venerdì 27 febbraio 2009

Storie sull’onda

Che cosa si nasconde negli abissi del mare, tra le pieghe incoffessabili delle sue onde, nel lieto cullare delle correnti, nell’alternanza vorace tra la brezza e lo scirocco? Nelle invisibili vie del mare ci si può perdere all’infinito, senza perdere di vista se stessi. Ci si può abbandonare al grido concitato dei pescatori che ormeggiano con le loro reti, in mezzo al sale che si avvita nella pelle bagnata dall’acqua. Quanti segreti custodisce il mare, quante domande lo attraversano in profondità o semplicemente lo sfiorano in superficie. Il mare è sempre lì, ad aspettare. Anche quando è arrabbiato, anche quando è calmo, anche quando nessuno lo capisce. Anche quando è musica, o specchio che riflette il mistero, o un idioma sconosciuto e lontano, tutto ancora da decifrare…
E. O.

Più scarabocchio, più mi concentro

All’apparenza senza senso, alla fine un senso poi ce l’ha. Lo scarabocchio, quell’irresistibile pasticcio d’inchiostro che si spalma a gogo sui fogli di carta senza pensarci troppo, in realtà serve a mantenere viva la concentrazione. Lo dimostra un esperimento condotto da ricercatori del reparto di Scienze cognitive del Medical Research Council della Cambridge University. Secondo gli studiosi, scarabocchiare mentre si ascolta aiuta a ricordare i dettagli.

Per verificarlo, gli scienziati inglesi hanno dato un banale compito ripetitivo, in pratica disegnare scarabocchi, a un gruppo di volontari che doveva contemporaneamente ascoltare un noioso messaggio telefonico. Confrontando la capacità di ricordare il contenuto del messaggio con un gruppo di ascolto che non era stato invitato a scarabocchiare, si è scoperto che lo scarabocchio aumenta la memoria del 29 per cento. Interrogati al termine dell'esperimento, senza sapere in che cosa consistesse o cosa cercasse di misurare, coloro che scarabocchiavano hanno ricordato mediamente 7,5 nomi di persone, di luoghi e altri dettagli secondari del messaggio, mentre coloro che non scarabocchiavano ne hanno ricordati soltanto 5,8.

«Se una persona svolge un'attività passiva, come quella di ascoltare una noiosa conversazione telefonica, può cominciare a sognare ad occhi aperti», commenta il professor Jackie Andrade, della facoltà di Psicologia dell'università di Plymouth. «E sognare a occhi aperti induce a distrarsi da quello che si sta facendo, con il risultato che lo fai meno bene. Svolgere contemporaneamente un semplice compito, come appunto è scarabocchiare, può essere sufficiente a interrompere il sogno a occhi aperti senza compromettere la prestazione che si sta compiendo». In parole povere, scarabocchiare permette di non distrarsi e aiuta a seguire meglio il filo del discorso.

Non è la prima volta che vengono messi in luce i benefici dello scarabocchio. Un libro diventato un best-seller in Francia e pubblicato anche in Italia nel 2007, "Quaderno di scarabocchi per chi si annoia in ufficio", sostiene che scarabocchiare è una terapia anti-stress, fornendo perfino un sito Internet, www.swarmsketch.com, per chi desidera farlo sul web anziché su carta. In un altro volume, uscito in Italia nel 2005, "I disegni dell'inconscio", gli psicologi Evi Crotti e Alberto Magni elencano sei diverse categorie di scarabocchi, ciascuna rivelatrice di un particolare stato d'animo: per cui ad esempio chi tratteggia labirinti sta cercando una via d'uscita da una situazione di stallo, chi disegna palme vorrebbe trovare un'oasi di pace, chi fa schizzi di un'automobile rivela un desiderio erotico non soddisfatto. Certo, le spirali di Balzac, gli anelli di Beethoven oppure gli animali immaginari di Malraux restano inimitabili.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

giovedì 26 febbraio 2009

Bavaglio in bocca ai pigmei dello sciopero


Una stretta che piace ai sindacati ma fino a un certo punto, quella prevista dal ddl delega di riforma della regolamentazione del diritto allo sciopero, che mette un freno alla rivolta dei pigmei del sindacato. Ormai c’è spazio solo per i giganti della protesta, la gente che conta, che ha i numeri in piazza e sufficiente voce in capitolo per protestare. Laddove, negli immaginifici campi flegrei della “Terza Repubblica”, la parola “protesta” evoca un lusso che ormai sempre meno gente si può permettere. Nessuna sigletta può più agitare le acque, eccitare le folle, sollevare un polverone, smuovere le montagne.
La stretta prevista dal ddl delega di riforma della regolamentazione del diritto allo sciopero mette un freno alla rivolta dei “pochi, ma buoni”. Molto meglio fare caciara in tanti. Anche se poi il risultato è sempre lo stesso. E tutto resta com’è.

