giovedì 18 febbraio 2010

Sanremo 2010: un Festival super casual

Che fine hanno fatto gli atelier più prestigiosi d’Italia? Le griffe più in voga del momento, dal made in Italy di Valentino, Giorgio Armani, Versace, Roberto Cavalli, Dolce e Gabbana, ecc. ai grandi nomi internazionali del calibro di Diane Von Furstenberg? Che fine ha fatto il pret-à-porter di lusso prestato allo spettacolo? Quello che riempiva di stuzzicanti note di costume fior di pagine di giornali? Quest’anno nei pianeti gossippari che ruotano intorno al Festival di Sanremo edizione numero 60 l’ultimo argomento di cui si parla è quello degli stilisti che hanno vestito la conduttrice e i cantanti in gara. Una brevissima nota su Gai Mattiolo che con le sue paillettes fascia la burrosa Antonella Clerici. Poi, per il resto, il buio più nero. Non a caso, la prima cosa che balza all’occhio è non solo l'assenza di grandi firme della moda, ma la mancanza assoluta di eleganza, ricercatezza, chiccheria negli abiti e negli accessori per lasciare il posto all'ordinarietà, alla sciatteria e alla trasandatezza del look sul palco dell’Ariston.

Vabbè, Sanremo è una kermesse canora. Le canzoni e le voci, le melodie e le note, innanzitutto. Eppure chi non ricorda ancora le gare di eleganza combattute a colpi di corpetti e code di chiffon tra le due vallette (da Anna Falchi-Claudia Koll ad Arcuri-Belvedere, da Cuccarini-Parietti-Carlucci fino a Bianca Guaccero e Andrea Osvart). Per non parlare poi, senza scomodare l'alta moda, dei giochi di stile di Anna Oxa nelle sue mirabili performance canore, in cui da abile sperimentatrice, tra un gorgheggio e l’altro si divertiva a sfoggiare ardite e inedite combinazioni di stile, solleticando la curiosità dei tanti giornalisti-inviati, oltre che del pubblico. O ancora delle irrefrenabili provocazioni modaiole di Loredana Bertè, che nel lontano 1986 osò cantare il brano scritto per lei da Mango, “Re”, in minigonna e finto pancione da nono mese di gravidanza.
In questa edizione nessun artista gioca, osa e scherza più di tanto con la propria immagine. Stavolta a farla da padrone sono esclusivamente le rime baciate dei testi delle canzoni in gara e i prodotti piacioni da talent show col loro abbigliamento casual e ultra minimalista. Come a dGrassettoire: quest’anno al Festival, più che la moda vera e propria, vanno di moda le canzoni. Sperando che non si avveri la triste profezia di Fabrizio De Andrè che nel 1985, un anno prima della bomba Bertè, dichiarava: “Quello che mi disturba del Festival è che non serve quasi mai ad aiutare un talento, ma troppo spesso a fabbricare illusioni". E non aveva ancora visto una sola puntata di “Amici” e “X Factor”…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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