Roma che scimmiotta Cannes o, peggio ancora, Venezia. Galan che fa "marameo" ad Alemanno ("di due rassegne non c'è bisogno). E Alemanno che risponde con una smorfia di disappunto a eventuali cancellazioni. Pillole di cinema in un red carpet scolorito. Non più rosso porpora ma rosa antico. Il Festival internazionale del Film di Roma è al suo sesto fiacco compleanno e veste abiti sgualciti. Come dire se Cannes e Venezia vestono in smoking, la kermesse romana veste decisamente casual. Sarà perché nel salvadanaio destinato ai finanziamenti ci sono appena 200.000 euro, somma alquanto esigua al paragone coi nove milioni di euro destinati a fare del Lido per una settimana intera una passerella ambita anche per le star di Hollywood. Sarà per questo che il Festival del Film di Roma, nato sotto il segno di Goffredo Bettini e la benedizione di Walter Veltroni, prodotto dalla fondazione Cinema per Roma, negli ultimi due anni ha visto ridimensionare di gran lunga le sue aspettative diventando un puntino appena visibile nell’universo cinematografico. Certo, ha attraversato indenne il cambio di bandiera al Campidoglio, quando tutti pensavano che il nuovo sindaco Gianni Alemanno avesse dato alla manifestazione il ciak finale senza happy end né possibilità di repliche. Ma su questo gli artisti di casa nostra si sono dovuti ricredere perché il festival esiste ancora. Anche se da un paio d’anni è passato decisamente in sordina. Eppure va avanti, anche se con affanno e senza particolari clamori. Quest’anno saranno 133 le pellicole provenienti da 27 Paesi a sfilare su quel tappeto scolorito dal 27 ottobre al 4 novembre, all’Auditorium Parco della musica.
Ad aprire i battenti sarà “The lady”, il nuovo film del produttore e regista francese Luc Besson sull’attivista birmana Aung San Suu Kyi, tornata libera dopo vent’anni. Chiuderà invece la versione restaurata di “A colazione da Tiffany”.
In programma: Noomi Rapace dalla saga scandinava di Larsson a Babycall di Pal Sletaune; Kristin Scott Thomas in La Femme du cinquième di Pawel Pawlikowski; Charlotte Rampling in The Eye of the Storm di Fred Schepisi; Zhang Ziyi in Love for Life di Gu Changwei; Isabelle Huppert in Mon Pire Cauchemar di Anne Fontaine; Micaela Ramazzotti per Avati; Valeria Golino per Cotroneo; Claudia Gerini per la Spada.
Scontato l’omaggio per i 150 anni dell’Unità d’Italia con un viaggio nell’identità italiana dal sonoro al muto, con la prima della pellicola muta “Rotaie” di Mario Camerini in versione restaurata.
La madrina del festival sarà Luisa Ranieri e il Marc’Aurelio all’attore andrà a Richard Gere. C’è attesa per My week with Marilyn di Simon Curtis (sezione ufficiale “Fuori concorso”) e Butter di Jim Field Smith (sezione ufficiale Alice nella città). Douglas Gordon (Glasgow, 1966), vincitore del Turner Prize nel 1996, uno dei più importanti artisti internazionali, sarà al Festival Internazionale del Film di Roma con una nuova versione della sua installazione video più celebre “24 Hour Psycho” (1993). Accanto a questa installazione, Douglas Gordon esporrà una serie di fotografie che ritraggono celebri attori del cinema italiano.
E proprio perché la politica ormai è come il prezzemolo e si ficca dappertutto, in continuità con l’ impegno a sostenere il cinema emergente italiano, il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri con Fondazione Cinema per Roma inaugurano, in questa VI edizione, la “Vetrina dei giovani cineasti italiani. Sarà il pubblico a decretare il vincitore.
Un occhio di riguardo che sa tanto di contentino sarà quello per i corti cinematografici in un concorso rivolto agli studenti. Le mostre saranno dedicate a Monica Vitti, a Pier Paolo Pasolini, al Risorgimento sul set. Per quest’ultima, chissà se i leghisti apprezzeranno…
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
Nessun commento:
Posta un commento