Con le nuove regole in arrivo per gli scioperi nei trasporti, indire una giornata di protesta capace di bloccare bus, treni e aerei sarà più difficile
e, soprattutto, in alcuni settori sarà addirittura richiesta un'adesione individuale preventiva da parte del singolo lavoratore che intende incrociare le braccia. Il governo è al lavoro su un progetto di riforma della regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi di trasporto che dovrebbe arrivare venerdì in Consiglio dei Ministri.
In attesa di leggere il testo definitivo intanto è sullo sciopero virtuale che si concentra di più l'attenzione anche se la bozza è ancora generica. Al momento prevede che l'istituto dello sciopero virtuale, possa essere «reso obbligatorio per determinate categorie professionali le quali, per le peculiarità della prestazione lavorativa e delle specifiche mansioni, determinino o possano determinare, in caso di astensione dal lavoro, la concreta impossibilità di erogare il servizio principale ed essenziale».
E, se la bozza dello schema del ddl delega di riforma verrà confermata, sono molte le novità che arriveranno per regolamentare nel settore il diritto di sciopero. È prevista anche una stretta sulla rappresentatatività dei sindacati che possono proclamare un'astensione dal lavoro, con la previsione di un referendum consultivo prima degli scioperi indetti dalle organizzazioni più piccole. Ma, soprattutto, è previsto che in alcuni servizi vi sia un'adesione preventiva del singolo lavoratore che intende scioperare.

Pronto lo slalom dei sindacati. «C'é una cosa che non ci sembra molto utile, quella del preavviso individuale dell'adesione allo sciopero, mentre c'é una cosa che potrebbe essere molto interessante, che noi sosteniamo da molti anni, cioé quella dello sciopero virtuale», dice il segretario della Uil, Luigi Angeletti. Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni conferma la disponibilità alla riforma del diritto di sciopero, ma solo nel sistema dei trasporti e invita il governo «a non andare oltre». Anche l'Ugl approva: «Se è solo per il trasporto va bene e credo che tutte le organizzazioni sindacali daranno serenamente il loro contributo» dice il segretario Renata Polverini.
Più politica, invece, la preoccupazione della Cgil: «Mi auguro che a guidare l'iniziativa del governo non sia, dopo aver favorito la rottura del sindacato, il tentativo di impedire che il dissenso possa manifestarsi», afferma il segretario confederale, Fabrizio Solari, ricordando che «la legge attualmente in vigore è la più severa d'Europa».
E sul fronte politico, il segretario nazionale del Prc, Paolo Ferrero, promette le «barricate», perché le nuove regole portano «a compimento l'attacco al lavoro e alla democrazia». Anche l’ Italia dei Valori attacca: «In altri tempi la proposta dello sciopero virtuale sarebbe stata ritenuta semplicemente ridicola, oggi è un'altra dimostrazione della deriva autoritaria di questa maggioranza», dice il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi. A dire il vero un’altra forma di dissenso ci sarebbe. Ora non resta che attendere il testo definitivo del ddl. E, al limite, provare a ripensare seriamente alla categoria dello sciopero, un tempo arma democratica per riaffermare i propri diritti. Se il governo non vuole impicci, c’è ancora qualcosa di peggio dello sciopero virtuale. C’è il fascino indecifrabile e maledetto della ribellione discreta. C'è lo sciopero silenzioso.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.info

lunedì 23 febbraio 2009

Chi c’è, c’è. Chi non c’è, non conta

Oltre al danno, anche la beffa. Nell’Italia del Pd in frantumi e di Berlusconi monarca assoluto, di una destra elegantemente incravattata nei Palazzi del potere e di una sinistra scossa nel profondo e sempre più sull’orlo di una crisi di nervi, sembra quasi superfluo nonché appunto beffardo riesumare il cadavere, all’apparenza consunto, dei brillanti versi de “La libertà” di Giorgio Gaber, leitmotiv dell’intera filosofia del grande cantautore milanese. Si può ancora parlare di partecipazione in un Paese come il nostro in cui si assiste, un giorno sì e l’altro pure, ad una delegittimazione continua degli strumenti democratici come il confronto parlamentare, la funzione delle opposizioni, la divisione dei poteri con la costante delegittimazione di giudici e magistrati, l’uguaglianza di tutti davanti alla legge (principio che il Lodo Alfano sta fortemente intaccando), la libera stampa (tagli all’editoria), l’azzeramento dell’espressione del dissenso, il “sondaggismo” sfrenato che sostituisce le opinioni, la manipolazione dei significati, lo sciacallaggio delle paure della gente?

