"Tutto nasce poco più di tre anni fa, a maggio del 2005 - racconta il dott. Roberto Pititto, medico chirurgo specializzato in nefrologia, socio Asmev e responsabile del progetto - quando in Calabria è approdato il ministro della Salute eritreo Saley Meky e ha firmato con l'allora assessore regionale al Lavoro e alle Politiche sociali della giunta Loiero, Egidio Masella, un protocollo d'intesa piuttosto generico in cui la Calabria s'impegnava a favorire lo sviluppo di attività nefrologiche in Eritrea. In realtà, noi sapevamo benissimo che cosa fare. Ci era stato richiesto di mettere in piedi un centro di emodialisi proprio nella capitale, ad Asmara".
Poi, qualche inciampo lungo il percorso, come al solito per colpa del mancato appoggio delle istituzioni. E il progetto si arena.
"Fino a quando nel marzo 2006 la commissione regionale per le Pari oppurtunità, grazie soprattutto all'impegno della collega nefrologa Emira Ciodaro, decide di stanziare 3000 euro per avviare una campagna di raccolta fondi a livello regionale. Io, Gabriele Germanò, presidente Asmev e il vicepresidente Francesco Romeo, veniamno convocati a Reggio. E nell' estate 2007 finalmente parte la raccolta fondi".
Finora quanto siete riusciti a raccogliere?
"Abbiamo raccolto circa 20-30.000 euro".In concreto, che risultati avete raggiunto?"Siamo riusciti a mandare in Eritrea quattro reni artificiali, pagandone solo due. Ci sono stati donati dalla fondazione Bonino Pulejo della Gazzetta del Sud e dal titolare dell'azienda che li ha forniti, la Kosmos di Gioia Tauro, il dott. Giuseppe Galeso, in memoria della sorella Maria, recentemente scomparsa". Quanti soldi vi servono ancora? "Attualmente abbiamo 10-11.000 euro di debiti con le aziende che hanno fornito il materiale. In un paio d'anni con 50-60.000 euro ce la dovremmo fare".
Ora anche Alessandro Rosina è dei vostri. L'incontro e il coinvolgimento del capitano del Toro nel progetto com'è avvenuto?
"Tutto è stato molto naturale. Ho preferito aspettare il momento giusto per parlargliene con calma e sicuramente questo momento non era l'anno scorso, considerato il modo in cui si è concluso il campionato per il Torino. Quindi ho aspettato che arrivasse l'estate e che venisse a trascorrere qualche giorno qui in Calabria". Conosce da tempo Alessandro? "Sì, conosco lui, i suoi fratelli e la sua famiglia da anni. E tra noi c'è una bella amicizia. Pensi che io ho vissuto per 18 anni proprio dov'è nato Alessandro, a Cittadella del Capo, una frazione di 1000 abitanti, in provincia di Cosenza. Facevo il medico nella squadretta di calcio, per l'esattezza nella categoria dilettanti. Ma c'è di più. Da ragazzo giocavo a pallone con Alfonso, il papà di Alessandro, che tecnicamente non era un fenomeno, ma agonisticamente era tosto. Piccolo di statura, buttava per terra me che ero alto il doppio. Ecco, proprio da questa amicizia mi è venuta l'idea di coinvolgerlo. Quando gliene ho parlato, lui è stato subito contento di fare il testimonial. Alessandro è un ragazzo molto sensibile, si potrebbe dire "all'antica" e ha capito subito che c'era in ballo la vita delle persone. Convincerlo è stato facilissimo".
Torniamo all'Eritrea, Paese storicamente legato all'Italia. Lì come vi hanno accolto? Quali sono state le prime reazioni, di diffidenza oppure di apertura?
"Senza ombra di dubbio, posso affermare che l'atteggiamento è stato ed è tuttora di piena apertura. In Eritrea hanno una grande fiducia nell'Italia e nei medici italiani, direi quasi una venerazione assoluta e su di noi hanno grandi aspettative. Questo ci carica di un enorme senso di responsabilità".
Il primo viaggio in Eritrea se lo ricorda ancora?
"E come non potrei. E' stato nel 2005. Appena arrivato, mi sono trovato davanti un Paese povero, sì, ma allo stesso tempo ricco di potenzialità. L'Eritrea è uno dei Paesi più poveri del mondo, come dicono le statistiche della Fao. Ricordo benissimo che c'era un ospedale nuovo, moderno, costruito con i soldi della cooperazione internazionale. E c'era già una certa predisposizione per mettere in piedi un centro di dialisi. Solo che, come è facile immaginare, mancavano i macchinari e mancava il personale. Oggi, se pensiamo che il centro è attivo, sono stati fatti passi da gigante, anche se c'è ancora moltoda fare. Ma siamo consapevoli che si tratta di un inizio e adesso resta da affrontare e risolvere il problema relativo alla formazione del personale, in modo particolare, dei medici che dirigeranno il Centro in futuro. Certamente la sua apertura ha suscitato grande emozione e speranza, anche presso gli studenti di Medicina della piccola Scuola Medica di Asmara (poche decine) a cui insegno nefrologia e che dal prossimo anno saranno i primi professionisti formati in quel Paese da molti decenni. Lo scambio c'è stato subito. Quando a gennaio 2007 sono tornato in Eritrea insieme a due tecnici, Giancarlo Carravetta e Francesco Zappone, anch'essi calabresi, due infermiere erano venute ad addestrarsi in Italia".
Il primo paziente curato?
"A gennaio, un bambino di 11 anni di Keren affetto da un blocco renale".
Da un punto di vista professionale, questa esperienza che cosa le ha regalato?
"Dal punto di vista professionale è una bella sfida. Ti trovi a lavorare da solo sapendo che devi pensare tu a tutto, perché non stai lavorando in un ospedale o in un ambulatorio. Qualsiasi guaio che ti capita è tuo, lo devi gestire da solo. Insomma, diventi consapevole di dover contare solo sulle tue capacità".
E invece dal punto di vista umano?
"Dal punto di vista umano ti dà la possibilità di sentirti davvero utile. Il tuo lavoro lo vedi dare frutti concreti. E vedi che alcune persone grazie a te non moriranno".
Il prossimo viaggio in Eritrea?
"A fine mese".
Dott. Pititto, il suo sogno nel cassetto?
"Il primo in parte si è già realizzato. Far parlare della Calabria non soltanto per i morti ammazzati di ‘ndrangheta, ma anche per belle iniziative come questa. E poi, sarò contento il giorno che andrò in Eritrea e mi diranno "non abbiamo più bisogno di te, goditi le vacanze". Allora vorrà dire che avranno imparato a camminare con le proprie gambe. Il mio obiettivo è proprio questo: che col tempo l'Eritrea, sotto il profilo sanitario, possa diventare sempre più autonoma. Non dimentichiamo mai una cosa: è importante non tanto regalare un pesce a chi ha fame, quanto insegnargli a pescare".
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it), pubblicato su http://www.alessandrorosina.it/ .
Nella foto: il marchio Rosinaldo (con un gesto di dedica del capitano del Toro ai tifosi in occasione di un goal durante una partita col Catania)
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