Parola d’ordine: accorciare le distanze e insieme dare il via libera alla collaborazione tra istituzioni pubbliche e private. Obiettivo audace, sì, ma non del tutto utopistico, come ha raccontato Michèle Anne De Mey, direttrice artistica di Charleroi/Danses: “Quand’ero una semplice artista, avevo molte meno responsabilità. Ma ora che sono anche direttore insieme ad altri tre colleghi, abbiamo bisogno di elaborare progetti concreti. Gestire denaro pubblico è una cosa seria. Gestire denaro pubblico è una cosa seria. Purtroppo i soldi non bastano mai”.
Sarà che i privati latitano, come ha sottolineato Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia: “Ma credo che sia un ostacolo culturale. Purtroppo in Italia siamo abituati a un’idea museale e abbiamo un pessimo rapporto con l’arte contemporanea”. “Diciamo pure che abbiamo una scarsa considerazione dell’arte in generale”, ha aggiunto l’assessore comunale alla Cultura, Fabio Fatuzzo. Per Giuseppe Di Pasquale, direttore artistico del Teatro Stabile, “gli imprenditori non investono nella cultura perché pensano di perdere soldi e basta”.
Ma per fortuna la mela non è tutta marcia. “ A Reggio Emilia il teatro ha scelto di investire nella danza contemporanea”, ha spiegato Giovanni Ottolini, direttore generale della Fondazione nazionale della Danza/ Aterballetto. E il sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, Antonio Fiumefreddo, ha ribadito l’importanza di restituire al teatro una dimensione sociale.
In ultimo, due auspici per il futuro. Ilde Rizzo, docente di Economia all’Università di Catania: “Bisogna che le istituzioni culturali diventino più credibili agli occhi del pubblico”. E Roberto Zappalà, coreografo e direttore artistico della compagnia Zappalà Danza e di Scenario pubblico: “La residenzialità artistica è fondamentale. Ogni artista deve potersi sentire parte di un ambiente favorevole e ospitale”.
P.s.: nella foto, l'incantevole facciata ottocentesca del Teatro Massimo "Vincenzo Bellini" di Catania.
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