venerdì 27 maggio 2011

E D’Alessio alla fine rinuncia

Alla fine ha dato fortait. Gigi D’Alessio sul palco allestito a piazza Duomo per la chiusura della campagna elettorale della Moratti non ci è salito. Ragion di popolo, che ha suggerito al cantante di non cacciarsi in questo impiccio. Troppi dissensi, troppe polemiche dovute principalmente al fatto che è napoletano. E non si addice che un napoletano canti l'amore in terra leghista e quindi nemica. “Credevo di partecipare a una festa, invece è una guerra”, ha dichiarato il cantante spaventato dalle tante minacce di morte. «Sono stato invitato dal presidente Berlusconi a festeggiare questa giornata ed ho aderito con piacere - ha spiegato il cantante -. Ma il clima di estrema tensione che si è venuto a creare, sia attraverso i giudizi di chi ha un pensiero politico diverso, che i commenti ricevuti da parte di alcuni esponenti della Lega Nord, in quanto napoletano, mi hanno indotto a recedere dall'invito e lasciare Milano».

Già questo può bastare a fare il ritratto completo e realistico di un quadro raccapricciante. Moratti-Pisapia: una campagna elettorale al veleno, con tanto di minacce e aggressioni da parte dei sostenitori di entrambi.
Puntualmente la politica ha colto la palla in balzo, strumentalizzando la rinuncia del cantante partenopeo. L’ipotesi di non aver voluto suonare per i leghisti ha rimesso in circolo in queste ore sul web il video in cui Matteo Salvini dice: 'Senti che puzza, scappano anche i cani. Stanno arrivando i napoletani... Oh colerosi, terremotati... Voi col sapone non vi siete mai lavati...».
Ma è probabile che D’Alessio abbia capito il messaggio chiaro e inequivocabile lanciatogli dai fan di casa propria e dai verdi napoletani che lo invitavano a gran voce a “non cantare per i leghisti che ci odiano e ci insultano. E li abbia assecondati. Del resto Gigi è molto legato al suo pubblico. E poi in questo momento storico sarebbe stato un bel po’ fuori luogo un napoletano a Milano. Un messaggio di unità, fratellanza, contaminazione del tutto irrealistico sotto un cielo avvelenato dal vento secessionista della Lega che minaccia Berlusconi per portare al Nord almeno un paio di ministeri e lo ricatta da sempre sulla questione federalista.
La politica genera catastrofi, la musica fa miracoli. D’accordo, ma non esageriamo.
«Credevo che in un paese libero e democratico non accadessero cose come queste”, ha detto infine D’Alessio. Lo credevamo anche noi.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 25 maggio 2011

A Milano scatta il piano C. Moratti e Pisapia se le suonano. E ce la cantano

L’Italia è una e indissolubile, non c’è niente da fare. E a chi voleva che la partita elettorale Moratti-Pisapia giocata a colpi d’accuse e di querele, insulti e denigrazioni reciproche (La Moratti: "Pisapia ha rubato un'auto!". Lui: "La querelo!!")  fosse tutta di taglio, stile e colore nordista dovrà ricredersi. Perché a qualche giorno dal tanto atteso ballottaggio che riconsegnerà Milano al Pdl oppure la darà vinta al Pd entra in scena, come  deus ex machina nelle migliori tragedie di Eschilo, Gigi D’Alessio. E che c’azzecca, direbbe Antonio Di Pietro? Il cantante melodico napoletano chiuderà la campagna elettorale del Pdl a piazza Duomo, non proprio l’habitat naturale di Gigi, partenopeo per sangue, convinzione e dizione. Il cantante sarà accompagnato da Alessandra Stan e dalla vecchia gloria del soul Kid Creole. Sono previsti poi intermezzi con gli attori Edoardo Sylos Labini e Saba Anglana. Subito una valanga di insulti sulla sua pagina di facebook. Ma tutto può succedere nell'Italia che cambia, mischia e confonde le carte, si prende gioco di tutti. E per una volta il vento secessionista che tira in Padania lascia il posto per una volta, cioè durante le elezioni, al carezzevole scirocco, agli echi borbonici e alle magiche suggestioni della terra e' Napule.  

