lunedì 13 ottobre 2008

Cari compari, vi scrivo...

...Così mi distraggo un po’. E siccome siete molto lontani, più forte vi scriverò. Sembra aver strappato le parole di bocca a Lucio Dalla, Vincenzo Santapaola, figlio maggiore del famoso Nitto. Una lettera accorata, la sua, piena di sentimento. E per farla leggere ha scelto le colonne del quotidiano “La Sicilia” del 9 ottobre, a pag.37.

Dettaglio fondamentale: il pluripregiudicato in questione è detenuto al 41 bis, in un carcere del Nord Italia, dove le misure di massima sicurezza impediscono qualsiasi contatto con l’esterno.

Ma a tutto c’è un rimedio. E l’ingegno suggerisce a Enzuccio di far recapitare al direttore del giornale cittadino la missiva. Al centro di tutto, una preghiera rivolta alla gente per sensibilizzare l’opinione pubblica: “Vi prego, consideratemi una persona normale". Mica facile per uno il cui ultimo arresto risale al 3 dicembre del 2007 nel corso della cosiddetta “operazione Plutone”, che portò in carcere 70 persone accusate di associazione mafiosa, rapine, traffico di droga ed estorsioni (allora i magistrati ipotizzarono che Enzo stesse riorganizzando il clan catanese, sfaldatosi dopo l'arresto del padre, che tuttora sconta l'ergastolo).

Qualche riga più in giù, il pathos cresce. Santapaola junior esprime tutto il suo disagio, manifestando di sentire il fiato al collo dei suoi nemici. E si ribella al peso di un cognome che ha già segnato da un pezzo il suo destino : “C'è gente che con pregiudizio mi giudica e mi considera in base a ciò che si è detto e scritto su di me, additandomi come un criminale.... C'è gente che crea leggende sul mio conto e sui miei familiari. Ci sono altri che usano il mio nome in modo scellerato per i loro loschi interessi, per vanto, per ignoranza. Questi ultimi sono quelli che più mi danneggiano e che contribuiscono in modo determinante a far sì che il «mito Santapaola» resti sempre in vita mio malgrado”.

Colpevole? Macché. "Mi trovo indagato perché nel corso di alcuni colloqui, intercettati nel carcere di Catania, un detenuto parla di un tale «Enzuccio» (che l’Autorità giudiziaria ha ritenuto essere la mia persona) e raccomanda a un congiunto di prendere contatto con lui (incidentalmente osservo che, anche a concedere che i due parlino di me, tale incontro, come provato in atti, non è mai avvenuto)".

Dunque un abuso del proprio cognome da parte di “ignoti personaggi”. Il Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) sta indagando “per verificare con quali modalità sia stato possibile che la lettera di una persona detenuta al 41 bis sia stata pubblicata sul quotidiano".

Intanto il direttore de “La Sicilia” ha fatto sapere che la missiva gli è stata consegnata dai due legali di Vincenzo Santapaola, Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni. Ed è subito scoppiata la polemica sul perché il giornale non avesse riportato neppure un paio di righe di commento alla missiva. Semplice: il direttore non è uno che sottovaluta i suoi lettori e avrà diplomaticamente pensato che il fatto si commentava da solo.

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

6 commenti:

Anonimo ha detto...

A me sembra che abbia usato il giornale, con tacito assenso del Direttore e Vicedirettore, l'occasione di pubblicare una cosa del genere (tanto a la Sicilia l'ordine non dirà mai nulla a quanto pare, qualunque cosa faccia) e fare tanto clamore non potevano lascialra andare. Dal punto di vista del mafioso: comunicaizione di servizio gratis e in comodo formato stampa: "SANTAPAOLA SONO IO, il mio clan non è morto. Chi si spaccia per me può solo tremare.". Non ci avevi pensato eh? Questo brav'uomo col suo appello accorato.

Anonimo ha detto...

"Per anni, magistratura, polizia, organi dello Stato e forze politiche hanno troppo spesso mostrato di ignorare l'esistenza della mafia."
Non è la solita esternazione. Ma un passo significativo estrapolato dallo storico "Testo integrale della relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia", a cura di Alfonso Madeo. Una raccolta edita a Roma dalla Cooperativa Scrittori nel lontano 1973. Tre volumoni da 2935 pagine con le testimonianze di Francesco Cattanei, Libero della Briotta, Pio La Torre durante la V legislatura del Parlamento.

La criminalità organizzata, la sua esistenza, a partire dagli anni Sessanta non è stato più possibile ignorarla. Il cinema con ribrezzo e disincanto, anticipandone i tempi, ne aveva mostrato i tratti più cattivi. Tre esempi: “In nome della legge”, il brancatiano “L’arte di arrangiarsi” (“il Pizzarro era il capo-mafia della città”, si ripete nel corso del film) e il “Salvatore Giuliano” di Rosi; poi inizia una benevole e ammirata attenzione.

