minimo a San Crispino, quello del vino buono.

Perfino la candida e diplomatica Mara Venier, in quei giorni del festival, dai rassicuranti divani del suo popolarissimo salotto pomeridiano de La vita in diretta, non aveva proprio potuto fare a meno di suggerirle di abbassare un po’ la cresta, mollandole un non troppo edulcorato suggerimento: “A Nina, abbiamo ancora tanto da imparare”. Ma Maria Laura Fraschetta, così si chiama davvero, nuova reginetta dell’R&B, reggie e soul, cresciuta a Gossolengo e vissuta per un paio d’anni negli States, aveva fatto spallucce perché si stava già preparando ad apparire come una dea al fianco di Giorgio Panariello nel suo attuale show in onda il lunedì in prima serata sulla rete ammiraglia Mediaset.
Nina con l’attuale sinistra va d’accordo. Anzi, d’amore e d’accordo. Bersani non prende voti nemmeno alle primarie. Alla nuova sinistra essere troppo pop è decisamente volgare, di cattivo gusto. Idem per Nina Zilli, che non vende tantissimo, anche se pubblica album con la Universal. Ed evita, perché è decisamente da sottoproletari, di fermarsi a parlare col pubblico, firmare autografi all'infinito, concedersi due minuti in più sul palco, e magari pure qualche bis fuori programma.
Del resto Nina si ascolta solo nell’ iPod più chic dei radical-chic. Quelli che, per intenderci, giusto se gli capita, sfoggiano l’iPhone di Steve Jobs come un trofeo e mettono sulla propria scrivania l’iPad in bella vista.

Mica robetta da talent show, Ninetta, mica come i divi di carta di Amici o X Factor. Nina è destinata a restare nel tempo. Sarà lei la vera erede di Amy Winehouse e Nina Simone. Sarà lei la nuova icona musicale della nuova sinistra postcomunista dei nostri tempi. Eh già, perché Nina Zilli, tra una posa e l’altra, un servizio fotografico in perfetto stile star di Hollywood e qualche scatto d’autore, con movenze da principessa Sissi è riuscita ad accaparrarsi il ruolo che un tempo era del sobrio e intimista Ivano Fossati, ormai ex colonna sonora con la sua “Canzone popolare” di quasi tutte le feste dell’Unità e i raduni democrats di D’Alema, Veltroni, Letta e compari. E ora si candida ad essere lei la nuova Fiorella Mannoia, che nel frattempo di sinistra lo è diventata davvero. Ma di quella sinistra che non c’è, non esiste e si rimpiange amaramente. E mentre Fiorella con la sua chioma rossa e boccolosa invoca al Pd di essere più di sinistra, lo strattona, facendogli notare che si è sempre più allontanato dalle fasce sociali più deboli,  Pd la ricambia sostituendola con un’altra che meglio lo rappresenta in musica. Un'altra che non è Noemi, simpatica e sportiva, né tantomeno Dolcenera, affabile e molto on the road. Ma Nina Zilli: tacco dodici, pochette griffata e portamento alla Anita Ekberg della Dolce vita.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 3 marzo 2012

Dal don Giovanni di Vitaliano Brancati all'intellettuale competente, passando per il modello Silvio: ecco il triste epilogo del gallismo made in Sicily


Catanese era, Giovanni Percolla. E “fino ai trentasei anni non aveva baciato una signorina perbene”. Molto male in una città in cui i discorsi sulle donne davano un maggior piacere che le donne stesse e si rimane estasiati anche solo per una taliata.
Nel ’94 arriva zio Silvio, che di gallismo ne sa qualcosa. Ma stavolta non si tratta di un gallismo millantato. Anno dopo anno, zio Silvio si specializza nell’esibizione di una virilità che riconduce il maschio al suo ruolo primordiale di cacciatore. Zio Silvio fa sul serio e raggiunge l’… acme negli anno 2000, il tempo in cui i classici ruoli del maschio e della femmina nella coppia sembrano essersi del tutto capovolti. Ci vuole un po’ di ordine nel paese, è arrivato il momento di rimettere le cose a posto. E zio Silvio avvia la sua missione: ricondurre la donna-preda a far poche chiacchiere e ad allargare le gambe all’occorrenza.
Ma zio Silvio, allegro e malandrino, sempre più apprezzato dal maschio italiano medio che ne decanta le doti al bar, nel talento naturale delle femmine ci crede davvero. E allora le promuove anche nel suo governo, le fa diventare ministre e onorevoli deputate.


Poi però a un certo punto l’ingranaggio perfetto comincia ad arrugginirsi e non c’è più un olio in grado di poterlo lubrificare. Zio Silvio colleziona magre figure, ma la sua dignità di gallo resiste. Persino più del sogno di rinascita del Paese che aveva promesso agli italiani. Eppure un bel giorno zio Silvio cade e si dimette. Le sue femmine piangono succinte lacrime di coccodrillo. Si volta pagina. Arriva il clever, l’intellettuale serio e impegnato. E il modello di maschio cambia decisamente. A un tratto appare un loden blu, una cartellina marrone, un volto inespressivo e monocorde. Al gallismo di siciliana memoria non resta che intonare un rassegnato de profundis. Al suo posto arriva Mario il Professore, quello capace, credibile, autorevole e competente. Sobrio e responsabile. Di poche parole e niente risate. E al suo seguito, una schiera di ministri uno più serio dell’altro. In poche parole, come passare -cambiando canale - da Padre Ralph di Uccelli di rovo a don Sciortino di Famiglia cristiana.
E intanto la femmina si disorienta, non sa che fare. E nell’attesa, rivendica il ruolo di eretica del focolare domestico, senza dover per forza fare la fine di Giovanna d’Arco. Ormai il suo regno non è più la casa. E per protestare si toglie le mutande per strada. Il disonore? Un lontano ricordo. L’onore? Un lontano miraggio.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)