Certo, volare alto è pensare in grande. E bisogna non rinunciare mai a farlo, anche nei momenti di maggior crisi come quelli che stiamo attraversando in questo momento. In cui si fatica a credere nella politica nel senso etimologico della parola, in cui l’interesse comune all’interno della polis sembra essere stato gettato alle ortiche e venduto a poco prezzo in cambio di una politica sempre più affaristica che bada all’interesse di alcuni. Dalla partitocrazia al potere delle lobby, dalla tutela del bene comune alla salvaguardia degli interessi di pochi, ovvero delle oligarchie che oggi gestiscono il potere vero, quello economico e finanziario.
In questo contesto, l’apparente stonatura delle note de “La libertà” di Giorgio Gaber ritorna con sana prepotenza. L’irriverenza del compianto signor G ci sta tutta. E meno male. Perché ogni tanto si avverte il sano bisogno di cambiare le carte in tavola, le regole del gioco, le logiche sbiadite e infami di una società che, sempre più depressa, disperata, infelice e rassegnata, rischia di implodere, rifugiandosi tra le braccia pericolose del qualunquismo e dell’antipolitica alla Beppe Grillo, al solo scopo di trovare un momentaneo conforto. In realtà, questa soluzione sarebbe stata l’ennesimo effetto placebo. Perché abdicare e mollare la presa proprio adesso che il gioco si fa duro davvero non conviene. Al contrario, ora più che mai è necessario riscoprire tutta la consapevolezza del proprio ruolo di cives. Più che una sfida, un dovere morale a cui in particolare le nuove generazioni non possono sottrarsi.
Come gira il mondo non ci piace. Bisogna cambiare. Ma non c’è cambiamento senza rivoluzione. Di idee, pensieri, azioni. E non c’è rivoluzione senza slanci ideali e senza libertà. Più che la libertà dei liberali, stavolta occorre la libertà dei democratici, più che una libertà dai conflitti e dalle leggi dello Stato, serve la libertà di partecipare al processo di formazione dello Stato e delle leggi che lo governano.

Tornando al dibattito politico, era l’ottobre 2008 quando da Napoli il premier affermava a gran voce e con tono deciso: «Imporrò al Parlamento l'approvazione entro due mesi dei decreti che riterrò necessari per governare il Paese». Il Pd, creatura pallida e opaca, dal canto suo, organizzava una manifestazione di piazza il cui slogan era incentrato proprio sul cambiamento. E le manifestazioni di protesta, si sa, sono un sintomo, forse ancora iniziale, di volontà di partecipazione alla vita democratica del Paese laddove la «partecipazione politica» viene definita, come sottolinea Pasquino, «quell’insieme di azioni e di comportamenti che mirano a influenzare in maniera più o meno diretta e più o meno legale le decisioni nonché la stessa selezione dei detentori del potere nel sistema politico […]». I mesi passano, i nodi da sciogliere restano. Tutti lì, l’uno dietro l’altro, in fila come soldatini di carta. Berlusconi tira dritto, come promesso, a colpi di decreti. L’alleato Gianfranco Fini ogni tanto abbaia ma non morde, facendo notare all’acqua di rose e proprio perché non ne può più, che il Parlamento ha un ruolo che non può essere in alcun modo delegittimato. Ma poi torna a scodinzolare, alla stessa stregua di una pecorella smarrita che ritorna nel suo ovile. Dall’altra parte della barricata, più che una cortina di ferro, appare il vuoto, dato da una Sinistra che non risponde alle esigenze del Paese, che ha tradito il suo stesso ruolo, incapace di ricostruire il foedus violato col proprio elettorato di riferimento, incapace di elaborare un serio progetto politico perché attualmente priva di una solida cultura politica.