Tantissimi i titoli di film e i “comici mafiosi” che commercializzano la mafia come un normale prodotto di consumo. Cito a caso: la serie de “Il Padrino” (molti criticano giustamente “troppo sentimentalismo, troppo spessore psicologici, troppe tradizioni patriarcali, troppi affreschi gattopardeschi, troppe profondità”); le parodie di Ciccio e Franco (I due mafiosi, Due mafiosi nel Far West,…), la “Piovra” (tutte le serie), “Pizza Connection”, “Vite perdute”, “La Bomba”, “La leggenda di Al, John e Jack” (con Aldo, Giovanni & Giacomo); il “Capo dei Capi”, il personaggio “Don Antonino lo zio mafioso” del cabarettista Antonello Costa; i mafiosi anni 80 del duo comico Roberto Malandrino - Paolo Maria Veronica; il Benigni di “Johnny Stecchino” e il monologo sul “Traffico”; il telefilm “I Soprano”.

Non è tutta satira per fortuna: “Onda Pazza” - la trasmissione di Radio Aut - costò la vita a Peppino Impastato (vedi l’ottimo film de “I cento passi”).

La mafia è un grave pericolo per la democrazia e per la libertà. Non è solo un fenomeno di una certa parte dell’Italia e del mondo. La soluzione? Per Roberto Saviano, l'autore di "Gomorra" (libro più inconsueto e anomalo del divertito e sarcastico “Chi è Lou Sciortino?” di qualche tempo fa): "Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa".

Un cancro che impedisce una vita più libera da illegalità, da veti, da minacce, da blocchi incrociati, da interessi.

Parlarne acuisce la solitudine. Il silenzio ci distruggerà.

Stella mattutina ha detto...

Infatti non ho mai smesso di pensare che a Catania e dintorni l'era Santapaola non abbia vissuto neppure per un attimo qualche battuta d'arresto (perdonatemi la battuta, appunto). E.

Anonimo ha detto...

Andiamo tutti a lezione dal Prof. Salvatore Lupo: http://www.cliomediaofficina.it/7lezionionline/lupo/lupo.html

"Ci si potrebbe chiedere in che misura la centralizzazione politico-istituzionale della vita isolana, determinata dall’avvento della Regione, abbia agevolato l'unificazione dei gruppi propriamente criminali. Certamente c'è tra questi due fenomeni un rapporto. (...)

Fu costituita una "commissione centrale" di Cosa Nostra dove confluirono le cosche palermitane e il forte nucleo corleonese di Luciano Liggio. In questo periodo la fenomenologia mafiosa si estendeva anche all'altro versante dell'isola, tradizionalmente immune.

Grazie agli stretti rapporti coi palermitani, nel catanese si costruirono le fortune del gruppo guidato da Benedetto (Nitto) Santapaola (...).

Ci troviamo davanti a un fenomeno complesso, a più facce, dove gli aspetti clamorosi si sovrappongono a quelli sotterranei, più o meno visibili. (...)

Le mafie hanno certo i loro consulenti finanziari e i loro canali di riciclaggio, ma il mafioso resta essenzialmente l'affiliato di un'organizzazione basata su interni canali di solidarietà e gregariato criminale, compattata da antichi riti di appartenenza, profondamente radicata sul territorio".

Il quotidiano "La Sicilia" conosce bene questi meccanismi. Evitiamo facili strumentazioni politiche.

Stella mattutina ha detto...

Per Andrea: d'accordissimo con te. E ti ringrazio molto per aver riportato un importante passaggio di una delle tante interessanti lezioni sulla mafia del professore Salvatore Lupo. Credo che sia uno dei massimi studiosi viventi del fenomeno mafioso in tutte le sue sfaccettature. E.

Anonimo ha detto...

I PASSAGGI RICOSTRUITI DAL DAP
Autorizzato dal Gip rinvio della lettera di Santapaola jr.


«La lettera scritta da Vincenzo Santapaola, figlio del boss catanese Nitto, pubblicata giovedì scorso (2 ottobre, ndr) dal quotidiano «La Sicilia», è stata spedita più di un mese fa dal carcere in cui il detenuto si trova. La missiva era indirizzata alla sorella, che vi avrebbe apportato alcune correzioni. La lettera è poi stata consegnata ai legali di Santapaola che l’hanno inoltrata al giornale. Il retroscena - ne ha dato notizia ieri sera l’agenzia Ansa - emerge dall’indagine avviata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che ha ricostruito i vari passaggi dello scritto, la cui pubblicazione ha sollevato numerose polemiche.
La lettera di Santapaola era stata bloccata, come da procedura per chi è sottoposto al carcere duro previsto dal 41 bis, da parte dell’ufficio censura del carcere. A «sbloccarla» è stato il gip Laura Benanti, del tribunale di Catania, che ha permesso in questo modo l’uscita dal carcere della lettera inviata alla figlia del capomafia catenese, che è all’ergastolo anche per essere il mandante dell’uccisione del giornalista Giuseppe Fava».

Fonte: «La Sicilia», 12 ottobre 2008.