Pisapia non si arrende e risponde col genio imprevedibile e creativo di Elio e le storie tese, insieme a Giuliano Palma e i Bluebeaters, Paolo Rossi, Lella Costa, Debora Villa. Da Roma arriverà Daniele Silvestri, mentre  Jovanotti e Ligabue dovrebbero intervenire in video.
Ancora molto incerto l'esito elettorale. Ma la gara canora, senza neppure pensarci troppo, l’ha già vinta il candidato di centrosinistra. Peccato che si tratta di decidere chi governerà Milano, la capitale della moda, dell'economia e della finanza. E invece sembra di assistere a una puntata del Festivalbar.  Se le battaglie politiche si combattessero a colpi di programmi elettorali, sì che ci sarebbe poco da cantare. Ma ormai è roba d’archivio. Ora la politica è spettacolo, paillettes, applausi, fischi. Talk show, comparsate televisive, ospitate, feste più o meno mondane. Panem et circenses, insomma. Il popolino gode. S’ammorba, si stordisce. E i mistificatori continuano ad affabulare ora anche con le canzonette, colonna sonora della chiusura delle campagne elettorali, che invece dovrebbe essere il momento più importante per focalizzare progetti e intenti. Canta, o popolo, che ti passa (o almeno così sperano entrambi…). In bocca al lupo all’uno e all’altra. E vinca il miglior venditore di... fumo.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

sabato 21 maggio 2011

Giù la maschera!

Maschere senza volto e senz’anima. Tutte terribilmente uguali. Né un lampo di gioia né una luce riflessa di speranza che lasciava intravedere un sogno. Né un’espressione interrogativa, persa nel dubbio o nell’incertezza né tantomeno qualche traccia di soddisfazione, orgoglio e fierezza o d’ inquietudine e rammarico. Erano semplicemente volti vaganti con addosso maschere di porcellana. Tutti uguali, quei volti, persi nell’aria pesante di quei corridoi dal sapore di sporco, di muffa e di un’ insana ribellione che non è proposta, ma critica squallida, sguaiata, maleducata, distruttiva contro un sistema che non si ha il vero coraggio di cambiare.
Volti senza niente da dire. Dov’era finita quella sana curiosità che accarezza una persona viva? La curiosità di chiedersi “chi incontro lungo questi corridoi? Volti senza niente da chiedere, niente da scoprire. Volti senza emozioni da manifestare e condividere. Appesi a una corda logorata dal tempo e dalla consuetudine. Volti apparentemente senza storia ma colpevoli di aver cancellato con un colpo di spugna la storia di ognuno. Quei volti erano stanchi perfino di vedersi, d’incontrarsi, d’incrociarsi tutte le mattine per qualche istante. Giusto il tempo di passare da una stanza all’altra, e ricominciare a parlare, camminare, muoversi, gesticolare senza un volto.