Se l’orchestra intona un requiem alla democrazia, i cittadini del III Millennio avvertono l’urgenza di intonare un peana prima di intraprendere una delle più dure e difficili battaglie della storia, prima di “sporcarsi le mani” con la filosofia del “si salvi chi può”, prima di annegare nel pantano della squallida rassegnazione e del “tiriamo a campare”.
E già, tirare a campare suona male. Meglio Gaber, coi suoi versi. Meglio la sana critica che il cieco servilismo, meglio l’impegno che la rinuncia alle responsabilità e ai propri diritti, che oggi più che mai devono essere riaffermati ed esercitati. Senza parsimonia, senza indugio, senza freni. Rischiando sulla propria pelle, mettendoci la faccia. Sempre. Ma con idee e progetti davvero alternativi, e allo stesso tempo anche fattibili, meno che mai utopistici. «La libertà non è uno spazio libero» in cui tutti sono legittimati a riempire i silenzi con un logos demagogico, ammiccante e piacione, che serve solo ad allevare nel proprio ventre molle una massa acritica pronta a sventolare bandiere e applaudire con fragore, che si lascia eccitare da facili promesse e si fa manovrare come i pupi siciliani dal burattinaio scaltro di turno che vende sogni e spaccia per oro lo stagno. Le (s)manie di protagonismo lasciamole a casa, anzi chiudiamole in cantina, i narcisismi riserviamoli ai reality show. Che ciascuno faccia il proprio mestiere e cerchi di farlo nel miglior modo possibile. Il teatrino della politica non ha più bisogno di essere alimentato. La popolarità, che oggi più che mai corre sul web (vedi You Tube, dove il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha condotto larga parte della sua campagna elettorale, Facebook, My Space, ecc.) e celebra i suoi riti in tv, neppure. Riscopriamo piuttosto la nostra identità di cittadini, un ruolo sempre più compromesso. La vera scommessa per il futuro è proprio questa. Riuscire a partecipare davvero. Riscoprire l’impegno, la forza delle idee e delle idealità, a patto che si traducano sempre in azioni concrete e visibili. Lasciarsi sedurre dal fascino del dibattito e della dialettica, dal potere della parola, dall’insopprimibile valore della cultura e della storia delle idee, dall’irresistibile ebbrezza di vivere nel mondo, di partecipare alle sue angosce, contraddizioni, luci e ombre. Lo diceva già Edmund Burke: «La libertà astratta, come le altre astrazioni, non esiste».

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.politicamagazine.info

giovedì 19 febbraio 2009

Carnevale cambia pelle a lady Chatterley

L’affannoso respiro si snoda come un serpente lungo le scale. Marian doveva arrivare fino al settimo piano. E doveva arrivarci in fretta. Un ticchettìo gracile alla porta blindata grigio perla. Il rimbombo delle note del “Flauto Magico” di Mozart, sul pianerottolo abbellito di salici piangenti intorno alla finestra. L’aria sapeva di mistero, di impenetrabile, di massonico. Tutto era fortemente simbolico. Un odore d’incenso esalava dalle invisibili fessure della porta d’ingresso. Appena due minuti scarsi per riprendere fiato. Poi, finalmente qualcuno apre la porta. È lady Chatterley.
Il volto coperto da una maschera avorio che nasconde lo sguardo. I lunghi capelli rossi raccolti in uno chignon attorcigliato sulla nuca. Non vedeva l’ora di esserci, a quella festa in maschera. L’aveva desiderato da mesi. Eppure, adesso inspiegabilmente la odiava come non mai. Il Carnevale era il momento dell’anno più emozionante per Marian che era sempre stata uno, nessuno e centomila. Chic e underground, pera cotta e bomba sexy, santa e puttana insieme.

«Oh, finalmente… Mancavi solo tu. Dai, datti una mossa, che sei in criminale ritardo». Paul aveva gli occhi di vetro e la bocca leggermente storta verso destra. Quando rideva, sembrava cinico, spietato, sadico. Non a caso, si era vestito da Eric Draven. Sembrava averne tutta la spietata freddezza, anche nella vita reale. In fondo, la vera scommessa era proprio questa. Vestire i panni di chi avresti voluto essere. E, per ironia della sorte, non sei stato.
«Sbrigati, ti aspettano di là. Si sono aperte le danze». Un giro di valzer viennese. E lady Chatterley si ritrova a volteggiare in pista. Poi, un capogiro e l’uscita di scena. Barcollando lentamente come un pendolo ad andamento regolare, come un’ubriaca che ondeggia sul ciglio della strada di notte. Si guarda intorno. Qualche sorriso compassionevole di circostanza. La percezione netta di non essere particolarmente gradita. E di dover fare in fretta a togliere il disturbo. Le mani sudate si erano appiccicate ai guanti di pelle candidi come se fossero state cosparse di colla. Qualche goccia di sudore le scendeva dalla fronte. Le si era abbassata la pressione e avvertiva un lieve formicolìo alle mani. Si sentiva mancare e respirava a stento e assai lentamente. Quasi non ci vedeva più dagli occhi. Accanto a sé c’era il marchese del grillo. E madame Bovary. «Cara, che ti prende?» - «Niente, niente, non preoccuparti», le sussurrò la contessa di Castiglione col suo sorriso di plastica, prima che si avvicinasse Camillo Benso, conte di Cavour. «Vai di là. A fianco c’è una sala più fresca. Lì troverai un po’ di conforto. Bevi un the e vedrai che ti riprendi».
Si alza di scatto e raggiunge la sala. Non fa in tempo ad avvicinarsi al buffet che si ritrova davanti Charles Baudelaire in tight nero. La maschera avorio che gli copriva il volto impediva di svelarne l’identità. E questo accresceva l’ansia di lady Chatterley, che ora sembrava non sentirsi più adeguatamente borghese. All’improvviso le era venuta voglia di cambiare identità. «Non spaventarti, non voglio farti del male. Devo solo darti questo. Me l’ha consegnato una persona che tiene molto a te. Custodiscilo con cura e leggilo con molta attenzione. Ma solo stanotte, quando sarai tornata a casa. Leggerlo qui sarebbe molto rischioso e compromettente. E ti provocherebbe un sacco di guai».

