lunedì 3 novembre 2008

Cartellino rosso per Airoldi, "arbiter inelegantiae"

In dieci partite, due goal annullati, più un terzo probabilmente valido col Cagliari. Ma ora finalmente Urbano Cairo sbraita e rompe il silenzio, segnando finalmente la fine di una tacita accondiscendenza nei confronti degli arbitri. E, nella fattispecie, di Airoldi, non proprio impeccabile nelle sue scelte col Toro. Anzi, recidivo nella sua ostentata intransigenza.

E così quel goal annullato ad Amoruso nel match contro la Samp al 14esimo del secondo tempo fa esplodere il presidente del Toro. Gli fa eco Gianni De Biasi, che giudica questi errori ricorrenti “un motivo di disagio” che interviene a turbare in profondità gli equilibri già parecchio instabili di una squadra che di certo non sta attraversando un bel periodo.

E così ora l’arbitro, oltre a un cervo con alcune ramificazioni in testa, diventa anche uno spauracchio da tenere a bada con le sue decisioni un po’ kitch, ai limiti del buon gusto e anche dell’ umana sopportazione.

Eppure gli arbitri sembrano moltiplicarsi, come nel miracolo dei pani e dei pesci, ed espandersi a macchia di leopardo. Tant’è che a Grosseto il comitato provinciale Csen ha organizzato il settimo corso per arbitri, tenuto dal responsabile Sergio Arienti, che ha sfornato ben sette arbitri di nuovo conio e belle speranze. I magnifici sette sono quelli che hanno superato con successo l’esame finale. Tra le motivazioni del corso, gli organizzatori pongono l’accento sull’incremento dell’attività calcistica e quindi la conseguente esigenza di preparare nuovi arbitri pronti all’attacco.

Adesso non resta che augurarsi che non si accaniscano contro alcune squadre che hanno preso di mira, e che non seguano troppo le orme di Airoldi. Certo, per intere generazioni gli arbitri venivano tacciati di cornutaggine e dovevano sopportare questo insulto, sperando che non fosse troppo profetico. Oggi gridano vendetta e si prendono la loro rivincita. Anche se Gasperini difende la buona fede della categoria invitando ad accettare gli errori (perfino quelli che non sono stati commessi? Beh, quelli forse no, se non altro per evitare che, a forza di ramificazioni, la testa di qualcuno arrivi a pesare un po’ troppo...).

Ma qua nessuno è fesso. E meno male. Tranne che qualcuno non voglia redimersi lungo la via di Damasco e trasformarsi in un arbitro, sì, ma nel senso in cui nell’antica Roma lo storico Tacito definì lo scrittore Petronio: arbiter elegantiae, ovvero campione di raffinatezza e buon gusto, capace come pochi di godere dei rari piaceri della vita.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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