Volti anonimi, senza nome. Volti di pietra, induriti dalla disillusione e dalla routine. E quelle maschere di porcellana color avorio, tutte terribilmente uguali, lisce come seta e laccate di angoscia, ne imprigionavano le sembianze, oscurandone l’umanità.
E già, l’umanità. Avrà avuto ragione Dostoevskij quando ne “L’idiota” scriveva : “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi”? Probabilmente sì. Ma l’umanità oggi si ama ed ama poco e niente. Alienata da internet e dai social network, persa nelle smanie consumistiche, nell’ansia di apparire bene, nutrendosi di slogan pubblicitari e rivestendosi di colori sgargianti. L’umanità oggi è sempre più impegnata ad essere veloce. Velocità, innanzitutto. Scattare come un atleta ben allenato, tagliare il traguardo prima degli altri. L’imperativo è "veloci come il vento". Dimenarsi in mille attività, frantumare il proprio “Essere” in mille impegni quotidiani. Essere veloci, sì, molto. Ed efficienti. La velocità è perfino segno d’intelligenza. Come se non esistesse anche l’intelligenza riflessiva. E no, quella è stata messa all’angolo. E poi è necessario non perdere tempo a riflettere. Perché bisogna sbrigarsi. Non importa se poi non si dà anima alle cose che si fanno. L’importante è farle tutte sempre e comunque. Ogni giorno, sempre di più. Mille cose da fare. E l’illusione di lasciare un segno. Mille cose da fare per svuotare se stessi, perdere consapevolezza di sé e di chi ci sta intorno. E’ un gioco perverso. Una terribile trappola. Sperdersi come un fiume in mille rivoli che mai s’incontrano. E anziché qualche volta prendersi per mano, darsi le spalle, camminare da soli. Sempre col volto alienato e rigorosamente nascosto da quella dannata maschera di porcellana.

Elena Orlando (
elyorl@tiscali.it)

lunedì 16 maggio 2011

A Emanuele Filiberto si perdona tutto. Perfino "Mi fai stare bene"

Una buona dose di indulgenza la ispira, Emanuele Filiberto di Savoia. Anzi, Emanuele Filiberto e basta, come lui stesso preferisce farsi chiamare per non speculare sfacciatamente sul suo reale cognome.
Lo stile elegante lo riscatta di sicuro molto più della sua grammatica. Allora meglio giocare a fare lo showman e lo scrittore di romanzi d’amore come “Mi fai stare bene”, 238 pagine, edito da Rizzoli, con una vespa gialla in copertina e tanti petali rossi che volano.

Mi fai stare bene perché dove ci sei tu c’è spazio anche per me. […]. Mi fai stare bene perché ho voglia di abbracciarti sempre. Anche adesso”, si legge nel libro. La storia è questa. Marco ha passato quasi tutti i suoi trentotto anni a nascondersi. Dalle donne che gli corrono dietro. Da sua madre che lo vuole vedere “sistemato”.E dai suoi stessi ammiratori, dato che conduce una popolare trasmissione radio con un’identità segretissima: dj Diabolik. Ora che si è fi nalmente innamorato si nasconde anche dalla madre della sua adorata Giulia, una donna molto possessiva che non accetta la loro relazione. Poi una sera in un vicolo del centro di Roma un’aggressione rischia di cambiargli i connotati. E invece gli cambia la vita. Giulia è bella, bionda, brillante, ha ventidue anni e sua madre desidera che vada a studiare all’estero. Ma lei lavora per il mitico dj Diabolik e di andarsene non vuole saperne, soprattutto adesso che sta con lui. All’improvviso le cose prendono una brutta piega,tra un nuovo direttore che intende chiudere la trasmissione e un pomeriggio con le amiche che finisce come non dovrebbe. Elena ha due problemi. Uno è Giuseppe,un bambino sensibile e di cile che deve sottoporsi a una fi sioterapia dolorosa dopo un incidente. L’altro è Marco, un giovane dj arrogante e viziato che arriva in ritardo alle sedute, non sopporta la fatica e sembra in fuga persino da se stesso. Decide allora di farli incontrare e sembra che i due problemi possano risolversi a vicenda. Ma non ha previsto che partoriranno nuovi guai. Sotto il cielo di una Roma primaverile intrisa di profumi, dove tutto può succedere:anche di incontrare i tuoi sogni.

