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sabato 15 ottobre 2011

Il Festival internazionale del Film di Roma sfida la Lega col Risorgimento sul set

Roma che scimmiotta Cannes o, peggio ancora, Venezia. Galan che fa "marameo" ad Alemanno ("di due rassegne non c'è bisogno). E Alemanno che risponde con una smorfia di disappunto a eventuali cancellazioni. Pillole di cinema in un red carpet scolorito. Non più rosso porpora ma rosa antico. Il Festival internazionale del Film di Roma è al suo sesto fiacco compleanno e veste abiti sgualciti. Come dire se Cannes e Venezia vestono in smoking, la kermesse romana veste decisamente casual. Sarà perché nel salvadanaio destinato ai finanziamenti ci sono appena 200.000 euro, somma alquanto esigua al paragone coi nove milioni di euro destinati a fare del Lido per una settimana intera una passerella ambita anche per le star di Hollywood. Sarà per questo che il Festival del Film di Roma, nato sotto il segno di Goffredo Bettini e la benedizione di Walter Veltroni, prodotto dalla fondazione Cinema per Roma, negli ultimi due anni ha visto ridimensionare di gran lunga le sue aspettative diventando un puntino appena visibile nell’universo cinematografico. Certo, ha attraversato indenne il cambio di bandiera al Campidoglio, quando tutti pensavano che il nuovo sindaco Gianni Alemanno avesse dato alla manifestazione il ciak finale senza happy end né possibilità di repliche. Ma su questo gli artisti di casa nostra si sono dovuti ricredere perché il festival esiste ancora. Anche se da un paio d’anni è passato decisamente in sordina. Eppure va avanti, anche se con affanno e senza particolari clamori. Quest’anno saranno 133 le pellicole provenienti da 27 Paesi a sfilare su quel tappeto scolorito dal 27 ottobre al 4 novembre, all’Auditorium Parco della musica.


Ad aprire i battenti sarà “The lady”, il nuovo film del produttore e regista francese Luc Besson sull’attivista  birmana Aung San Suu Kyi, tornata libera dopo vent’anni. Chiuderà invece la versione restaurata di “A colazione da Tiffany”.
In programma: Noomi Rapace dalla saga scandinava di Larsson a Babycall di Pal Sletaune; Kristin Scott Thomas in La Femme du cinquième di Pawel Pawlikowski; Charlotte Rampling in The Eye of the Storm di Fred Schepisi; Zhang Ziyi in Love for Life di Gu Changwei; Isabelle Huppert in Mon Pire Cauchemar di Anne Fontaine; Micaela Ramazzotti per Avati; Valeria Golino per Cotroneo; Claudia Gerini per la Spada.
Scontato l’omaggio per i 150 anni dell’Unità d’Italia con un viaggio nell’identità italiana dal sonoro al muto, con la prima della pellicola muta “Rotaie” di Mario Camerini in versione restaurata.
La madrina del festival sarà Luisa Ranieri e il Marc’Aurelio all’attore andrà a Richard Gere. C’è attesa per My week with Marilyn di Simon Curtis (sezione ufficiale “Fuori concorso”) e Butter di Jim Field Smith (sezione ufficiale Alice nella città). Douglas Gordon (Glasgow, 1966), vincitore del Turner Prize nel 1996, uno dei più importanti artisti internazionali, sarà al Festival Internazionale del Film di Roma con una nuova versione della sua installazione video più celebre “24 Hour Psycho” (1993). Accanto a questa installazione, Douglas Gordon esporrà una serie di fotografie che ritraggono celebri attori del cinema italiano.
E proprio perché la politica ormai è come il prezzemolo e si ficca dappertutto, in continuità con l’ impegno a sostenere il cinema emergente italiano, il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri con Fondazione Cinema per Roma inaugurano, in questa VI edizione, la “Vetrina dei giovani cineasti italiani. Sarà il pubblico a decretare il vincitore.
Un occhio di riguardo che sa tanto di contentino sarà quello per i corti cinematografici in un concorso rivolto agli studenti. Le mostre saranno dedicate a Monica Vitti, a Pier Paolo Pasolini, al Risorgimento sul set. Per quest’ultima, chissà se i leghisti apprezzeranno…


