venerdì 9 gennaio 2009

Nicola Costa: "Interpretare Beethoven? Un rapimento esistenziale"

Ci vorrebbe Beethoven a risollevare le sorti di una scena artistica fiacca e sempre più affollata di “senza talento”. Ma per fortuna c’è stato. E con la sua musica ha segnato un’epoca.
Nicola Costa, attore-regista e drammaturgo catanese che ha già conseguito importanti riconoscimenti come il Premio letterario europeo per la nuova drammaturgica nel 2002 a Piediluco (Terni) con “Elgema” e nel 2003 a Venezia il Premio nazionale “I Fiumi” con “La Porta”, ha deciso di far rivivere a teatro il grande genio tedesco.

Dopo il successo di critica e pubblico riportato dalla precedente messa in scena al Teatro Nazionale di Budrio (Bologna), con sette minuti di applausi, Costa approda ora al Teatro del Tre diretto da Gaetano Lembo, dove il 9 gennaio alle 21 (con replica sabato 10 alla stessa ora e domenica 11 alle 18) debutterà con Dear Ludwig, ovvero “sogni, passioni, amori e frustrazioni di L. Van Beethoven”, una ricostruzione storica intensa della vita del compositore di Bonn che, insieme ad Haydn e Mozart, è considerato il padre del classicismo musicale viennese.
Lo spettacolo, costruito come un puzzle, con oltre due anni di studio e di ricerca, sarà accompagnato da alcune tra le più celebri sonate per pianoforte: Al chiaro di Luna, Patetica e Appassionata.

Si racconta Beethoven nella sua dimensione più intimistica e privata, e quindi meno conosciuta. Quella dei suoi rapporti contraddittori coi familiari, con Dio, con la malattia che lo rese sordo a soli trentuno anni. Ma si racconta anche l’emblematica contestazione rivolta a Napoleone quando questi si autoproclamò imperatore, la stima palesemente espressa nei confronti di Mozart e Goethe, sino al testamento di Heiligenstadt del 1802 fedelmente riportato senza alcuna riduzione del testo.

Ad affiancare Nicola, in scena nei panni di Ludwig, gli allievi dell’Accademia di recitazione del Teatro del Tre di Catania diretta da Gaetano Lembo (Daniele Sapio nel ruolo dell’amico Wegeler, Melania Puglisi in quello dell’amata Teresa, Dario Cocciante nella veste del fratello Johann, Simona Manuli, Gianmarco Arcadipane, Anna Patanè, Ornella Falsaperla e Brunella Manuli).

“Vado a letto alle due del mattino e mi risveglio alle due e cinquanta, pensando che siano trascorse già sei ore. Bethoven ti fa questo effetto, è un rapimento esistenziale”.

Che cosa interessa oggi al pubblico di Beethoven?

“Credo tutta la sua vita, vissuta come un’opera d’arte, che ho scoperto grazie a Dario Forturello, che mi ha invogliato a sfogliare le pagine del suo diario personale scritto centocinquant’anni fa. Mentre lo sfogliavo, la carta mi si spezzava tra le mani. Nessun drammaturgo, neppure il più fantasioso, avrebbe potuto creare con le sue mani un palcoscenico così variegato”.

Che rapporto aveva Beethoven col mondo?

“Un rapporto piuttosto scorbutico, direi. Nel suo testamento scritto venticinque anni prima della sua morte, scrive “O uomini che mi giudicate caparbio, astioso e misantropo, voi mi fate torto perché non conoscete la causa segreta di ciò che vi sembra rancore e odio verso di voi. Naturalmente, si riferiva alla sordità, che lo rendeva parecchio irascibile”.

Prima d’ora conosceva bene il compositore tedesco oppure ne aveva soltanto sentito parlare?

“Beethoven lo conoscevo, sì, ma scolasticamente. La sa una cosa? Nelle conferenze in giro per le scuole, ho scoperto una cosa tristissima: purtroppo c’è ancora gente che non sa chi sia Beethoven e questo la dice lunga sulla condizione artistica e culturale che abbiamo oggi in Italia”.

Nel vestire i panni del genio di Bonn non le è pesato il confronto?

“Il confronto terrorizza. E credo che faccia questo effetto a qualsiasi attore, per quanto bravo possa essere. Ma io gli sono molto grato. E credo che anche lui sia grato a me per avergli restituito qualche attimo di vitalità in un secolo che è disposto a dimenticare tutto”.

Elena Orlando (elyotl@tiscali.it), pubblicato su "La Sicilia" del 9/01/2009

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