Maschere senza volto e senz’anima. Tutte terribilmente uguali. Né un lampo di gioia né una luce riflessa di speranza che lasciava intravedere un sogno. Né un’espressione interrogativa, persa nel dubbio o nell’incertezza né tantomeno qualche traccia di soddisfazione, orgoglio e fierezza o d’ inquietudine e rammarico. Erano semplicemente volti vaganti con addosso maschere di porcellana. Tutti uguali, quei volti, persi nell’aria pesante di quei corridoi dal sapore di sporco, di muffa e di un’ insana ribellione che non è proposta, ma critica squallida, sguaiata, maleducata, distruttiva contro un sistema che non si ha il vero coraggio di cambiare.
Volti senza niente da dire. Dov’era finita quella sana curiosità che accarezza una persona viva? La curiosità di chiedersi “chi incontro lungo questi corridoi? Volti senza niente da chiedere, niente da scoprire. Volti senza emozioni da manifestare e condividere. Appesi a una corda logorata dal tempo e dalla consuetudine. Volti apparentemente senza storia ma colpevoli di aver cancellato con un colpo di spugna la storia di ognuno. Quei volti erano stanchi perfino di vedersi, d’incontrarsi, d’incrociarsi tutte le mattine per qualche istante. Giusto il tempo di passare da una stanza all’altra, e ricominciare a parlare, camminare, muoversi, gesticolare senza un volto.
Volti anonimi, senza nome. Volti di pietra, induriti dalla disillusione e dalla routine. E quelle maschere di porcellana color avorio, tutte terribilmente uguali, lisce come seta e laccate di angoscia, ne imprigionavano le sembianze, oscurandone l’umanità.
E già, l’umanità. Avrà avuto ragione Dostoevskij quando ne “L’idiota” scriveva : “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi”? Probabilmente sì. Ma l’umanità oggi si ama ed ama poco e niente. Alienata da internet e dai social network, persa nelle smanie consumistiche, nell’ansia di apparire bene, nutrendosi di slogan pubblicitari e rivestendosi di colori sgargianti. L’umanità oggi è sempre più impegnata ad essere veloce. Velocità, innanzitutto. Scattare come un atleta ben allenato, tagliare il traguardo prima degli altri. L’imperativo è "veloci come il vento". Dimenarsi in mille attività, frantumare il proprio “Essere” in mille impegni quotidiani. Essere veloci, sì, molto. Ed efficienti. La velocità è perfino segno d’intelligenza. Come se non esistesse anche l’intelligenza riflessiva. E no, quella è stata messa all’angolo. E poi è necessario non perdere tempo a riflettere. Perché bisogna sbrigarsi. Non importa se poi non si dà anima alle cose che si fanno. L’importante è farle tutte sempre e comunque. Ogni giorno, sempre di più. Mille cose da fare. E l’illusione di lasciare un segno. Mille cose da fare per svuotare se stessi, perdere consapevolezza di sé e di chi ci sta intorno. E’ un gioco perverso. Una terribile trappola. Sperdersi come un fiume in mille rivoli che mai s’incontrano. E anziché qualche volta prendersi per mano, darsi le spalle, camminare da soli. Sempre col volto alienato e rigorosamente nascosto da quella dannata maschera di porcellana.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Volti senza niente da dire. Dov’era finita quella sana curiosità che accarezza una persona viva? La curiosità di chiedersi “chi incontro lungo questi corridoi? Volti senza niente da chiedere, niente da scoprire. Volti senza emozioni da manifestare e condividere. Appesi a una corda logorata dal tempo e dalla consuetudine. Volti apparentemente senza storia ma colpevoli di aver cancellato con un colpo di spugna la storia di ognuno. Quei volti erano stanchi perfino di vedersi, d’incontrarsi, d’incrociarsi tutte le mattine per qualche istante. Giusto il tempo di passare da una stanza all’altra, e ricominciare a parlare, camminare, muoversi, gesticolare senza un volto.
Volti anonimi, senza nome. Volti di pietra, induriti dalla disillusione e dalla routine. E quelle maschere di porcellana color avorio, tutte terribilmente uguali, lisce come seta e laccate di angoscia, ne imprigionavano le sembianze, oscurandone l’umanità.
E già, l’umanità. Avrà avuto ragione Dostoevskij quando ne “L’idiota” scriveva : “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi”? Probabilmente sì. Ma l’umanità oggi si ama ed ama poco e niente. Alienata da internet e dai social network, persa nelle smanie consumistiche, nell’ansia di apparire bene, nutrendosi di slogan pubblicitari e rivestendosi di colori sgargianti. L’umanità oggi è sempre più impegnata ad essere veloce. Velocità, innanzitutto. Scattare come un atleta ben allenato, tagliare il traguardo prima degli altri. L’imperativo è "veloci come il vento". Dimenarsi in mille attività, frantumare il proprio “Essere” in mille impegni quotidiani. Essere veloci, sì, molto. Ed efficienti. La velocità è perfino segno d’intelligenza. Come se non esistesse anche l’intelligenza riflessiva. E no, quella è stata messa all’angolo. E poi è necessario non perdere tempo a riflettere. Perché bisogna sbrigarsi. Non importa se poi non si dà anima alle cose che si fanno. L’importante è farle tutte sempre e comunque. Ogni giorno, sempre di più. Mille cose da fare. E l’illusione di lasciare un segno. Mille cose da fare per svuotare se stessi, perdere consapevolezza di sé e di chi ci sta intorno. E’ un gioco perverso. Una terribile trappola. Sperdersi come un fiume in mille rivoli che mai s’incontrano. E anziché qualche volta prendersi per mano, darsi le spalle, camminare da soli. Sempre col volto alienato e rigorosamente nascosto da quella dannata maschera di porcellana.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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