martedì 17 novembre 2009

Riflettori spenti sul web

Quel groviglio di fili neri era un covo di vipere striscianti. La tastiera un ammasso di vermi incandescenti e saltellanti, che le mordevano di continuo i polpastrelli ogni volta che scriveva. Il monitor un drago con la bocca di fuoco e lo sguardo di ghiaccio. La rete? Un malefico labirinto esistenziale.
Ansia. Tutto questo provocava in S. un profondo senso di ansia.
E poi fastidio e insofferenza. Ogni volta che accendeva quel maledetto computer e si collegava a internet, le si elettrizzavano i capelli, il colorito diventava giallastro, gli occhi spalancati e spauriti. E a S. sembrava di ritrovarsi a navigare all'improvviso in mare aperto. Immagini a pioggia, link uno dopo l’altro, milioni di siti e un fiume in piena di informazioni impossibile da gestire, leggere, comprendere. E se un bel giorno buttassi quel dannato pc dalla finestra? Se un bel giorno me ne sbarazzassi per sempre?, pensava. Di certo avrebbe spento la luce su una realtà parallela inquietante, che la costringeva a confrontarsi col mondo. Sarebbe stato un gesto di volontario suicidio o di autentica rinascita? Probabilmente la seconda. Anche se S. non riusciva a immaginare fino a quando sarebbe riuscita a frenare la curiosità di immergersi di nuovo fino al collo in quel mare di caos e apparente modernità. Laddove comanda un click e vai dove vuoi, esci da te stesso per entrare in altre dieci, cento, mille vite. Tutte sconosciute, tutte maledettamente lontane, tutte inconsistenti e inafferrabili come l’aria.

Era dopo aver navigato epr ore che agli occhi di S. qualcuno svelava l'arcano. Chissà per quale incomprensibile ragione la gente provava gusto a navigare per ore intere e poi alla fine, esausta, a spegnere tutto e scoprirsi ancora più sola con se stessa e più confusa di prima, senza un abbraccio, senza vedere e sentire nessuno intorno. Era come immergersi nella folla e a un tratto sprofondare in un deserto.
Quella sera S. avvertì tutto questo in maniera talmente forte che quasi non le arrivava più il respiro. Voleva chiudere subito l’accesso a quel mondo irraggiungibile, irreale, artefatto, per sentirsi di colpo più leggera. Ma soprattutto per tornare a essere finalmente se stessa. Per farlo doveva eliminare nel cestino tutta quella zavorra considerata indispensabile per stare coi piedi ben piantati per terra, per dirsi cittadini del futuro, gente attrezzata alle sfide tecnologiche del III Millennio. Se poi col cuore gonfio di solitudine, la mente priva di idee, l'anima svuotata dalle emozioni, lo sguardo alienato, poco importa. Tutto era appeso al sottilissimo filo di un'illusione maniacale : quella di credere di sapere tutto ciò che accade nel mondo, di pensare di riuscire a entrare in contatto davvero con gli altri, di essere sempre informati su tutto, accerchiati da un popolo virtuale incompreso e irrisolto, affamato di notizie e di umanità. Senza accorgersi che in realtà, navigando per ore con quel maledetto computer, l'unica cosa che era riuscita a fare bene era stata entrare in contatto con una realtà mistificante. Ora era tutto chiaro. Ora S. vedeva d'un tratto l'immagine riflessa. La sua. E quella di nessun altro. E la vedeva stretta e soffocata da un insopportabile e perverso gioco di specchi che si divertono a riflettere ombre deformanti. [/…]

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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