venerdì 10 luglio 2009

Aurea svista

Gill aveva i capelli d’oro. Le scendevano sulle spalle come spaghetti stirati col ferro a vapore. Li divideva perfettamente in due con la riga in mezzo. Non facevano una piega. Arrivava al corso sempre in ritardo. Tutti i giorni almeno un’ora dopo. Galleggiava su tacchi vertiginosi e camminava lentamente, infilando i piedi l’uno davanti all’altro con la chiena dritta, ancheggiando leggermente a ogni passo, come se si trovasse perennemente in passerella. I suoi occhi azzurro mare contornati da ciglia rivoltate all’in su dal rimmel nero che teneva sempre in borsetta fissavano la gente con cordialità mista a ipercriticismo. Quando si andava a pranzo insieme, parlava spesso dei suoi viaggi in Medioriente. Presto sarebbe partita per Beirut. E di donne. Amava riempirle di difetti.
“Quella lì è tremenda. E poi non è nemmeno bella”. Più le stavo accanto, più pensavo che le donne, o meglio certe donne, bionde o more non importa, proprio non ce la fanno ad essere indulgenti con le altre. E fanno di tutto per ricoprirle di fango, sminuirne il valore. Gill apparteneva a quella categoria. Ma cadeva sempre in piedi, perché aveva stampato in faccia un sorriso di circostanza che le illuminava il volto. Con quel sorriso che ti dedicava alla fine di ogni conversazione, anche la più casuale, alla fine le perdonavi tutto. O quasi.
Sedeva in prima fila, sempre accanto alla sua migliore amica di corso, mora e con caratteristiche fisiche opposte alle sue. E non facevano altro che passare al setaccio tutto e tutti. Presenti e non. Da internet pescavano foto, notizie, gossip, da tempestare a ritmo serrato di commenti al vetriolo.
Un giorno Gill parlò dell’amore. “Mi sono sempre fatta corteggiare. Mai andata dietro a nessuno”. Beata lei, pensavo. Gli uomini ti apprezzano di più se li tieni sulla corda. Gill aveva un fidanzato che sembrava molto innamorato di lei. Era un suo collega di corso. E spesso le si avvicinava, riempiendola di baci e carezze. Ma, non so perché, ho sempre pensato che lui fosse molto più coinvolto di lei in quella storia. Quel pensiero nessuno me lo toglieva dalla testa. Ed era strano che lo pensassi proprio io che credevo nell’impossibilità cronica di capire come stanno veramente le cose. /…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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