Il tipo misterioso prese la mano destra di lady Chatterley, la cui sudorazione delle mani nel frattempo era aumentata ancora di più. E ci mise dentro un biglietto di carta giallo ocra, dal quale s’intravedeva una scrittura fitta, spigolosa e concitata. Poi gliela chiuse con l’altra mano, tenendogliela per un po’ e la fissò per un istante negli occhi. Il messaggio era inequivocabile. Doveva averne molta cura. Poi, a passo felpato, si allontanò, senza mai voltarsi indietro.
Lady Chatterley lo seguì con lo sguardo fino a quando non ne perse le tracce. Il tipo sembrò dissolversi magicamente nella sala. A lady Chatterley restò la bocca asciutta e la curiosità di sapere che cosa avrebbe letto in quel biglietto e chi era la persona che gliel’aveva mandato. Nonostante tutto, tra un sorso di champagne e una tartina al salmone, decise di restare fino alla fine della festa. Di quell’odiatissima festa in maschera.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

Sulla brezza del vino

Non solo Brunello. Magari Montalcino, capitale di uno dei vini più famosi del made in Italy, e ora anche città-modello di accoglienza e integrazione razziale. Qui infatti vivono e lavorano felicemente persone giunte da 47 differenti Paesi: dagli albanesi agli inglesi, dagli americani ai giapponesi, passando per romeni, filippini e tedeschi. Ma anche sloveni, tunisini, indiani e cubani. Un piccolo melting pot che in questa comunità di poco più di cinquemila persone sembra funzionare perfettamente: mai un problema di ordine pubblico, mai un episodio di criminalità, mai una tensione.

I protestanti vivono gomito a gomito con i musulmani, i cattolici con gli ortodossi, e le vie del paese sono una babele di lingue. Per non parlare delle scuole, in cui studiano insieme bambini di molteplici etnie. Intanto a “Benvenuto Brunello” (20 e 21 febbraio), si organizza l’evento di presentazione della nuova annata, per cui sono attesi a Montalcino giornalisti e operatori di tutto il mondo. Nel distretto del Brunello, che vanta mediamente un giro d’affari annuo di 130 milioni di euro, non c’è neppure il problema dei posti di lavoro, a partire dalle vigne, ma non solo. Alle aziende vinicole infatti servono manager, segretarie, responsabili commerciali ed enologi, con una buona padronanza delle lingue e una spiccata propensione ai contatti con l’estero, visto che ben il 60 per cento del Brunello si vende fuori dall’Italia.

A Montalcino risultano residenti 633 stranieri, il 12,09 per cento della popolazione - ma sono molti coloro che risiedono nei comuni limitrofi e che tutti i giorni si recano a lavorare a Montalcino, quindi la presenza straniera è in realtà maggiore. Si tratta di un dato nettamente più alto della media italiana, in cui l’incidenza percentuale degli stranieri sulla popolazione complessiva si attesta al 5 per cento.

Insomma, un vero e proprio paradiso terrestre, il luogo ideale in cui vivere. Assaporando a piccoli sorsi il sacro nettare degli dei, per poi verificare se si è davvero diventati immortali.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

lunedì 16 febbraio 2009

E se senza sigaretta la seduzione andasse in fumo?

Che cosa ne sarebbe di Angelina Jolie senza la sigaretta fumante in bocca e tra le mani? Inevitabile, non sarebbe più la stessa. Quel gesto è unico e insostituibile. Si porta la sigaretta alla bocca e si aspira inclinando il capo leggermente all'indietro. E poi, si sputa fuori il fumo disegnando una scia inquietante con le labbra. Peccato però che il fumo nuoce gravemente alla salute.
Ma tanto ci sono le "e-cigarette", le sigarette hi-tech senza alcuna controindicazione. Acquistabili presso un apposito sito (http://ecigarettes.cn/), a un costo di circa 47 euro, sono sigarette speciali, che si comportano come quelle vere ma senza bisogno di tabacco. Al punto che le puoi fumare senza problemi anche se ti infastidisce il fumo.