Romanticismo a gogo, semplicità e buoni sentimenti. Trama ineccepibile. Desiderio di libertà e un anticonformismo composto. Non raggiunge l'impeto de "L'amante di lady Chatterley" né di "Orgoglio e pregiudizio", ma è tutto un tripudio di cuore e amore, con qualche nube passeggera. Il principe del resto dimostra di voler essere un uomo comune semplice, genuino, sincero. Ma "de core". Appaga così la sete di volersi far perdonare. Questo è il suo quarto libro. Ma il più audace. Non si parla più dei Savoia. Il principe volta pagina e stavolta sceglie di sfidare Federico Moccia, ormai in fase calante. Una sfida all’ultimo fraseggio da baci perugina, un racconto dolce come il miele, una prosa spontanea, per nulla costruita. E…banale? Quel tanto che basta per salvare il principe col suo cavallo bianco da critiche ignobili. Lui che invece ha un animo nobile risponde con garbo e toni pacati, incassando i colpi dei più invidiosi per un successo legato principalmente al suo cognome. Viso angelico, compostezza a oltranza, sorriso appena accennato. Ma soprattutto la consapevolezza della propria fortuna. Low profile, se necessario a perorare una giusta causa (e i Savoia ne sanno qualcosa). Apprezzabile in tempi di tv urlata e maleducata. Certo, essere diventato a un tratto uno scrittore vero resta ancora una pretesa alquanto irREALE.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

domenica 8 maggio 2011

Tornano gli Zero Assoluto in 3D: disimpegnati, disinvolti, disincantati



Arieccoli, gli Zero Assoluto. I Bonnie & Clyde della musica teen pop (w le quindicenni). Sempre uguali, sempre intellettualmente disimpegnati, sempre in crisi esistenziale, sempre fuori dai…troppi giri di parole. Ma inseriti nei giri giusti per far successo. Arieccoli con lo stesso identico copione da recitare, senza mai tradire un'emozione autentica e sincera, Matteo Maffucci (single da sei anni, dice lui) e Thomas De Gasperi (recentemente tornato single dopo un breve ma intenso flirt con la diavolita Melita Toniolo), pronti a scalare le classifiche con un nuovo album, il quarto, che uscirà il 31 maggio su etichetta Emi. Ad anticiparlo già si sente il primo singolo, “Questa estate strana” (ma va??).



Sonorità Anni Ottanta, tra sinth e ritmicità. Clip lancio su facebook molto “fai da te” girato col telefonino e messaggio molto populista: Matteo e Thomas al bar giocano al superenalotto con, per numeri, le date dei loro prossimi impegni (promozione nella promozione). Che dire, i due non tradiscono la loro vera natura. Thomas ha imparato a parlare un po’di più (un po’ meglio? Chissà…), Matteo se la gioca tutta sul filo di lana tra chiccheria, piaggeria, fighettismo, singletudine. Senza entrare mai troppo nel merito, imbarcandosi in ragionamenti un po’ troppo contorti. Cazzeggiano ma con garbo, gli ex alunni del liceo classico “Giulio Cesare”, se la tirano ma con stile. Maffucci è grato al papà ex capostruttura Rai, che l’ha abilmente e generosamente introdotto. De Gasperi accende un cerino ogni sera per il grandissimo fattore c. di cui lo ha dotato Madre Natura per essere stato scelto dal suo ex compagno di classe come co-protagonista di questa meravigliosa avventura tutta lustrini e paillettes, foto e autografi, ospitate e concerti, applausi e urletti vari di migliaia di fan assatanate.


Per fortuna hanno deciso anche di sensibilizzare il loro pubblico sul tema della sicurezza stradale insieme alla fondazione Ania. Per fortuna hanno continuato a rivolgersi solo e sempre alle teenager, senza cambiare il target di riferimento. Per fortuna ci hanno abituato così, al turuturututtu” perenne, senza alcuna profondità d’animo e di pensiero, in modo che non ci aspettassimo più nient'altro di meglio. Loro sono così, zero assoluto. La loro musica è orecchiabile e simpatica, come le loro facce. Un look casual mai sopra le righe. L’evoluzione non è mai evidente. Come dire: c’è ma non si vede (e non ce ne siamo accorti). Matureranno un giorno come le pere cotte. Ma che quel giorno, per carità, arrivi il più lontano possibile. Altrimenti a quel punto che lavoro si dovranno inventare?

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)