domenica 28 giugno 2009

Quel pianoforte, al chiaro di luna...

Le note si rincorrevano sulla tastiera, tra le mura color crema. Accarezzavano il soffitto, si attorcigliavano lungo le scale, fino a giungere al piano di sotto, dove lei stava sorseggiando il solito caffè. Era da poco trascorsa la mezzanotte. E quella lunga sera d’agosto, alla vigilia di San Lorenzo, sembrava non voler passare inosservata. Lei ebbe un fremito, una scossa le attraversò la schiena. Indossava una sottoveste di seta nera che le lasciava scoperte le gambe lunghe e sottili. Ogni tanto, le scivolava la spallina sinistra, lasciando scoperta la spalla. Si alzò di scatto e posò la tazzina bianca coi fiori azzurri sul tavolo della cucina. All’interno quel po’ di caffè ancora rimasto ondeggiava come il mare in preda alle correnti, e come la sua anima, in preda all’eccitazione e all’ansia.
Salì le scale d’un fiato, lasciandosi dietro la scia del suo solito profumo ai fiori di Bach.
Il sorriso negli occhi lasciò il posto a uno sguardo smarrito. Quando arrivò al piano di sopra, si lasciò alle spalle tutta l’ansia che aveva accumulato negli ultimi minuti. Ora provava solo un intenso piacere.
La porta era aperta. Lo era anche la finestra che dava sul terrazzo, dove alzando gli occhi si vedeva un cielo terribilmente audace. Quella notte lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Lui era lì, seduto al suo pianoforte a coda nero e lucido. “Incredibile, sembra farci l’amore, con la stessa intensità con cui si fa quando ci si perde completamente nell’altro. Chissà se, appena finirà di suonare, lo faremo davvero”, pensò lei, che nel frattempo si era tolta le scarpe viola per non fare rumore.
Ora stava sulla soglia della porta, a osservarlo incantata e muta. Gli occhi neri a mandorla lo fissavano intensamente.
Lui si agitava a ogni frase, a ogni respiro musicale. Chissà perché aveva scelto il Chiaro di luna di Beethoven, ovvero la sonata n.14 in Do diesis minore.
Era al terzo tempo, quello del presto agitato. In lei albergava il desiderio incontenibile di essere Giulietta Guicciardi, l’allieva prediletta. E invece era soltanto un’allieva e basta. ani, una delle tante allieve. O, più semplicemente, una delle tante ragazze che aveva incontrato finora, lungo la sua strada.
Lui non si accorse di lei che lo stava a guardare incantata e muta. Fino all’ultima nota, fino a quando un leggero spostamento d’aria guidò lo sguardo di lui che aveva appena tolto le mani dalla tastiera e gli fece incontrare subito gli occhi di lei, quasi lucidi dal pianto per l’emozione che non riusciva più a trattenere.
“Sono qui”, sembrava volergli sussurrare piano per non rompere il religioso silenzio di quella stanza in penombra. In fondo era come se gliel’avesse detto. E lui fu pieno di gratitudine. In quell’istante, lei lasciò scivolare ai suoi piedi la sottoveste nera e lucida che aveva addosso. L’orologio segnava mezz’ora dopo la mezzanotte. Dal terrazzo arrivava il canto insistente di una cicala. Il vento leggero che entrava dalla finestra aperta e scuoteva la tenda di lino bianco le accarezzava la pelle liscia e giovane.
Lui, incredulo, ancora seduto sullo sgabello davanti alla tastiera, richiuse il suo pianoforte con un gesto che infondeva calma e sicurezza. Subito dopo, le fece cenno di avvicinarsi.
Nel rattempo, la fioca luce della lampada marrone all’angolo destro della stanza aveva lasciato spazio al buio pesto di una calda notte d’agosto. Era San Lorenzo. Lui e lei non se n’erano ancora accorti.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

2 commenti:

lucabagatin.ilcannocchiale.it ha detto...

San Lorenzo....la notte delle streghe !

Stella mattutina ha detto...

Grazie del complimento! :-) E.