Una luce simula l’accensione. Il suo è un fumo innocuo. La sigaretta hi-tech è dedicata a chi vuole smettere di fumare, ma anche a chi vuole continuare a sedurre senza rovinarsi la salute. E la si può fumare anche nei locali. Ora ci si chiede: non sarà solo un effetto placebo? La cosa è ancora da chiarire. La World Health Organization ha sancito, nel 2008, che non c’è nessuna evidenza sulla sua efficacia come metodo anti-fumo. Del resto, non lo ha neppure negato direttamente.
All’apparenza, una e-sigaretta è uguale a una classica. La differenza è al suo interno: c’è una cartuccia di nicotina e glicole propilenico (usato nelle macchine da fumo delle discoteche), che si surriscalda quando si “tira”, generando vapore. Le cartucce sono disponibili con diverse quantità di nicotina, passando da “zero” a “strong”.
L'importante è che non "strong" più i polmoni. E lasci finalmente sedurre in pace.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

venerdì 13 febbraio 2009

La vita di Elisabetta II d’Inghilterra corre sul web

Una volta per curiosare bisognava sbirciare dal buco della serratura. Oggi, è diventato tutto molto più semplice. E a portata di click. Perfino i gusti e i vezzi della Regina Elisabetta d’Inghilterra, che lancia ai suoi sudditi più fedeli e affezionati una bella sfida: riusciranno a spiarla 24 ore su 24 attraverso il suo nuovo sito internet?

La trovata regale segna una svolta. Sono tramontati per sempre i tempi in cui l’inaccessibilità e il mistero accompagnavano le inaccessibili stanze della reggia di Versailles, all’interno della quale accadevano cose che nessuno sarebbe mai stato in grado di scoprire. Ormai il Palazzo reale apre le porte alla gente comune. E trova una piacevole occupazione per quei sudditi un po’ sfaccendati che non sanno come occupare il proprio tempo.

Perché a più di 30 anni dall'invio della sua prima e-mail nel 1976, l’ultima discendente della casa reale dei Windsor presenta una nuova versione del suo sito web, che dà libero accesso alla vita della famiglia reale grazie a una mappa online. Il nuovo sito - www.royal.gov.uk - mostra gli impegni passati e futuri della famiglia su una mappa interattiva di Google.
Tra le altre funzioni ci sono un link diretto ai video della famiglia reale su YouTube, una sezione dedicata agli animali domestici reali, e le offerte di lavoro a palazzo.
La Regina non solo ama profondamente i suoi sudditi, ma tiene parecchio anche alla loro buona educazione. Nel sito infatti ci sono anche posizioni aperte per apprendisti maggiordomi, con compiti come portare "il vassoio del tè e del caffè, la colazione e i giornali ... in modo efficiente e discreto".

Elisabetta II inoltre ha già dato il via a un suo blog, e il sito conterrà nuove tracce video e audio, tra cui il suo primo discorso pubblico trasmesso il 13 ottobre del 1940, quando era ancora la Principessa Elisabetta, indirizzato ai bambini del Commonwealth, molti dei quali si trovavano lontani da casa a causa della Seconda Guerra Mondiale.
Il sito, le cui pagine sono contrassegnate da un piccolo sigillo reale in alto, è stato concepito per essere più accessibile agli utenti, con un layout più chiaro. La regina ha inaugurato la sua terza versione durante un ricevimento a Buckingham Palace insieme allo scienziato Tim Berners-Lee, che inventò il World Wide Web mentre lavorava al Cern in Svizzera.

I record del sito sono stati: 100 milioni di visite nel 1997, l'anno del debutto, e 35 milioni di hit nella settimana successiva alla morte della compianta Principessa Diana. La Regina vuole essere al passo con l'hi-tech, non meno di Barack Obama. Ma soprattutto ha capito che la partita della popolarità e del consenso ormai si gioca a tutti gli effetti fuori dal Palazzo reale. E corre sul web.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 11 febbraio 2009

Stephen King s’innamora dell’ebook

Internet è un treno che corre veloce. Un vortice d’aria che ti avvolge. Una realtà parallela che corre sul web senza confini. In cui tutto è a portata di tutti, la democrazia regna sovrana, non ci sono differenze di ceto e di censo e ci si può incontrare in qualsiasi momento da tutte le parti del mondo. L’ha capito il capitano del Toro, che ha un sito tutto per sé. E ora l’ha capito perfino la letteratura e, nella fattispecie, Stephen King, lo scrittore americano re dei romanzi dell’orrore. 


