Premere l’acceleratore è un rischio. Ci si schianta. E Gianfranco Fini lo sa bene. Ecco perché qualche giorno dopo la sua uscita allo scoperto, a muso duro, come voce aperta del dissenso all’interno del Pdl, il Presidente della Camera frena. Sulle polemiche, ma anche sul suo stesso dissenso nei confronti di Silvio Berlusconi, dei suoi metodi e dei suoi sistemi. Deludendo chi ci aveva creduto troppo. Soprattutto a sinistra, tra chi aveva applaudito con vigore, spellandosi le mani. Meglio la prudenza. In tutti i sensi. Fini ha commentato le dimissioni del suo fedelissimo Italo Bocchino da vice capogruppo del Pdl alla Camera, definendole una "cacciata senza ragione", ma aveva anche affermato che "dire che siamo in uno stato di dittatura significa affermare qualcosa di profondamente falso". E ai giornalisti accalcati intorno che gli hanno chiesto se ce l’ha ancora con Berlusconi, ha risposto : “Assolutamente no, nessuna polemica”. Dichiarazioni altalenanti che tradiscono un ripensamento dell’ultima ora. Un dietrofront improvviso? Un eccessivo attaccamento alla poltrona? Probabilmente, il fatto di non essere avvezzo a ribaltoni che in questo momento potrebbero rivelarsi, se non azzardati, decisamente folli. Cambiare idea è importante, possibile, legittimo. E Fini l’ha fatto e lo ha pure detto. Ma il ruolo di suddito proprio non gli si addice, quello di equilibrista neppure. E quello di ribelle rivoluzionario men che meno. Ma fare il correntista pentito sarebbe ridicolo. E allora si decida Fini ad assumere un ruolo chiaro, netto e coerente fino in fondo. Pena la credibilità. Chi frena di botto, si schianta lo stesso.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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