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)


domenica 4 settembre 2011

Terraferma è l'approdo di Crialese, verghiano fino in fondo

Quando la terra è ferma, non frana sotto i piedi. Eppure non c’è terra senza mare a Linosa, dove due donne, in realtà la stessa immagine riflessa da uno specchio d’acqua, quella salata e bizzarra del mare di Sicilia. All’apparenza così diverse Timnit, gli occhi pieni di speranza, quella di approdare in una terra capace di aprirle un nuovo orizzonte e cominciare una nuova storia, la sola sopravvissuta su quel barcone naufragato con 73 anime morte annegate su 79. “Il suo sguardo mi ha ipnotizzato: una donna che aveva appena attraversato l’inferno, con il volto di una persona che sembrava arrivata in paradiso”, racconta Emanuele Crialese, l’ “uomo fragile” del cinema italiano alla 68esima Mostra del cinema di Venezia nel suo giorno. Dall’altra parte un altro destino, quello di Giulietta (l’attrice catanese Donatella Finocchiaro), isolana vogliosa di staccarsi dal suo scoglio. Senza saperlo le due donne condividono lo stesso destino: un futuro diverso, la loro terraferma.
Con questo film si compie la trilogia, dopo Respiro girato a Lampedusa e Nuovo Mondo girato a Ragusa. Cinque mesi sul set, a contatto con una “natura invadente, con la quale all’inizio non è stato facile convivere”, come l’ha definita senza eufemismi Donatella Finocchiaro. Nel cast Beppe Fiorello, il maestro puparo Mimmo Cuticchio nel ruolo del vecchio pescatore, traghettatore di anime verso uno pseudo Paradiso, un po’ come Caronte all’inverso, Filippo Pupillo, alla sua terza volta con Crialese.

È con l’immobilità di questo tempo che la famiglia Pucillo deve confrontarsi. Ernesto ha 70 anni,  vorrebbe fermare il tempo e non vorrebbe rottamare il suo peschereccio. Suo nipote Filippo ne ha 20, ha perso suo padre in mare ed è sospeso tra il tempo di suo nonno Ernesto e il tempo di suo zio Nino, che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti. Sua madre Giulietta, giovane vedova, sente che il tempo immutabile di quest’isola li ha resi tutti stranieri e che non potrà mai esserci un futuro né per lei, né per suo figlio Filippo. Per vivere bisogna trovare il coraggio di andare. Un giorno il mare sospinge nelle loro vite altri viaggiatori, tra cui Sara e suo figlio. Ernesto li accoglie: è l’antica legge del mare. Ma la nuova legge dell’uomo non lo permette e la vita della famiglia Pucillo è destinata a essere sconvolta e a dover scegliere una nuova rotta.
Verghiano fino in fondo, inclusa quella sottile vena di “compassione” che la “mano invisibile” dello scrittore verista, per vocazione ed estrazione, lo faceva essere dalla parte dei suoi “umili”.

In quell’isola di pescatori, il tempo si è fermato. Non ci sono iPhone, iPad, canali satellitari, computer a mostrare il resto del mondo, un mondo al di là dell’orizzonte, che però c’è esiste, e che la forza dell’ immaginazione quasi materializza del tutto. Inevitabili le polemiche sul tema di stretta attualità degli immigrati che continuano a sbarcare in Sicilia. «La risposta dello Stato è completamente inadeguata e va contro le regole più elementari di civiltà: lasciare morire gente in mezzo al mare è segno di grande inciviltà. Ci sono pescherecci che sono stati sequestrati perché hanno salvato migrati e portati in porto, pescatori accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Questa la realtà», si affretta a spiegare il regista, cavalcando le polemiche. Ma l’arte si nutre sempre dell' osservazione della realtà. Che spesso è più dura della pietra lavica. I Pucillo nella loro fierezza assomigliano tanto ai Malavoglia, Ernesto a padron ‘Ntoni, Giulietta ha la fisionomia di Maruzza “a longa” e in questo la Finocchiaro si rivela perfetta nel ruolo. Terraferma sarà nelle sale il 7 settembre per 01 Distribution. E al di là dell’atteso verdetto al Lido, resta un film da vedere con gli occhi del cuore. Per chi a quei luoghi è profondamente legato e per chi non ne conosce i contorni e le sfumature che Crialese rende con straordinaria poesia e realismo. Ché gli occhi di Timnit non si possono dimenticare. In bocca al lupo!

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)