La notizia non è che uscirà presto un suo libro. Fin qui, infatti, sarebbe tutto regolare. L’assoluta novità è che il libro verrà pubblicato esclusivamente sul web. Lo riferisce il “Wall Street Journal”, che fornisce anche il nome della casa editrice elettronica, la Amazon.  Quella, per intenderci, che ha riscosso un enorme successo con «Kindle», il suo lettore elettronico, e King ha fatto dello strumento uno dei protagonisti del libro, la cui trama è peraltro protetta dal segreto. Secondo il quotidiano, la prima generazione del «Kindle», oltre 500 mila lettori a 395 dollari l'uno, è andata esaurita in sei mesi, venendo a mancare proprio nella stagione natalizia. E la Amazon ne produce ora una seconda a Taiwan, adattabile ai cellulari. 


Il romanzo di King, un testo ai confini tra fantascienza e giallo, verrà stampato anche dalla Scribner, la sua editrice storica. L'iniziativa di Amazon potrebbe segnare una svolta irreversibile: le prossime generazioni leggerebbero i libri attraverso Internet e l'editoria tradizionale passerebbe in secondo piano. Il quotidiano aggiunge che l'iniziativa di Amazon preoccupa Google, il motore di ricerca che mette in rete intere biblioteche. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha rifiutato di precisare quando uscirà il romanzo, ma ha pronosticato che a medio termine il «Kindle» causerà una rivoluzione culturale. E dire che i classici libri in odor di carta delle nostre librerie affollate un tempo li amavamo…  


Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su www.alessandrorosina.it.  

martedì 10 febbraio 2009

Il sacro ruggito di “Famiglia cristiana”. E l’ira indiavolata di Roberto Maroni

E stavolta ci scappa la querela. Perché il ministro dell’Interno i “maroni” se li è rotti davvero. E si è detto «profondamente indignato e offeso dalle deliranti dichiarazioni di “Famiglia cristiana”», che se n’è uscita con un editoriale d’apertura dedicato agli ultimi provvedimenti del governo sulla sicurezza assai poco diplomatico. Nel mirino è il pacchetto sicurezza voluto dal Viminale. «L’Italia precipita verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari». Così si esprime senza mezzi termini il settimanale cattolico. Pronta la replica del leghista Roberto Maroni, che ha definito queste parole «un attacco di violenza inaudita nei toni e nei contenuti, tanto più inaccettabile in quanto si fonda su presupposti palesemente falsi: le norme del pacchetto sicurezza all'esame del Parlamento italiano sono già in vigore in molti Paesi europei, senza che i governi di questi stessi Paesi siano mai stati insultati con tanta violenza come Famiglia Cristiana fa regolarmente con quello italiano».

Ma c’è di più. Il settimanale cattolico ha poi lanciato un vero e proprio grido d’allarme: si è varcato il limite che distingue il rigore dall’accanimento persecutorio. «Il ricatto della Lega, di cui sono succubi maggioranza e presidente del Consiglio mette a rischio lo stato di diritto». E, con un crescendo rossiniano, affonda il bisturi nella piaga di una maggioranza malata, parlando di «fantasia del cattivismo padano», colpevole di « far strame dei diritti di uomini, donne e bambini venuti nel nostro Paese in fuga da fame, guerre, carestie, in attesa di un permesso di soggiorno».

In poche parole, una politica xenofoba, ai limiti dell’accanimento persecutorio. Ma il ministro del Carroccio non ci sta: «Per tutelare la mia onorabilità e quella della carica che ricopro, ho deciso quindi di dare mandato ai miei legali di agire in ogni sede civile e penale per contrastare questa aggressione premeditata da parte di chi usa consapevolmente la violenza di affermazioni false per combattere chi ha opinioni diverse dalle proprie».

