L’affannoso respiro si snoda come un serpente lungo le scale. Marian doveva arrivare fino al settimo piano. E doveva arrivarci in fretta. Un ticchettìo gracile alla porta blindata grigio perla. Il rimbombo delle note del “Flauto Magico” di Mozart, sul pianerottolo abbellito di salici piangenti intorno alla finestra. L’aria sapeva di mistero, di impenetrabile, di massonico. Tutto era fortemente simbolico. Un odore d’incenso esalava dalle invisibili fessure della porta d’ingresso. Appena due minuti scarsi per riprendere fiato. Poi, finalmente qualcuno apre la porta. È lady Chatterley.
Il volto coperto da una maschera avorio che nasconde lo sguardo. I lunghi capelli rossi raccolti in uno chignon attorcigliato sulla nuca. Non vedeva l’ora di esserci, a quella festa in maschera. L’aveva desiderato da mesi. Eppure, adesso inspiegabilmente la odiava come non mai. Il Carnevale era il momento dell’anno più emozionante per Marian che era sempre stata uno, nessuno e centomila. Chic e underground, pera cotta e bomba sexy, santa e puttana insieme.
«Oh, finalmente… Mancavi solo tu. Dai, datti una mossa, che sei in criminale ritardo». Paul aveva gli occhi di vetro e la bocca leggermente storta verso destra. Quando rideva, sembrava cinico, spietato, sadico. Non a caso, si era vestito da Eric Draven. Sembrava averne tutta la spietata freddezza, anche nella vita reale. In fondo, la vera scommessa era proprio questa. Vestire i panni di chi avresti voluto essere. E, per ironia della sorte, non sei stato.
«Sbrigati, ti aspettano di là. Si sono aperte le danze». Un giro di valzer viennese. E lady Chatterley si ritrova a volteggiare in pista. Poi, un capogiro e l’uscita di scena. Barcollando lentamente come un pendolo ad andamento regolare, come un’ubriaca che ondeggia sul ciglio della strada di notte. Si guarda intorno. Qualche sorriso compassionevole di circostanza. La percezione netta di non essere particolarmente gradita. E di dover fare in fretta a togliere il disturbo. Le mani sudate si erano appiccicate ai guanti di pelle candidi come se fossero state cosparse di colla. Qualche goccia di sudore le scendeva dalla fronte. Le si era abbassata la pressione e avvertiva un lieve formicolìo alle mani. Si sentiva mancare e respirava a stento e assai lentamente. Quasi non ci vedeva più dagli occhi. Accanto a sé c’era il marchese del grillo. E madame Bovary. «Cara, che ti prende?» - «Niente, niente, non preoccuparti», le sussurrò la contessa di Castiglione col suo sorriso di plastica, prima che si avvicinasse Camillo Benso, conte di Cavour. «Vai di là. A fianco c’è una sala più fresca. Lì troverai un po’ di conforto. Bevi un the e vedrai che ti riprendi».
Si alza di scatto e raggiunge la sala. Non fa in tempo ad avvicinarsi al buffet che si ritrova davanti Charles Baudelaire in tight nero. La maschera avorio che gli copriva il volto impediva di svelarne l’identità. E questo accresceva l’ansia di lady Chatterley, che ora sembrava non sentirsi più adeguatamente borghese. All’improvviso le era venuta voglia di cambiare identità. «Non spaventarti, non voglio farti del male. Devo solo darti questo. Me l’ha consegnato una persona che tiene molto a te. Custodiscilo con cura e leggilo con molta attenzione. Ma solo stanotte, quando sarai tornata a casa. Leggerlo qui sarebbe molto rischioso e compromettente. E ti provocherebbe un sacco di guai».
Il tipo misterioso prese la mano destra di lady Chatterley, la cui sudorazione delle mani nel frattempo era aumentata ancora di più. E ci mise dentro un biglietto di carta giallo ocra, dal quale s’intravedeva una scrittura fitta, spigolosa e concitata. Poi gliela chiuse con l’altra mano, tenendogliela per un po’ e la fissò per un istante negli occhi. Il messaggio era inequivocabile. Doveva averne molta cura. Poi, a passo felpato, si allontanò, senza mai voltarsi indietro.
Lady Chatterley lo seguì con lo sguardo fino a quando non ne perse le tracce. Il tipo sembrò dissolversi magicamente nella sala. A lady Chatterley restò la bocca asciutta e la curiosità di sapere che cosa avrebbe letto in quel biglietto e chi era la persona che gliel’aveva mandato. Nonostante tutto, tra un sorso di champagne e una tartina al salmone, decise di restare fino alla fine della festa. Di quell’odiatissima festa in maschera.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
giovedì 19 febbraio 2009
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