Tutta colpa di quel maledetto granello di sabbia, impercettibile, quasi inconsistente. Che senza troppe piroette s’infilò nell’occhio di M. e a un tratto le provocò un prurito insopportabile.
Era la quarta volta che il suo castello di sabbia si dissolveva nel bagnasciuga, inghiottito dalle onde. Forse, un segno del destino. In testa troppi sogni, troppi miraggi in un deserto di taffetà.
Perché immaginare una vita che non c’è, qualcosa che non potrà mai accadere, strade che corrono parallele e non s'incontreranno mai neppure a un bivio? Meglio trascorrere i pomeriggi tra le onde del mare, a fare castelli di sabbia, anche se un attimo dopo sarebbero scomparsi nel nulla.
M. aveva perso il gusto della semplicità senza neppure accorgersene. Andava al mare e immaginava rose di pezza. Ogni tanto addentava mele translucide e si nutriva solo di cibo biologico. Da un paio di mesi si faceva arrivare il balsamo per i capelli da Londra e vestiva solo in seta di Vienna. Lontani i tempi in cui passava le giornate con un paio di jeans sdruciti e una canotta nera a Trastevere, a fumare marijuana e masticare una fetta di pizza con pomodoro e mozzarella annaffiata da litri di birra, e a far baldoria fino alle quattro del mattino.
Il disincanto l’aveva afferrata a tal punto da condurla in una caverna rivestita di muffa. Era lì che si riparava dal sole e dall’assordante calura estiv nei lunghi pomeriggi marini, immaginando Ibiza e il principe. L’uomo che finora non aveva mai incontrato. Una specie di cavaliere dell’Ottocento, pronto a duellare se qualcuno le si fosse avvicinato un po’ troppo.
J. la desiderava ancora. Eppure non riusciva a dirglielo. Anche se quella sera finalmente si era deciso a farlo. S'incontrarono lì, dopo un anno dall'ultima volta, per l'ennesima intervista dopo uno dei tanti concerti di piazza. Le fan sbraitavano, lui indossava una maglietta grigia che gli disegnava i pettorali in maniera perfetta. Il sudore gli scendeva dalla fronte. Muoveva il corpo esile sul palco come un giunco. M. appena lo vide rimase immobile tra la gente che la strattonava. Il sole preso tutto il giorno sulla spiaggia le bruciava ancora sulla pelle.
Era la quarta volta che il suo castello di sabbia si dissolveva nel bagnasciuga, inghiottito dalle onde. Forse, un segno del destino. In testa troppi sogni, troppi miraggi in un deserto di taffetà.
Perché immaginare una vita che non c’è, qualcosa che non potrà mai accadere, strade che corrono parallele e non s'incontreranno mai neppure a un bivio? Meglio trascorrere i pomeriggi tra le onde del mare, a fare castelli di sabbia, anche se un attimo dopo sarebbero scomparsi nel nulla.
M. aveva perso il gusto della semplicità senza neppure accorgersene. Andava al mare e immaginava rose di pezza. Ogni tanto addentava mele translucide e si nutriva solo di cibo biologico. Da un paio di mesi si faceva arrivare il balsamo per i capelli da Londra e vestiva solo in seta di Vienna. Lontani i tempi in cui passava le giornate con un paio di jeans sdruciti e una canotta nera a Trastevere, a fumare marijuana e masticare una fetta di pizza con pomodoro e mozzarella annaffiata da litri di birra, e a far baldoria fino alle quattro del mattino.
Il disincanto l’aveva afferrata a tal punto da condurla in una caverna rivestita di muffa. Era lì che si riparava dal sole e dall’assordante calura estiv nei lunghi pomeriggi marini, immaginando Ibiza e il principe. L’uomo che finora non aveva mai incontrato. Una specie di cavaliere dell’Ottocento, pronto a duellare se qualcuno le si fosse avvicinato un po’ troppo.
J. la desiderava ancora. Eppure non riusciva a dirglielo. Anche se quella sera finalmente si era deciso a farlo. S'incontrarono lì, dopo un anno dall'ultima volta, per l'ennesima intervista dopo uno dei tanti concerti di piazza. Le fan sbraitavano, lui indossava una maglietta grigia che gli disegnava i pettorali in maniera perfetta. Il sudore gli scendeva dalla fronte. Muoveva il corpo esile sul palco come un giunco. M. appena lo vide rimase immobile tra la gente che la strattonava. Il sole preso tutto il giorno sulla spiaggia le bruciava ancora sulla pelle.
"Dove sta la felicità, adesso non vuoi o forse non puoi ritrovare la complicità, il nostro dolce fare niente , la convinzione di viverci per sempre, quella voglia e il calore che ci unisce, tra una canzone e una giornata che finisce". Quella strofa le si piantò dentro. All'improvviso, un morso nello stomaco. E, davanti agli occhi, il film di quella notte in cui avevano dormito insieme, completamente nudi, con le labbra e i corpi incollati come le tessere di un puzzle. Scena che era rimasta lì, scalfita nella memoria e che quella sera, dopo il concerto, entrambi più di ogni altra cosa al mondo avrebbero voluto rivivere. /...
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
3 commenti:
Sì, in effetti ci penso e troverei la scena niente male ;-)
Penso anche un'altra cosa: rivedendo il mitico "La città delle donne" di Fellini (che fra parentesi è anche uno fra i miei film preferiti), pensavo al personaggio interpretato da Donatella Damiani, e mi sei venuta in mente tu, con erre moscia ed il tuo accento radiosamente del Sud. ;-)
Non so perché.
PS: puoi ri-aggiungermi agli amici di facebook. Mi hanno impallinato e sono dovuto risorgere come la Fenice (dalle ceneri di quel ragazzetto crucco-WASP) !!!!
Adoro questa scena
http://www.youtube.com/watch?v=iC25VouZq9U
Già fatto! Fellini forever. E.
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