A voler essere onesti, non si è mai visto un giornalista che s’impiccia dei fatti di casa propria. A meno che non abbia raggiunto, professionalmente parlando, la pace dei sensi. Perché di norma, ogni buon giornalista che si rispetti i fatti degli altri deve in qualche modo pur farseli. Anche a costo di prendersi in faccia parolone e parolacce d’ogni sorta.
E se Enrico Varriale conducesse Stadio Sprint attenendosi al monito di parlare di calcio e farsi i fatti propri sulla carriera degli allenatori, ma soprattutto a quello di pensare alla propria famiglia, tutte cose che, senza troppe carinerie né manierismi, gli ha suggerito di fare in diretta Walter Zenga (che, per carità, in fatto di calcio, da ex portiere ad allenatore del Catania, se ne intende, ma quanto a giornalismo forse un po’ meno), la Rai lo avrebbe già rimpiazzato con un altro suo collega, e già da un bel pezzo.
Certo, che Zenga fosse uno che non le manda a dire, è facile intuirlo da ciò che dice e da come lo dice. E persino dal piglio vagamente incazzato che sfoggia prima, durante e dopo ogni uscita pubblica.
Ma a tutto c’è un limite. E varcare il confine per entrare in un campo da gioco che non ti appartiene, arrivando ad insinuare che Varriale, anziché parlare della gente quando questa non è presente, debba invece chiedersi chi l’ha messo lì e come mai ce lo fanno stare, vuol dire andare troppo al di là di cìò che gli compete, come ex giocatore, ma soprattutto oggi come allenatore.
Questa uscita non ce la saremmo aspettata da chi sta allenando la squadra etnea in modo esemplare, sfoggiando doti da cavallo di razza. E invece, nel corso della puntata, i toni non solo scendono, ma a un certo punto addirittura precipitano. Varriale cerca di difendersi chiamando in causa il presidente della Lega Calcio. Vola un “maleducato” che rimbalza manco fosse un’agilissima pallina da ping pong.
Poi, come se non bastasse, Zenga sfodera dal cilindro un malefico presagio: “Continui così e vedrà quanti allenatori parleranno con lei”. La replica del giornalista non si fa attendere: “Lei mi sta minacciando, stia attento a quello che dice”.
Volete sapere com’è andata a finire? Che Pietro Lo Monaco, amministratore delegato del Catania, si è affrettato ad annunciare provvedimenti nei confronti dell’allenatore, che sarà sanzionato.
L’acceso “botta e risposta” non è sfuggito neppure a Massimo De Luca, direttore di Rai Sport, che ha tenuto a precisare che le affermazioni di Zenga nei confronti di Varriale sono davvero inaccettabili.
Ora, viene da chiedersi: se vale la legge della reciprocità, perché mai Varriale dovrebbe farsi i fatti di casa propria, pur intervistando per professione e vocazione decine e decine di allenatori e invece Zenga può tentare di farsi in diretta televisiva, solo in virtù di una vecchia polemica personale, quelli di Varriale e della sua carriera?
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
2 commenti:
Varriale non sa comportarsi da bravo giornalista, perché dovrebbe separare i commenti dalla sostanza del suo lavoro: se come dici (da giornalista anche tu mi sembra) che il suo lavoro è anche quello di farsi i fatti degli altri, deve anche essere un pochetto più "distaccato" quando si tratta di rispondere, senza cadere lui nelle provocazioni. Insomma, non ha spina dorsale. Un giornalista qualunque avrebbe fatto "orecchie da mercante" a quanto detto da Zenga, magari rilanciando quanto detto la scorsa settimana sull'assenza e mettendo in chiaro da che parte sta la ragione. Dire a un allenatore che "non ha personalità" e "le sue minacce la qualificano" è professionale come comportamento? Questo a prescindere da Zenga, giustamente richiamato e multato,ma non stanno sullo stesso piano le cose, fra i due quello che deve sempre controllarsi è il giornalista
Zenga vuole dare il massimo. Ma questa volta non è riuscita a controllare il suo "fair-play". A volte capita. Resta il migliore allenatore che il Catania ha mai avuto nella sua lunga storia.
Il giornalista fa il suo mestiere: a volte accarezza, a volte provoca, a volte "colpisce".
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