giovedì 22 gennaio 2009

Il sacro furore del mito: un fuoco che brucia ancora

Viveva per Amore e Psiche. Da quando aveva letto che « Vi erano in una città un re e una regina. Questi avevano tre bellissime figliole. Ma le due più grandi, quantunque di aspetto leggiadrissimo, pure era possibile celebrarle degnamente con parole umane; mentre la splendida bellezza della minore non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente».
Quelle poche righe risuonavano nella sua testa come il violino nel valzer viennese. E Lucrezia ormai non faceva altro che immaginare. Immaginava tutte le notti il signore dell’amore e del desiderio e Psiche, “simplex et curiosa”, la sua accecante bellezza, la sua pelle di luna, il suo sguardo d’angelo. Si svegliava non appena l’orologio a pendolo della sala da pranzo con un secco rintocco spezzava in due il denso silenzio della notte. Apriva gli occhi e saltava giù dal letto. Per riprendere ancora una volta tra le mani quel libro di Apuleio con i corpi dei due amanti avvinghiati l’uno all’altro in copertina, così come li scolpì Antonio Canova. Era arrivata a pagina venti della favola che le aveva regalato Paolo per il suo ventunesimo compleanno. Gliel’aveva impacchettato con cura, quel libro, che ora le sue avide mani avevano già consumato.

Nell’oscurità della sua camera da letto, le sembrava di trovarsi tra le mura di quel castello in cui Amore aveva imprigionato la bella principessa e di sentire il vento di Zefiro sfiorarle il corpo con lieve delicatezza. Leggeva intensamente, quasi a voler scolpire con gli occhi ogni singola parola, ogni frase, ogni virgola di quel magico libro rischiarato dalla tenue luce gialla della lampada sul comò.
Poi, finalmente il momento tanto atteso: quello in cui, Psiche, pronta a tutto per istigazione delle sorelle, decide di vedere a tutti i costi il volto del suo amato. Quella goccia che cade dalla lampada le sarà fatale. Ma le prove che l’attendevano dovevano ancora arrivare. Nel frattempo a Lucrezia restavano ancora quattro ore di sonno e altre dieci pagine da leggere.

«Mi spieghi una volta per tutte a che servono i miti classici? Dai, sinceramente proprio non lo capisco. Che senso hanno queste storielline incredibili? Adesso ci pensano anche i greci e i latini a farci la morale?».
«Dai, Paolo, quante paranoie… Era semplicemente il loro modo di spiegare tante cose importanti. La conoscenza, l’esistenza di Dio, l’invidia e la miseria degli esseri umani, le improvvise tempeste ».
«Ah, certo Lux, non ne dubito. Ma se invece ogni cosa impariamo a spiegarcela noi?». «Impossibile. Non tutto ciò che ci circonda è spiegabile con la ragione».
«Ma che dici? Io a leggere la favoletta di Apollo e Marsia oppure di Orfeo ed Euridice o peggio pensare che piove perché Zeus si è arrabbiato e ha tuonato, mi viene da ridere».
«Ehy, ehy, aspetta un attimo. Guarda che era così allora, nel loro mondo, tra la loro gente. Noi oggi viviamo nel III Millennio! E cambia tutto. Ed è tutta un’altra storia…».
«Certo, tant’è che ogni notte vai a rifugiarti tra quelle pagine che ti ho regalato perché non ne potevo più di sentirtene parlare. E ci perdi pure mediamente tre ore di sonno!».
«E allora? È forse un delitto? Paolo, io faccio quello che mi pare».
«No, Lux. Tu ti rifugi incondizionatamente in un passato che nobiliti ma che in realtà non sai neppure tu stessa com’era davvero. Fuggi dal mondo, dalla vita di tutti i giorni e dal presente».
Quella sera Paolo e Lucrezia, che stavolta non lesse neppure una sola riga di quel libro, bruciarono per tutta la notte la loro incontenibile passione. Proprio come Amore e Psiche…

Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)

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