Tutta colpa di quei calci di rigore che, come un boomerang, si sono abbattuti su Roberto Donadoni, spazzandolo via in brevissimo tempo dal ruolo di commissario tecnico della Nazionale. Senza troppi giri di parole, in una giornata in cui il tempo ha corso veloce, la Figc non perdona e assesta il colpo mortale, per finire la sua vittima. Dura lex, sed lex. E lasciando a casa eleganza e ragionevolezza, per bocca del presidente Abete, la Federcalcio dichiara "esaurito il rapporto contrattuale alla naturale scadenza", sebbene il contratto prevedesse altri due anni, ma con una clausola che permetteva di far decadere l'accordo stesso entro 10 giorni dall'uscita dell'Italia dall'Europeo. La Figc dunque non perde tempo e, in un battito di ciglia, rimuove dall'incarico il ct azzurro, che da oggi se ne starà in panchina. Certo, c'è stato un incontro tra Abete e Donadoni, e con esso un bilancio dell'attività svolta in questi due anni. Ma poi, subito il ben servito. Guarda caso, con l'immancabile e solita formula di rito tipica di chi ti sta fottendo col sorrisetto sulle labbra. Cioè, per rendere meno amaro il boccone, il comunicato della Figc si affretta a precisare qualcosa di fondamentale, anzi di determinante: " Nel confermare a Donadoni sincera stima personale, apprezzamento per la serietà e il qualificato impegno professionale che hanno contraddistinto il suo lavoro alla guida della Nazionale, ecc. ecc.". Ovvero: sì, certo, sei stato bravo, però (chissà perché, in questi casi un però c'è sempre), ti rispediamo in panchina con un sonoro calcio d'angolo. E lui? Che reazione ha avuto il mister dal capello riccio e brizzolato, dal fascino bergamasco essenziale e discreto, dagli occhi neri e penetranti? L'avevamo lasciato a bordo campo, con la fronte corrugata, un po' sudato ma tonico e coi nervi saldi, pronto a scandire con le labbra le astute mosse suggerite durante il gioco ai suoi ragazzi, con aria familiare, carica d'affetto. Ebbene, lo ritroviamo con l'umore sotto i piedi, un'espressione spenta e insieme meravigliata. Ma soprattutto, con poche parole, essenziali, ma cariche di dignità e correttezza: "Dispiace che un calcio di rigore abbia determinato questa situazione. In questi due anni la mia Italia ha fatto anche qualcosa di positivo, un'ultima partita non può cancellarlo". Questo il laconico commento. Già, davvero impossibile cancellare con un colpo di spugna un cursus honorum di tutto rispetto, per uno come lui, partito da Cisano Bergamasco, dove è nato il 9 settembre 1963, che arrivò al Milan dall'Atalanta per espresso volere di Silvio Berlusconi. Ha vinto tutto correndo lungo la fascia destra negli anni tra il 1986 ed il 1996. Ed in rossonero tornò nel '97, dopo la breve parentesi ai Metrostars di New York, prima di chiudere indossando la maglia dell'Al-Ittihad (Emirati Arabi). I trofei col Milan riempiono un lungo elenco: cinque scudetti dall'88 al 96; tre Coppe dei Campioni ('89, '90, '94); due Intercontinentali ('89, '90); tre Supercoppe Europee ('89, '90, '95) e quattro Supercoppe Italiane ('89, '92, '93, '94). In maglia azzurra Donadoni vanta 63 presenze (con 5 reti) e una maledizione legata ai rigori, la stessa che lo ha perseguitato da ct, nell'eliminazione della sua Italia ad Euro 2008: nel 1990 è lui a sbagliare uno dei rigori decisivi nella semifinale del 3 luglio contro l'Argentina; ad Uusa '94 non riesce a vincere il Mondiale, battuto nella finale con il Brasile, sempre dal dischetto.
Insomma: un rigore, un destino. Che continuerà a brillare perché Roberto Donadoni è un vero campione. E con la sua pacata reazione ha dato, senza volerlo, un' emblematica lezione di stile. Soprattutto a quelli della Federcalcio.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
giovedì 26 giugno 2008
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2 commenti:
Ciao Stella Mattutina.
Un bacio pomeridiano ;-)
Ricambio, all'ombra della luna.
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