venerdì 8 luglio 2011

Il nostos rivelatore

Adorava le sirene. Era partito per cercarle. Il loro canto lo ammaliava terribilmente. Non sapeva né quando sarebbe tornato né esattamente dove sarebbe andato. Il mare lo attraversava. Con sé aveva solo una camicia e un paio di pantaloni bianchi di lino. Le sue spalle forti gli davano coraggio. Ma in realtà si sentiva fragile come  cristallo. La sua emotività sommersa ora era pronta a venire a galla e a frantumarsi in mille pezzi. Piccolissimi, invisibili come schegge impazzite. Le sirene erano lì da qualche parte ad aspettarlo. E avrebbero raccolto quei pezzi con pazienza, cura, comprensione. Loro sì, con le loro mani soffici e affusolate avrebbero purificato la sua anima. Si sarebbero prese cura di lui. Le onde del mare erano lente e affidabili. Appena salito su quella barca a vela, si era reso conto che di quel mare poteva fidarsi. Era il suo mare. E tante volte gli aveva risposto. Solo in mare si sentiva davvero sicuro. Jack London gli aveva lasciato la voglia di andar per mare. E ora che finalmente poteva, aveva deciso di non pensarci più neppure due volte. Non desiderava nient’altro che stare con se stesso. Guardare in faccia quel mare blu pallido la mattina e nero come il buio di notte. Lasciarsi accarezzare dalla brezza, fare l’amore con tutte le donne che non aveva ancora incontrato e che per qualche buona ragione lo avrebbero colpito molto. Viaggiare lento, senza l’assillo dei minuti che passano, delle lancette che si rincorrono. Un viaggio senza tempo. Senza calendario. Senza appuntamenti da rispettare, incontri da presiedere, richieste da soddisfare. Un viaggio che l’avrebbe riportato a casa. Tra le braccia di Scilla e Cariddi. Adesso sentiva solo l’odore del mare. Il suo dopobarba al sapore di sandalo e gelsomino era evaporato del tutto. Solo l’odore del mare. Quel nostos sarebbe stato sofferto ma alla fine catartico. Quando l’aveva lasciata a malincuore, ma con molta convinzione, quella terra di lacrime e di sangue sparso per le strade, senza sogni e senza futuro, sperava di arrivare da qualche parte, diventare qualcuno e che il suo nome si leggesse a chiare lettere su qualche giornale. Così era stato. E nel giro di dieci anni il suo nome stampato su quel giornale c’era tutte le mattine, in prima pagina. Non importa quale fosse il senso profondo del suo scrivere. Non importa quanto intricato fosse il labirinto di quei pensieri più veloci del vento sparsi in modo temerario e spettacolare su quei fogli . I suoi occhi chiari trasmettevano determinazione e un crudo realismo. Tatticismo e rigore. Qualche volo pindarico ma soprattutto molta disciplina.  E un sentimentalismo ben celato al solo scopo di proteggersi. E di difendere a spada tratta lo spazio che furbescamente e con immensa fatica la sua sfrenata ambizione e vanagloria l’avevano spinto a conquistarsi. Adesso, su quella barca a vela, era finalmente da solo con se stesso. Con la mente alleggerita dai pensieri più molesti e addosso solo il peso del suo costume da bagno rosso porpora. I suoi occhi brillavano di luce.  capelli castani si agitavano al vento. In fondo ritornare laddove era nato era come ritornare nell’alveo materno e riappropriarsi di una parte di sé nascosta ma presente, di quell’odore acre di leccio che s’insinuava nella gola, del sole giallo che d’estate bruciava l’asfalto, di quella luce splendida e seducente che ammaliava chiunque approdasse anche solo per un giorno in quel posto. Ma rivedere quelle facce lasciate lì, addomesticate da un’assordante rassegnazione, gli avrebbe fatto ancora più male. Eppure ne aveva disperatamente bisogno, di rituffarsi per un attimo in quelle acque gelide. Così chiare da potercisi specchiare. Ma proprio quando il suo interminabile viaggio stava per volgere al termine, vinse le sue paure e provò a specchiarsi in quelle acque. Di rimbalzo colse un’ immagine di sé disperata e avvizzita. Ma neppure se ne accorse. Il suo Ego rifletteva un’immagine splendida e lieta. O almeno così si ostinava disperatamente a voler credere. Così gli facevano credere. Così fingeva di credeva disperatamente. Quando arrivò, percepì subito un senso di familiarità rituale,costruita, fasulla. Gli affetti sinceri erano pochi. Il resto, un esercizio opportunistico e lusinghiero. Splendido in giacca blu cobalto e camicia celeste pallido leggermente sbottonata sul collo. Lo sguardo deciso, qualche sorriso di circostanza, l’abbraccio sincero degli amici di sempre. In tutto quattro. Il resto, scenografia pura. La sua mancanza l’avevano sentita in pochi, ma ancora in meno l’avrebbero avvertita nel posto da cui era partito e che aveva momentaneamente lasciato, dove la competizione asfissiante inaridiva e consumava, inquinando la mente fino allo sfinimento e alla graduale e inesorabile perdita di sé. Dove l’avrebbe portato itutto quel desiderio di gloria? Laddove non avrebbe più sentito la voce delle sirene. Laddove nessuno un giorno avrebbe potuto raggiungerlo. Neppure la sua parte migliore.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)


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