L’avevamo lasciato un giorno a Roma, coi suoi capelli in testa e la chitarra in mano. Pensavamo che ormai facesse il giardiniere, magari ispirato dall’omonimo singolo del ’97 e dal rifiuto snob delle mode, della massa, del mercato. E invece arieccolo, Niccolò Fabi. Dopo tre anni di astinenza discografica, un ritorno segnato da un’ amara riflessione sui talent show, il format televisivo più inflazionato del momento, che violenta tutti i ragazzi che non puntano ad apparire in tv e così finiscono per perdere fiducia arrivando, nei casi più estremi, perfino ad abbandonare la musica. Un nuovo album, “Solo un uomo” , il sesto, che è anche il titolo di un singolo bocciato all’ultimo festival di Sanremo. «Non mi ha sorpreso- commenta il cantantautore romano - non è in sintonia col modello estetico imperante».
I filologi sono così. Arano terreni incolti, percorrono vicoli in penombra perché troppa luce li acceca. Figli di un dio minore? Tutt’altro. Fabi si sente ricercato al punto giusto da tenere sempre i fan appesi a un filo. Poche apparizioni in tv, qualche volta in radio. Interviste rilasciate col contagocce. Quarant’anni più uno, un figlio e la scadenza di un contratto con la Virgin tra le cause scatenanti di questa rinascita. Un disco nato senza essere “il disco”, e quindi senza le solite pressioni a cui è sottoposto l’artista. «Stavolta ho registrato tutto in maniera rilassata... Il contratto è arrivato a lavoro finito, e la Universal ha sposato il progetto così com’era».
Alle prime registrazioni si sono poi aggiunti diversi amici, romani ovviamente, ma anche milanesi, in buona parte provenienti da quel nucleo di musicisti che nella città del nord gravita intorno alla via Ripamonti e alla Casa 139, come Enrico Gabrielli, già negli Afterhours. «Un incontro avvenuto da diverso tempo, quello tra la scuola romana e quella Milanese, per esempio con Rodrigo D’Erasmo che arriva da Roma e dal Collettivo Angelo Mai, e ora suona negli Afterhours… È un gemellaggio di cui sono sempre stato un fautore, ho sempre pensato che non avesse senso metterla sul piano della rivalità…», spiega Fabi.
Il disco si chiude con “Parole che fanno bene”, una canzone che affronta in maniera molto diretta alcune contraddizioni attuali della società: «Una canzone che ha una preparazione minima, nata da un groove fatto per provare la strumentazione di studi Poi ho improvvisato alcuni appunti di pensieri vari, che si sono trasformati quasi in un flusso di coscienza di quasi 6 minuti. È una sorta di monito alla responsabilità dell’uso delle parole, che faccio soprattutto a me stesso, perché mi sembra che oggi manchi». L’uomo al centro di tutto. Con le sue contraddizioni, i suoi fantasmi, le sue angosce. E Fabi, sempre più introspettivo, chiuso nelle sue segrete stanze, con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Anche ora che tira un piacevolissimo vento d’estate.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
I filologi sono così. Arano terreni incolti, percorrono vicoli in penombra perché troppa luce li acceca. Figli di un dio minore? Tutt’altro. Fabi si sente ricercato al punto giusto da tenere sempre i fan appesi a un filo. Poche apparizioni in tv, qualche volta in radio. Interviste rilasciate col contagocce. Quarant’anni più uno, un figlio e la scadenza di un contratto con la Virgin tra le cause scatenanti di questa rinascita. Un disco nato senza essere “il disco”, e quindi senza le solite pressioni a cui è sottoposto l’artista. «Stavolta ho registrato tutto in maniera rilassata... Il contratto è arrivato a lavoro finito, e la Universal ha sposato il progetto così com’era».
Alle prime registrazioni si sono poi aggiunti diversi amici, romani ovviamente, ma anche milanesi, in buona parte provenienti da quel nucleo di musicisti che nella città del nord gravita intorno alla via Ripamonti e alla Casa 139, come Enrico Gabrielli, già negli Afterhours. «Un incontro avvenuto da diverso tempo, quello tra la scuola romana e quella Milanese, per esempio con Rodrigo D’Erasmo che arriva da Roma e dal Collettivo Angelo Mai, e ora suona negli Afterhours… È un gemellaggio di cui sono sempre stato un fautore, ho sempre pensato che non avesse senso metterla sul piano della rivalità…», spiega Fabi.
Il disco si chiude con “Parole che fanno bene”, una canzone che affronta in maniera molto diretta alcune contraddizioni attuali della società: «Una canzone che ha una preparazione minima, nata da un groove fatto per provare la strumentazione di studi Poi ho improvvisato alcuni appunti di pensieri vari, che si sono trasformati quasi in un flusso di coscienza di quasi 6 minuti. È una sorta di monito alla responsabilità dell’uso delle parole, che faccio soprattutto a me stesso, perché mi sembra che oggi manchi». L’uomo al centro di tutto. Con le sue contraddizioni, i suoi fantasmi, le sue angosce. E Fabi, sempre più introspettivo, chiuso nelle sue segrete stanze, con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Anche ora che tira un piacevolissimo vento d’estate.
Elena Orlando (elyorl@tiscali.it)
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