Malafemmena è Palermo. Di una bellezza sfatta e arcana, inquieta e assassina. Eroica, disperata, ribelle. Persa nelle stanze chiuse dei suoi salotti nobili, con tutto e il contrario di tutto e in cui tutto cambia per restare esattamente com'è. Con l’eco che diffonde l'omertoso silenzio per le strade, col chiasso spocchioso della Vuccirìa dove, tra via Roma, la Cala, il Cassaro i mafiusi e i galantuomini respirano l’anima vera del capoluogo siciliano. Il luogo in cui la vicinanza al porto cittadino stimolò l'insediamento di mercanti e commercianti genovesi, pisani, veneziani, sin dal XII secolo. Il luogo in cui la presenza di numerosi artigiani è ancora leggibile dai nomi di alcune strade (via Chiavettieri, via Materassai, via dei Tintori, ecc.).
Palermo è un fiore essiccato dalla mafia e dal sole infuocato di Sicilia. Un imbarazzante melting pot di culture sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Una bomba a orologeria pronta in qualsiasi momento a esplodere, come avvenne in via D’Amelio quando si fece fuori Paolo Borsellino. Un colorato puzzle di storie. Il luogo dove per secoli popoli e civiltà si sono incontrati all’ombra del Mediterraneo. È qui che i Fenici nel VII sec a. C. posero la prima pietra di Ziz, poi Panormus (dal greco, tutto porto).
Il periodo felice della città ha inizio sotto il dominio arabo (IX sec. d.C.), quando diviene uno dei principali centri islamici in occidente. La città si espande e nascono nuovi quartieri urbani al di là dei confini del centro storico detto il Cassaro (dall'arabo Al Quasr, il castello, antico nome anche della via principale, oggi corso Vittorio Emanuele). In particolare, nei pressi dello sbocco sul mare nasce la Kalsa (da al Halisah, l'eletta), quartiere fortificato e residenza dell'emiro. Nel 1072 la città cade in mano al normanno conte Ruggero, ma il passaggio non avviene in modo violento: ai mercanti, gli artigiani e più in generale alla popolazione musulmana (ma anche di altre razze e religioni) viene consentito di continuare a vivere e a esercitare la propria professione. E' proprio questo che permette il diffondersi dello stile poi detto arabo-normanno, bellissima miscela di motivi sia architettonici che decorativi. La città prospera e si arricchisce di apporti delle diverse culture.
Ruggero II, figlio del "conte", amante del lusso, fa nascere ovunque giardini di foggia orientale con lussuosi palazzi (la Zisa, la Cuba) e si circonda di letterati, matematici, astronomi e intellettuali provenienti da ogni luogo. Dopo un breve periodo di scompiglio e decadenza, Palermo e la Sicilia passano nelle mani di Federico II di Svevia (1212), sotto il quale la città riacquista centralità e vigore. Si susseguono gli angioini, cacciati alla fine della cosiddetta Guerra del Vespro, gli Spagnoli e, nel '700, i Borboni di Napoli che vestono la città di palazzi barocchi. L'Ottocento segna l'apertura della città ai commerci e alle relazioni con l'Europa. La borghesia imprenditoriale è la nuova forza economica e la nuova "committente". E la città allarga i suoi confini. Viene inaugurato il viale della Libertà, continuazione di via Maqueda, e il quartiere che vi sorge attorno si arricchisce di creazioni liberty. Ed è purtroppo l'ultimo guizzo, seguito da un periodo di stasi che vede susseguirsi i bombardamenti dell'ultima guerra, il terremoto del 1968 ed un lento, ma corrosivo degrado dei quartieri medievali.
A Palermo, il 5 aprile il Toro si giocherà un altro capitolo di storia di questo campionato. E non sarà facile battere una squadra che non si accontenta della Uefa. Diciamo pure che non si accontenta e basta. I rosanero di Ballardini guardano sempre oltre e puntano addirittura alla Champions. Bella sfida, dunque, per i granata. Perché quando il gioco si fa duro, c’è più gusto. Ora Alessandro Rosina e compagni dovranno solo non esagerare troppo con le sarde a beccafico e la cassata di ricotta. Ipercalorici come sono, potrebbero compromettere sul serio il buon esito della partita.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
venerdì 3 aprile 2009
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