L’importante è che se ne parli. Che si accendano i riflettori su quel mondo fatto di diversi, purtroppo ancora ampiamente emarginati.
Sono anche questi i paradossi della modernità disinibita del III Millennio, in cui si fa sesso in mille modi, perfino sul web, ma poi si finisce per guardare uno con una certa diffidenza solo perché è gay o magari bisessuale.
E allora, a questo punto, forse ricorrere a ventiquattro film in tv per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, per la prima volta in programmazione ogni mercoledì in prima e seconda serata su Iris, non sarebbe poi tanto banale. Quanto meno perché si arriva al grande pubblico e gli si ricorda che guardare al di là del proprio naso qualche volta fa bene.
La programmazione della rassegna Iris Arcobaleno, sul canale in chiaro del digitale Mediaset, prevede film come “Terapia di gruppo” di Altman, “Cowgirls” di Van Sant, “Pasolini, un delitto italiano” di Giordana, “My Summer of Love” di Pawlikovsky in versione non censurata.
Una rassegna d’autore, destinata a togliere la polvere dalla macchina da presa di film chiacchierati, con protagonisti inquieti e storie intricate, intense e sofferte, raccontate spesso con crudo realismo. Come il delitto di Pier Paolo Pasolini di Marco Tullio Giordana, che parte dalla notte dell'omicidio e ricostruisce, con uno stile asciutto e per nulla retorico, le tappe dell'inchiesta e del processo. O ancora la sgangherata farsa della ragazza frigido-castrante corteggiata dall’irrequieto bisessuale, con tanto di sberleffo per un certo tipo di psicanalisi, raccontata dall’aguzzo ingegno di Robert Altman che reinventa la commedia degli equivoci da una pièce di Christopher Durang. Senza tralasciare le raffinate movenze del colto regista polacco Pawlikovsky che, con estrema naturalezza e sensibilità d’animo, racconta la storia sognante dell’amore saffico tra due giovani ragazze, ostacolato da un fratello neoconvertito alla religione e animato dall’ideale della salvezza.
Fissare l’inquadratura su una realtà difficile, complicata, e focalizzare lo sguardo su chi soffre, non è mai una scelta banale. Se può servire a far cambiare atteggiamento a qualcuno, sarebbe poi ancora meglio.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
mercoledì 4 febbraio 2009
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