Non è la prima volta che “Famiglia cristiana” incorre in queste lagnanze giudiziarie. E sempre con l’attuale maggioranza di governo. È agosto del 2008 quando il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, dà mandato ai suoi avvocati per querelare il direttore Antonio Sciortino per le espressioni ingiuriose usate nei suoi confronti in un’intervista a “La Stampa”, tacciando il settimanale di «criptocomunismo».
Per non parlare poi dell’illustre precedente di Oriana Fallaci, che aveva sporto pure lei querela contro il settimanale cattolico, colpevole di aver pubblicato una recensione negativa sul suo libro “La rabbia e l’orgoglio”. Anche se in quel caso la giornalista ha perso la causa per diffamazione ed è stata condannata a pagare 20.000 euro di multa, con tanto di spese processuali.
Insomma, “Famiglia cristiana” osa, eccome. E più che porgere l’altra guancia, ogni tanto sferra cazzotti senza guanti di velluto.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su reporternuovo.luiss.it

venerdì 6 febbraio 2009

L’inquietante effetto cool della moda Zegna

Le suggestioni della moda colpiscono. Spalmate come marmellata, scivolano con una certa ostinazione sui corpi magri e i volti scavati delle modelle che varcano le passerelle con disinvolta eleganza. Decise a ogni passo, mai dubbiose su niente. Perché esitare non è concesso. Fregarsene, sì, eccome. Spesso anche della salute. Ma soprattutto l’importante è non sciogliersi troppo, non lasciare trapelare all’esterno le proprie emozioni. Apparire fredde e respingenti ai raggi del sole, quelli che ti accecano nei caldi pomeriggi d’estate e che spesso le modelle non vedono.

Ermenegildo Zegna mette tutte al riparo dai colpi di calore, dallo stordimento pericoloso, dai bollori dal sapore scabroso e incandescente. Il cool effect esiste per questo, i tessuti per l’estate 2010 hanno fatto una sorta di patto col diavolo. Per dar forma a una collezione che, anche se realizzata in colori scuri, respinge i raggi del sole molto meglio degli altri tessuti non realizzati con lo stesso procedimento.

Il cool effect infatti è in grado di abbassare di ben 10 gradi la temperatura percepita. Indossando una giacca di Zegna, se la temperatura esterna è ad esempio di 40 gradi, il corpo ne avverte solo 30.
E se per caso accade di ritrovarsi in qualche sano imbarazzo, divampa all’improvviso un fuoco nel volto, la temperatura sale e comincia a scendere dalla fronte 8 e non solo) qualche gocciolina di sudore, il cool effect rappresenta un valido escasmotage salva-imbarazzo. Ci s’infila immediatamente un indumento della collezione, con assoluta disinvoltura e, come per magia, la temperatura scende. Meglio di una doccia fredda. Meglio di addentare a pieni morsi un insipido ghiacciolo gocciolante al sapore di menta.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

mercoledì 4 febbraio 2009

In programmazione su Iris, l’altra faccia del “diverso”

L’importante è che se ne parli. Che si accendano i riflettori su quel mondo fatto di diversi, purtroppo ancora ampiamente emarginati.
Sono anche questi i paradossi della modernità disinibita del III Millennio, in cui si fa sesso in mille modi, perfino sul web, ma poi si finisce per guardare uno con una certa diffidenza solo perché è gay o magari bisessuale.

E allora, a questo punto, forse ricorrere a ventiquattro film in tv per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, per la prima volta in programmazione ogni mercoledì in prima e seconda serata su Iris, non sarebbe poi tanto banale. Quanto meno perché si arriva al grande pubblico e gli si ricorda che guardare al di là del proprio naso qualche volta fa bene.
La programmazione della rassegna Iris Arcobaleno, sul canale in chiaro del digitale Mediaset, prevede film come “Terapia di gruppo” di Altman, “Cowgirls” di Van Sant, “Pasolini, un delitto italiano” di Giordana, “My Summer of Love” di Pawlikovsky in versione non censurata.

Una rassegna d’autore, destinata a togliere la polvere dalla macchina da presa di film chiacchierati, con protagonisti inquieti e storie intricate, intense e sofferte, raccontate spesso con crudo realismo. Come il delitto di Pier Paolo Pasolini di Marco Tullio Giordana, che parte dalla notte dell'omicidio e ricostruisce, con uno stile asciutto e per nulla retorico, le tappe dell'inchiesta e del processo. O ancora la sgangherata farsa della ragazza frigido-castrante corteggiata dall’irrequieto bisessuale, con tanto di sberleffo per un certo tipo di psicanalisi, raccontata dall’aguzzo ingegno di Robert Altman che reinventa la commedia degli equivoci da una pièce di Christopher Durang. Senza tralasciare le raffinate movenze del colto regista polacco Pawlikovsky che, con estrema naturalezza e sensibilità d’animo, racconta la storia sognante dell’amore saffico tra due giovani ragazze, ostacolato da un fratello neoconvertito alla religione e animato dall’ideale della salvezza.

Fissare l’inquadratura su una realtà difficile, complicata, e focalizzare lo sguardo su chi soffre, non è mai una scelta banale. Se può servire a far cambiare atteggiamento a qualcuno, sarebbe poi ancora meglio.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)